«La guerra ai terroristi durerà almeno 30 anni E non bastano le armi»
«Quanto eÌ€ accaduto vicino a Kirkuk dimostra palesemente che la lotta contro il terrorismo eÌ€ ben lungi dall’essere finita. Chi imma- gina che con la morte di al-Baghda- di la vittoria sul Daesh sia cosa fat- ta, si sbaglia di grosso». Inquadran- do il contesto in cui eÌ€ avvenuto l’at- tentato contro i militari italiani, Andrea Margelletti, presidente del Cesi, Centro studi internazionali, allarga subito l’orizzonte dell’ana- lisi guardando non solo al territo- rio iracheno, «dove continuano a verificarsi decine di attacchi di questo tipo», ma a tutti gli scenari di conflitto aperti dal jihadismo, e avverte: «Questa guerra, sebbene a fasi alterne, con momenti di picco e stasi, dureraÌ€ ancora moltissimi an- ni».
Nella task force internazionale che opera in Iraq ci sono anche molti altri Stati Ue. PercheÌ, stavol- ta, i terroristi hanno colpito i no- stri soldati?
«Non eÌ€ stato un attacco mirato contro l’Italia, ma contro militari della Coalizione antiterrorismo, di cui i soldati italiani fanno parte con un impegno pari a quello messo in campo dagli altri Paesi. Dobbiamo anche ricordare che le forze specia- li di tutto il mondo hanno ormai equipaggiamenti standardizzati, ed eÌ€ quasi impossibile, dunque, di- st inguerle l’una dall’alt ra». Quanti militari italiani ci sono at- tualmente nella regione e quanti rischi corrono quotidianamente?
«Si tratta di qualche centinaio di istruttori selezionati, impegnati in missione di addestramento avan- zato rivolto alle eÌlite militare del territorio, in collaborazione con il governo di Baghdad e con i curdi. I rischi sono quelli legati al mestiere delle armi, che in un contesto come quello iracheno diventa molto pe- ricoloso».
Ma se eÌ€ vero che l’Isis non eÌ€ stato ancora sconfitto, non dovrebbe essere ormai a un passo dal tracol- lo?
«In questi ultimi mesi il Daesh eÌ€ stato duramente colpito, ma le motivazioni che lo hanno fatto na- scere sono ancora ben solide, e fin quando la ribellione del mondo sunnita – che in Iraq ha radici pro- fondissime – non saraÌ€ placata, or-
ganizzazioni di questo tipo trove- ranno sempre terreno fertile. Per raggiungere questo traguardo ci vorraÌ€ moltissimo tempo, almeno 30 anni. Se in Italia ci abbiamo messo piuÌ€ di un ventennio a scon- figgere il terrorismo di matrice ros- sa, immaginiamoci quanto puoÌ€ es- sere difficile e complessa la lotta a livello globale».
BasteraÌ€ l’azione militare?
«Tutt’altro. Per neutralizzare un movimento di guerriglia le armi non sono mai sufficienti. La vitto- ria puoÌ€ essere raggiunta solo sul piano sociale, nel momento in cui la collettivitaÌ€ espelle i guerriglieri, rifiutando i loro propositi e isolan- doli. Gli strumenti militari posso- no dunque arginare il problema, ma certo eliminarlo: bisogna sem- pre muoversi sul fronte politico. EÌ€ la storia che ce lo insegna, anche quella di casa nostra. Abbiamo vinto le Brigate Rosse non solo gra- zie alle operazioni di polizia, ma percheÌ la societaÌ€ italiana eÌ€ cambia- ta e le persone che si ritenevano ideologicamente vicine ai terrori- sti hanno finito per respingerli. Nel caso iracheno, oltre agli sforzi della Coalizione, occorre il massimo im- pegno del governo di Baghdad per- cheÌ si arrivi a una pacificazione na- zionale».
L’attentato a Kirkuk eÌ€ anche una ritorsione per la morte di al-Ba- ghdadi?
«Non credo. Di attacchi del ge- nere nella regione ce ne sono a de- cine ogni mese, tanti che non fan- no piuÌ€ notizia, a meno che non vengano colpiti dei connazionali».