L’ascesa cinese nello spazio alimenta la contesa con gli Stati Uniti
Negli ultimi anni la Cina ha ampliato la propria presenza nello spazio, incrementando il numero di satelliti e sonde sotto il suo controllo nell’orbita terrestre. A testimonianza di questo trend, vi è innanzitutto il lancio, verso la fine novembre, di un razzo della classe Long-March 5, che ha veicolato la sonda Chang’e-5 sulla Luna, nell’ambito di una missione scientifica volta a prelevare campioni di roccia da analizzare. Appena pochi mesi prima invece, tra marzo e giugno, altri due lanci hanno proiettato in orbita due satelliti, che completeranno la rete di navigazione satellitare di terza generazionedi BeiDou.
La Cina sembrerebbe dunque considerare lo spazio come la nuova frontiera dello sviluppo economico e dell’innovazione tecnico-scientifica, non solo a livello domestico, ma anche globale. Nell’ultimo _White paper_sull’attività cinese nel cosmo rilasciato da Pechino nel 2016 (viene pubblicato con cadenza quinquennale), è stata ribadital’intenzione pacifica dell’esplorazione spaziale, vista sia come mezzo per “perseguire il Sogno Cinese” di prosperità e gloria della nazione, sia come strumento di promozione del progresso nel mondo. Tuttavia, poiché quasi tutti i veicoli spaziali hanno un potenziale dual use, ovvero possono essere impiegati per scopi tanto civili quanto militari, è lecito ipotizzare che il recente intensificarsi delle operazioni nell’esosfera sia mosso, oltre che da ragioni politico-economiche e di ricerca, anche da questioni securitarie.
Per quanto riguarda i ritorni politico-economici dell’investire nell’industria aerospaziale, è evidente come nei piani di Pechino lo sviluppo delle capacità spaziali risulti fondamentale sia per sostenere la crescita, sia di proiettare _soft power_all’estero. Il recente ampliamento della rete satellitare (targata BeiDou) a uso civile ha permesso alla Cina di acquisire una porzione sempre maggiore di quote di mercato relative ai servizi satellitari, specialmente nei Paesi in via di sviluppo. Il sistema BeiDou, originariamente nato per servire le forze armate, fornisce oggi una copertura migliore del GPS nell’85% delle capitali mondiali, a testimonianza degli enormi passi avanti compiuti dalla potenza asiatica in questo settore. I suoi servizi, che trovano applicazione in svariati ambiti, tra cui quello della finanza, dei trasporti e delle telecomunicazioni, potrebbero essere distribuiti a livello globale tramite la Belt and Road Initiative (BRI), il vettore principale cui Pechino ricorre per diffondere i propri standard tecnici e industriali, oltre che i propri prodotti, nel blocco Afro-Eurasiatico. Inoltre**,** per fornire copertura di rete nelle zone più remote del pianeta scarsamente servite dai satelliti maggiori, la Cina starebbe anche esplorando la possibilità di produrre dei microsatelliti tramite il coinvolgimento di attori privati, sulla falsariga dell’eseprienza statunitense modellata sulla partnership tra la Casa Bianca e il brand Space-X di Elon Musk. Al momento si contano circa sessanta aziende (cinesi e non) che collaborano con Pechino per la realizzazione di nuovi veicoli spaziali. Tra queste, alcune cooperano direttamente con il governo centrale (Spacety, One Space Technology, Landspace Technology), mentre altre (l’argentina Satellogic o la pechinese Commsat Technology Development) ricevono finanziamenti da parte di colossi industriali cinesi quali Alibaba Group Holding e Tencent Holdings.
D’altro canto, spesso la distinzione tra utilizzo dei satelliti per fini pacifici (sviluppo economico e tecnologico) od offensivi risulta molto labile, perché molte delle funzioni che essi assolvono (geolocalizzazione, comunicazioni, previsioni su meteo ed eventuali catastrofi naturali, ricerca scientifica) possono essere declinate su un piano tanto civile quanto militare. Ad esempio, i servizi PNT (“posizionamento, navigazione e timing”), come il GPS o il corrispettivo cinese BDS (BeiDou Navigation Satellite System), consentono il funzionamento dei navigatori satellitari e supportano una lunga serie di attività quotidiane, ma permettono anche alle forze armate di tracciare gli spostamenti delle unità nemiche e di ingaggiare i bersagli da colpire con i missili balistici. Allo stesso modo, anche le telecomunicazioni hanno un ruolo determinante in campo militare, favorendo il passaggio di informazioni e dati raccolti dall’intelligence, o agevolando il coordinamento delle truppe durante le operazioni. Per questo motivo l’ampliamento della presenza cinese nello spazio potrebbe avere risvolti in ambito militare e di tutela della sicurezza nazionale. Ciò è suggerito anche dal fatto che nel 2015 il Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese abbia riconosciuto apertamente, attraverso il _White paper_dedicato alla strategia militare, che lo spazio dovesse essere un nuovo dominio della Difesa negli anni a venire, riconoscendolo, di fatto, come il futuro teatro della competizione mondiale tra Stati (insieme al cyberspazio). Secondo il documento, sarebbe dunque opportuno sviluppare nuove capacità spaziali per tutelare la sicurezza nazionale dalle minacce di una incipiente militarizzazione dello spazio a opera di altri attori internazionali.
A tal proposito, un forte incentivo per la Cina a proiettare la propria potenza nello spazio potrebbe sorgere da un security dilemma nei confronti degli Stati Uniti, che ad oggi lo dominano grazie alla presenza di un numero di satelliti di gran lunga superiore a quello del rivale asiatico. Stando ai dati dell’UCS Satellite Database, dei 2.787 satelliti in orbita intorno alla Terra, 1.425 sono americani, a fronte dei 382 cinesi. Di questi 1.425, 208 hanno scopi dichiaratamente militari, e sono gestiti principalmente da US Air Force, Dipartimento di Difesa e US Army Space and Missile Defense Command. Per quanto riguarda la Cina invece, i satelliti del PLA (People’s Liberation Army) sono 63, in gran parte lanciati a partire dal 2014, mentre ve ne sono altri 52 con funzioni di geolocalizzazione gestiti da BeiDou, cui è stata attribuita una potenziale doppia funzione civile e militare (per via del fatto che risultano sotto il controllo del Ministero della Difesa cinese).
A fronte di questa disparità e della crescente attenzione posta da Pechino verso lo spazio lascia presagire che questa dimensione sia destinata a diventare una nuova frontiera della contesa globale sino-americana e che lo spazio diventi così un nuovo ambito strategico per le due potenze nel quale posizionarsi per assicurarsi vantaggi competitivi di natura sia politico-economici sia militare. Da un lato la Cina, preoccupata per l’inferiorità rispetto a Washington, potrebbe continuare a investire sempre maggiormente nei programmi spaziali. Nel solo 2019 Pechino ha lanciato 34 razzi nello spazio, che hanno introdotto nell’esosfera un totale di 70 nuove sonde, soprattutto con funzione di geolocalizzazione e ISR (“intelligence, sorveglianza and ricognizione”). Dall’altro, gli Stati Uniti, allarmati per l’ascesa di Pechino, cercherebbero in ogni modo di conservare il vantaggio: non è un caso che sempre nel 2019 l’America abbia istituito una nuova sezione all’interno dell’Air Force chiamata US Space Force (USSF), specificamente dedicata alla difesa spaziale, cui verranno destinati oltre 15 miliardi di dollari nel solo 2021.
Il trend cui potenzialmente si assisterebbe nel futuro prossimo potrebbe dunque consistere in un testa a testa tra le due potenze a spedire in orbita un numero crescente di satelliti. Tuttavia, tale confronto resterebbe comunque piuttosto moderato, tanto che immaginarsi una “corsa allo spazio” spasmodica, sulla falsariga della Guerra Fredda apparirebbe più una suggestione che una concreta possibilità. Infatti, già l’elevato traffico nella fascia LEO (“low Earth orbit”, ossia l’orbita più vicina alla Terra, a 2000km dalla superficie) potrebbe limitare e rallentare questa nuova contesa spaziale, poiché potrebbe disincentivare il lancio di nuovi satelliti che aumenterebbero la congestione – e il rischio di collisione – nello spazio. Inoltre, la nuova corsa allo spazio che si profilerebbe tra Washington e Pechino non dovrebbe consistere nello sviluppo di armi di distruzione fisica dei satelliti (anti-satellite weapons, o ASAT), quanto più nella realizzazione di sistemi sofisticati in grado di raccogliere e utilizzare informazioni impedendo al nemico di fare altrettanto. Nel 2007, un test ASAT condotto dalla Cina ha mostrato come la demolizione di una sonda per mezzo di un’arma antisatellite generi un’enorme quantità di detriti, destinati a orbitare intorno alla Terra per anni a velocità elevatissime. Ciò ha portato a ritenere che qualora fossero diverse le sonde abbattute, gli stati potrebbero ritrovarsi a dover rinunciare per decenni ai programmi spaziali, poiché la grande mole di detriti generata in orbita metterebbe a repentaglio i nuovi satelliti in caso di collisione. E la preclusione dello spazio per un lungo periodo di tempo sarebbe un costo decisamente troppo elevato da sostenere per qualunque paese.
Per questo motivo, appare più probabile che la supremazia nello spazio per Cina e USA possa dipendere da altri fattori. Tra questi vi è sicuramente l’ampliamento delle capacità delle unità spaziali di fornire supporto alle attività terrestricivili e militari, ad esempio migliorando la capacità di missile warning – ossia di avvisare e intercettare i missili intercontinentali – per potenziare i sistemi di difesa antimissilistica. D’altro canto, a tendere l’electronic warfare e il cyber warfare potrebbero trovare un’applicazione sempre più ampia in ambito spaziale, in quanto capaci di compromettere il normale funzionamento dei satelliti, pur senza demolirli fisicamente.
Presumibilmente seguendo queste linee, Pechino potrebbe quindi portare avanti il discorso spaziale, mossa tanto da interessi economici quanto da necessità geostrategiche. Senza dubbio, un’accresciuta la presenza cinese nel cosmo contribuirebbe allo sviluppo economico del Paese, sia favorendo la ricerca scientifica, sia potenziando l’offerta di servizi legati alle telecomunicazioni. D’altro canto, per la Cina la nuova corsa allo spazio sarebbe anche legata a una questione di prestigio internazionale, in quanto costituirebbe un mezzo tramite cui rafforzare il proprio status di grande potenza e getteare le basi dell’ascesa a superpotenza globale. In quest’ottica, colmare il deficit nei confronti degli Stati Uniti appare quindi di vitale importanza.