GUERRA IN SIRIA/ Macron tenta di insinuarsi nel dopo-Assad ma sbatte contro Trump
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GUERRA IN SIRIA/ Macron tenta di insinuarsi nel dopo-Assad ma sbatte contro Trump

04.23.2018

Il presidente francese Macron lascia capire che Stati Uniti e Francia devono mantenere una presenza militare in Siria anche dopo la fine della guerra al terrorismo.

Per il presidente francese Macron, è necessario che le truppe americane di stanza in Siria rimangano anche quando “l’ultimo terrorista verrà annientato (…) in modo praticamente costante, e costruire una Siria nuova”. Una dichiarazione ambigua e preoccupante a cui la Russia ha già risposto chiedendo dei chiarimenti: “A noi è stato detto, a tutti i livelli, che la coalizione americana opera in Siria esclusivamente per eliminare la minaccia del terrorismo” ha commentato il ministro degli esteri di Mosca. Secondo Lorenzo Marinone, analista Desk Nord Africa e Medio Oriente presso il CeSI (Centro studi internazionale) è innegabile l’attivismo di Macron in politica estera, non solo in Siria, ma nel Medio Oriente in generale, dettato dal fatto che le potenze occidentali, per l’atteggiamento anti-Assad che hanno sempre avuto, adesso che il presidente siriano sta vincendo la guerra si trovano completamente spiazzate in previsione di negoziati sul futuro del paese.

Come giudica la richiesta francese? Come un tentativo di mettere le mani sulla Siria dopo la fine della guerra al terrorismo?

E’ evidente che negli ultimi tempi la Francia stia cercando di ritagliarsi spazi più ampi non solo in Siria ma nel Medio Oriente in generale. Lo abbiamo visto nei giorni scorsi in modo spiccato con il bombardamento effettuato insieme a Usa e Regno Unito. C’è però da tenere presente una questione di fondo che sta alla base di questa richiesta del presidente francese a Trump.

Quale?

Di fatto la situazione del conflitto vede in una posizione assolutamente di secondo piano tutti quei paesi occidentali che in parte avevano accarezzato la caduta di Assad, in parte supportato in origine le istanze di liberalizzazione della società siriana. Adesso però la situazione è tale che senza una presenza americana sul terreno come quella attuale di fatto verrebbe meno l’unica leva da poter usare in fase di negoziati per fare pressioni non tanto su Damasco, ma su Mosca.

C’è la paura di perdere ogni possibilità di presenza in Siria?

Se viene meno la presenza americana ci sono pochi appigli per fare questa pressione. Teniamo anche presente che ufficialmente la presenza americana è sì indirizzata alla lotta contro Isis, ma negli ultimi mesi le seppur frammentarie dichiarazioni della strategia americana in Siria ci hanno fatto ben capire che una delle priorità americane è anche l’azione di contrasto all’espansione dell’influenza iraniana.

Trump però aveva promesso il ritiro delle sue truppe.

In quelle dichiarazioni ci sono ragioni di politica interna americana, perché un ritiro prima delle elezioni di mezzo termine farebbe buon gioco a Trump. E’ vero però che la limitazione dell’espansione iraniana si può ottenere non solo con una presenza militare. Per la Francia invece potrebbe essere più semplice ottenere i propri obbiettivi con l’ombrello americano.

Mi permetta un’obiezione: le parole di Macron sembrano il tentativo alquanto spudorato, dopo aver di fatto perso la guerra avendo sostenuto le formazioni anti-Assad, di voler rientrare in Siria adesso che i russi e Damasco hanno quasi del tutto eliminato il terrorismo. Che ne pensa?

L’ultimo bombardamento contro Assad è stato dipinto con toni apocalittici dalla stampa. La realtà dei fatti, al di là dei toni surriscaldati fra America e Russia, è che quello che è successo è stato un attacco limitato su dei siti ampiamente vuoti, dove non c’era alcun tipo di componente chimico già dal 2013, quando a bombardare fu Obama. Ciò dimostra che il dialogo con Mosca non si è mai interrotto e che da ambo le parti non c’è la volontà di rischiare un’escalation. I tre alleati occidentali non volevano fare altro che un gesto dimostrativo. Allo stato attuale poi da parte dei tre paesi non sembra ci sia alcuna intenzione di ripetere un gesto simile.

Forse però invece di fare questi giochini sarebbe meglio che questi paesi si occupassero di aiutare il popolo siriano che da anni soffre e ancora sta soffrendo una tragedia, non crede?

Noi come Centro Studi Internazionali siamo presenti in questi giorni a Bruxelles dove si tiene la conferenza sulla strategia dell’Unione Europea per la Siria, strategia decisa già un anno fa. L’approccio della Ue punta sulla ricostruzione, su aiuti umanitari, su un supporto diretto alla popolazione anche per riuscire ad avere una leva politica in sede negoziale al processo di pace di Ginevra guidato dall’Onu. Come detto prima, è vero che l’approccio francese sembra si stia leggermente modificando, che stia diventando più muscolare, però c’è una pluralità di approcci da parte europea, non c’è solo Macron.

Nel frattempo il portavoce ufficiale dell’Isis, Abul-Hasan Al-Muhajir è tornato a chiedere attacchi negli Usa e negli altri paesi della coalizione e ha annunciato una “nuova fase” per una guerra contro Russia e Iran. Che cosa hanno di concreto queste minacce?

L’Isis è stata degradata come presenza territoriale ma non è stata distrutta la catena di comando e quindi la possibilità di ricostruire la struttura. Ma azioni elaborate e strutturate all’estero hanno oggi meno capacità di essere messe in atto anche solo rispetto a due anni fa. Tuttavia questo messaggio si traduce soprattutto in una riconfigurazione della propria agenda. E’ vero che cita e incita ad attacchi all’esterno ma se consideriamo la propaganda dell’Isis, negli ultimi mesi vediamo una grossa differenza.

Quale?

Si sta orientando verso quelle zone dove esiste ancora una presenza territoriale dello stato islamico, Iraq, Siria e Libia, ma nel complesso sta diventando una componente minoritaria rispetto a com’è stata dal 2014 in poi.

Fonte: IlSussidiario.net

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