Russia ed Israele, dinamiche di una relazione ambivalente
Il dominio decennale di Vladimir Putin sulla scena politica russa potrebbe essere replicato da marzo 2012 con le elezioni presidenziali per le quali l’attuale Premier si è candidato alla fine di settembre, nel corso del congresso del suo partito, Russia Unita. Un ritorno sui generis per chi in realtà non ha mai lasciato il potere. La staffetta con il Presidente Medvedev è un segnale chiaro sulla direzione futura della linea politica al Cremlino. Continuità in politica interna, pur con qualche pericolo di involuzione democratica, e aggiustamenti in politica estera. La Russia di Puntin continuerà nel tentativo di solidificare le sue ambizioni di moderna potenza in grado di bilanciare il potere del vecchio blocco occidentale e delle altre potenze emergenti nel centro geostrategico del mondo, l’Asia. Per quello che riguarda il Medio Oriente, la sfida è quella di ricavare “guadagni” dai cambiamenti storici rappresentati dall’onda lunga della primavera araba. In questo scenario sono necessari adattamenti sebbene per Mosca gli obbiettivi in questa problematica regione del pianeta rimangono la stabilità politica, che favorisce gli scambi economici e sopratutto, l’affermazione del ruolo che la Russia in quanto “grande potenza” deve giocare in un’area tanto importante.
La notizia del ritorno di Putin alla presidenza è stata accolta con particolare favore dalla comunità ebraica che vive in Russia. Gli ebrei russi (stimati da 500.000 ad un milione ) vedono stabilità e chiarezza nelle scelte politiche di colui che ha saputo improntare le relazioni con Tel Aviv ad un puro realismo politico ed economico dettato da un preciso calcolo degli interessi nazionali. Putin, ex membro del KGB, ha spazzato via il tradizionale atteggiamento anti- semita tipico delle vecchie elites comuniste e zariste. La stessa battaglia contro gli oligarchi, in maggioranza ebrei, non era frutto di pregiudizi ideologici di sorta. Si trattava invece di far passare il concetto che la ricchezza non poteva condurre al potere o pesare sul potere. Era questo un passaggio essenziale per riprendersi le redini dello Stato sfuggite al Cremlino nel caos degli anni di Eltsin quando era emersa l’immagine di un Paese in cui un sistema di potere ancora instabile sembrava condurre alla decomposizione dello Stato.
Per Mosca, Israele è stato a lungo fonte di speranze e di illusioni. Quando lo Stato ebraico fu creato, l’Urss aveva sperato che questa entità, i cui fondatori provenivano in gran parte dall’impero russo cresciuto sotto l’ideologia socialista, avrebbe costituito l’avamposto dello spirito socialista e slavo in Medio Oriente. Ma quando Israele divenne un polo pro-americano nella regione, Mosca si rivolse agli arabi prendendo le loro parti nelle istanze internazionali e fornendo equipaggiamento militare, spesso per il tramite dei Paesi satelliti dell’Europa dell’Est.
Le relazioni diplomatiche russo-israeliane, interrotte nel 1967 dopo la guerra dei sei giorni, sono formalmente riprese nel 1991 quando la Russia ha ritrovato motivi di avvicinamento a Israele per farne, pur con un limite insuperabile, il legame strettissimo tra Tel Aviv e Washington, un suo vettore di influenza in Medio Oriente. Gli immigrati russi in Israele costituiscono 1/7 della popolazione e la gran parte di loro è arrivata dopo la caduta dell’URSS. Questa diaspora russa di livello intellettuale e professionale elevato, sta giocando, da qualche anno a questa parte, un ruolo politico importante che pesa sulla vita politica e sugli orientamenti dello Stato ebraico. Si tratta di un elettorato relativamente omogeneo che si situa in gran parte a destra dello scacchiere politico. Dal 1996, grazie anche alla formazione dei partiti Israel ba aliya e Israel Beiteinou (quest’ultimo fondato dall’attuale Ministro degli esteri, Avigdor Lieberman nel '99), i “russi” hanno sempre costituito parte della compagine governativa israeliana. In seno al Tsahal rappresentano circa il 25% del personale. Hanno combattuto in Libano nel 2006, alcuni all’interno delle unità speciali, a volte facendo valere le loro esperienze pregresse del conflitto in Cecenia, e durante la Seconda Intifada.
Gli isreliani-russofoni hanno spinto naturalmente per un riavvicinamento con Mosca. Questa struttura soggettiva ed emozionale influenza i decisori politici ed economici rendendo il fattore umano una chiave essenziale per la comprensione dei legami tra Mosca e Tel Aviv negli ultimi due decenni.
Il partenariato economico è assai dinamico malgrado la crisi finanziaria nel 2009 abbia alterato il volume degli scambi. La relazione economica, che dispone un quadro legale frutto di un accordo bilaterale del 1994, è caratterizzata dalla volontà delle parti di conferire a questa una dimensione multisettoriale. Gli israeliani importano essenzialmente minerali e idrocarburi. Negli ultimi anni ben più della metà delle importazioni di gas e petrolio israeliane sono state di provenienza russa. Mosca da parte sua, importa materiale medico e tecnologie di punta come sistemi sofisticati per equipaggiare parti degli aerei da combattimento destinati all’esportazione. Il commercio bilaterale dall’inizio degli anni '90 ha avuto una notevole progessione passando da 12 milioni di dollari nel '91 a 2,8 miliardi di dollari nel 2008. Israele nel 2010 ha importato dalla Russia beni per un valore di 784,6 milioni di dollari ( contro 472,6 nel 2000) e ha esportato per un valore di 818,2 milioni di dollari ( contro 146,4 nel 2000). Per La Russia la percentuale delle importazioni da Israele ha costituito nel 2010 il 35% del PIL mentre per le esportazioni il dato si attesta al 37%.
L’abolizione dei visti inoltre ha permesso un più agevole spostamento degli uomini d’affari e ha dato impulso anche ad una delle attività economiche di maggior rilievo per lo Stato ebraico, il turismo. Un altro aspetto della cooperazione tra i due Paesi è rappresentato dal settore tecnico e militare. Qui si sono avuti interessanti sviluppi, nondimeno il rapporto rimane limitato essenzialmente da due fattori. Un primo elemento riguarda la politica estera di Tel Aviv, vale a dire l’alleanza strategica israelo- americana che costituisce un parametro essenziale di cui si deve tener conto nella conclusione di contratti sia di carattere economico che militare. Il secondo fattore è piuttosto di tipo economico interno legato ad una forma di diffidenza reciproca. Russia ed Israele sono due Stati che possiedono un importante complesso militare ed industriale e sono alla ricerca costante di sbocchi commerciali.
Sebbene in alcuni mercati i prodotti russi ed israeliani potrebbero essere complementari, vi sono casi di concorrenza come per l’India. Se per New Dehli, il fornitore storico di equipaggiamento militare rimane Mosca, importanti commesse negli ultimi anni sono giunte proprio da Tel Aviv, desiderosa di allargare la sua quota di mercato. Alcuni esempi. A gennaio 2009 la Marina indiana ha acquistato dalla società Elta Systems due radar EL/M2083 per 600 milioni di dollari. A maggio dello stesso anno l’esercito indiano ha acquisito sistemi anti-missile per proteggere le coste per un montante di 1,4 miliardi di dollari. Infine, assai significativamente,gli israeliani sono riusciti, a danno dei russi, ad ottenere un contratto per la modernizzazione dei T-72 indiani. Nonostante ciò, proprio dal 2009 importanti contratti nel settore militare che sono il riflesso della crescente importanza di una relazione bilaterale in evoluzione anche dal punto di vista politico. Tel Aviv ha venduto ai russi 12 droni, i mini droni Bird-Eye 400 ( per la ricognizione da parte della fanteria) droni tattici I-View MK 150 e Searcher Mk II ( ricognizione operativa con una portata di 300 km).
In tale settore Mosca deve recuperare un ritardo dovuto alla scarsità degli investimenti effettuati negli anni '90 in R&D, come è emerso chiaramente dall’ultima campagna in Georgia. Nell’agosto 2008, malgrado la vittoria, l’esercito russo ha mostrato carenze nell’ambito della ricognizione tattica. A tal proposito a settembre dello scorso anno è stato firmato un accordo quadro tra i rispettivi Ministri della Difesa, Anatoly Serdyukov e Ehud Barak, che dovrebbe portare all’acquisto di tecnologia militare israeliana e alla possibilità che le FA russe si giovino dell’esperienza di quelle israeliane. Recentemente, nel maggio 2011 è stato firmato un documento che prevede una cooperazione per l’esplorazione dello spazio extra atmosferico e per la tecnologia dedicata ad un uso pacifico dello stesso. I due Stati, che già vantano una positiva partnership commerciale in quest’area, intendono in tal senso passare ad un livello di maggiore integrazione.
La guerra in Georgia ha avuto il merito di mettere in luce il realismo politico ed economico che caratterizza le relazioni israelo -russe. Malgrado l’assistenza tecnica e materiale fornita da Tel Aviv a Tiblisi (visori notturni, camere termiche, UAV Skylark, Hermes ed avionica per i carri T-72) le relazioni con Mosca non si sono affatto raffreddate come dimostra l’abolizione dei visti tra i due Paesi avvenuta esattamente un mese dopo il conflitto, nel settembre 2008.
Il Cremlino non ha inteso cioè sacrificare le relazioni con gli israeliani a causa dell’aiuto militare fornito da questi ai georgiani. Tale pragmatismo deriva dalla necessità, per entrambe le parti, di collaborare sulle questioni di interesse comune quali l’interesse a continuare un partenariato economico fiorente e a combattere il terrorismo islamista. Proprio relativamente alle questioni di sicurezza, è evidente il consolidamento dei legami tra due Paesi in guerra contro lo stesso tipo di nemico anche se con fini differenti. “Sfide simili se non identiche” nelle parole del Ministro Anatoly Serdyukov proprio dopo l’incontro con il suo omologo israeliano, Ehud Barak, nel 2010 riferendosi alla minaccia del terrorismo ( e alla proliferazione delle armi di distruzione di massa).
Per i russi si tratta di mettere in sicurezza il Caucaso del nord, mentre per gli israeliani la posta in gioco è la sopravvivenza stessa dello Stato. Specialmente dalla tragedia di Beslan del 2004 si sono intensificati gli incontri sul dossier terrorismo, vengono svolte regolarmente esercitazioni comuni e si è lavorato ad un documento raggruppante i diversi gruppi terroristici e i loro elementi. Le problematiche in cui l’intesa è più difficile, e dove emergono i limiti del partenariato, sono relative alla dimensione della politica russa in Medio Oriente. Due le questioni di maggior rilievo: la vendita di armi alla Siria e la cooperazione nel nucleare civile con l’Iran. In effetti a ben vedere i contrasti non sembrano insuperabili in quanto legati essenzialmente al tipo di approccio che Mosca ha in Medio Oriente.
L’azione del Cremlino in questa regione non è mai stata determinata da una visione politica dei problemi dell’area, quanto piuttosto da una logica di promozione degli interessi economici che costituisce una delle componenti principali della politica estera della Federazione russa dalla prima presidenza Putin, nel 2000. Oggi per Mosca l’obbiettivo è quello di rimettere piede in una regione strategica dove approfittare di opportunità economiche e commerciali oltre che integrare questa dimensione economica nella strategia di contappeso agli Stati Uniti. In questa zona del mondo Mosca ha dovuto colmare il gap della scarsa attenzione diplomatica che aveva caratterizzato l’era Eltsin.
La vendita di armi alla Siria e più in generale la postura verso Damasco, non è stata tuttavia frutto di un atteggiamento propriamente anti-israeliano, ma dettata piuttosto da esigenze economiche. La cooperazione con l’Iran laddove la Russia ha costruito e "gestito " la centrale di Busher che, giova ricordarlo, anche per questo è la meno problematica dell’intero dossier nucleare iraniano è ancora una volta frutto di considerazioni economiche.
L’ultima tornata di sanzioni a Teheran (giugno 2010) ha visto la partecipazione di Mosca che non può essere entusiasta di uno Stato nucleare ai suoi confini ed, in prospettiva, di una proliferazione a catena in Medio Oriente. Se invece le sanzioni al regime di Bashar al -Assad, concepite per le modalità di repressione della primavera araba nella versione siriana, non hanno trovato materializzazione per il veto di Mosca ( e Pechino) questo sembra derivare, ancora, dalla volontà di emergere come attore visibile e vitale nella regione impedendo la formazione del consenso verso un regime che prima o poi, anche per Putin, sarà necessario sconfessare.
All’insegna del rapporto costi-benefici va letta la cancellazione della vendita del missile S-300 alla Siria e all’Iran (ottobre 2011) influenzata in parte dalla necesssità di ottenere i droni israeliani. Se il commercio con Tel Aviv continua a fiorire, Mosca dovrebbe, in futuro, essere perlomeno più esitante nella vendita di armi ai nemici di Israele, magari con la fornitura di un equipaggiamento militare non suscettibile di alterare le forze in campo in un eventuale conflitto. In tal senso il dialogo Mosca- Tel Aviv sarà apprezzato anche oltreoceano. Infine la questione palestinese, snodo fondamentale della politica del Medio Oriente. Qui Mosca può avere un ruolo quanto mai significativo, non fosse altro per la circostanza che è l’unico Stato ad avere contatti formali con un attore fondamentale per ogni soluzione duratura di questo conflitto ultradecennale, Hamas, i cui dirigenti sono stati ricevuti dallo stesso Ministro degli esteri, Sergey Lavrov. In Russia, peraltro, i musulmani costituiscono circa il 15% della popolazione, il Cremlino dunque, anche per motivi di politica interna, ha tutto interesse a giocare un ruolo importante nella soluzione del conflitto israelo palestinese.
Dopo il suo reinsediamento alla presidenza della Federazione russa che dovrebbe avvenire formalmente nel maggio 2012, la linea di Putin probabilmente rimarrà improntata allo sviluppo delle relazioni tra Israele e Russia a cui si assiste in modo più evidente almeno dall’autunno 2008, e che rappresenta una continuità della densificazione dei legami iniziata nel corso degli anni '90. La cooperazione bilaterale, sopratutto per gli aspetti militari e tecnologici rimane comunque emblematica di una relazione ambivalente divisa tra interessi di sicurezza reciproci e diffidenza determinata per la maggiore dalla tradizionale politica filoaraba degli inquilini del Cremlino. Dopo il cambiamento dello scenario mediorientale prodottosi nel 2011 però, proprio la relazione Mosca - Tel Aviv potrebbe rappresentare la cartina di tornasole della nuova politica russa in Medio Oriente per diversi anni a venire.