Israele, monarchie arabe del Golfo e le prospettive per una “NATO mediorientale”
Secondo alcune ricostruzioni ufficiose riportate dal canale all-news israeliano i24News, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU), Bahrain e Israele starebbero discutendo la possibilità di definire formule comuni di cooperazione di sicurezza regionale per far fronte alle minacce comuni. Tutti e quattro i Paesi mediorientali, infatti, hanno da tempo individuato nell’Iran il principale tema di insicurezza in Medio Oriente. In altre parole, i rappresentanti dei Paesi coinvolti starebbero esaminando l’opportunità di dar vita ad un’alleanza difensiva di tipo militare che si richiami in parte alle proposte recenti avanzate dall’Amministrazione Trump in materia di Middle East Strategic Alliance (MESA), anche nota come “NATO araba” o “NATO mediorientale”.
A muovere le fila del progetto vi sarebbero Israele e, in maniera ufficiosa, il Regno saudita, attraverso una triangolazione con Bahrain e EAU. Infatti, nelle ultime settimane vi sono stati tutta una serie di contatti diretti avvenuti tra il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il Principe ereditario del Bahrain, Salman bin Hamad al-Khalifa (25 febbraio), quest’ultimo canale di dialogo ufficioso e indiretto degli interessi sauditi con Tel Aviv. Inoltre, il 1 marzo, Gabriel Ashkenazi, Ministro degli Esteri di Israele, ha incontrato il nuovo Ambasciatore degli EAU nel Paese, Mohamed al-Khaja, personalità di rilievo del Ministero degli Esteri emiratino in quanto suo Capo del Personale uscente. Questi incontri sono avvenuti sotto una matrice comune costituita dall’interesse convergente tra Israele, EAU e Bahrain nell’avversare un possibile rilancio del dialogo diplomatico tra Stati Uniti e Iran in materia di dossier nucleare. Una convergenza rafforzata anche dalla firma il 15 settembre 2020 dei cosiddetti Accordi di Abramo, che ha permesso ad Emirati Arabi Uniti e Bahrain di normalizzare i rapporti diplomatici con Israele. Seppur interessata ad una regolarizzazione futura dei rapporti, Riyadh continua ad intrattenere relazioni informali e ufficiose con Tel Aviv.
La notizia di un’alleanza difensiva rappresenterebbe uno step ulteriore rispetto al contesto vigente mediorientale, in quanto garantirebbe un piano politico e di sicurezza convergente atto a rafforzare uno status quo regionale in funzione anti-iraniana. Nella visione delle Amministrazioni Trump e Biden – seppur con le dovute proporzioni e differenze – la normalizzazione dei rapporti tra monarchie arabe del Golfo e Israele rappresenta un ricompattamento del fronte pensato sia per erodere margini operativi nei confronti dell’Iran, sia per favorire una maggiore integrazione in termini di partnership tra alcuni dei più importanti player regionali degli Stati Uniti. In questo contesto, però, non devono stupire né i segnali di apertura lanciati da Washington nei confronti di Teheran, per indurre quest’ultima a riconsiderare un ritorno alle trattative su un nuovo JCPOA (benché con formule più restrittive per gli iraniani), né tantomeno l’attacco aereo condotto dagli USA contro le milizie sciite filo-iraniane in Siria (25 febbraio) e atto principalmente a rassicurare i partner del Golfo ed Israele. Una condizione di apparente ambiguità che mostra però il più classico degli sticks and carrots, nel quale la volontà USA di ritorno alle trattative con la Repubblica Islamica non implica un accomodamento degli Stati Uniti all’Iran o alle intenzioni di quest’ultima di usare il quadro di distensione per garantirsi un ampliamento della sfera d’influenza nella regione.
Contestualmente l’adozione di manovre diversive da parte dei partner mediorientali senza un chiaro ed esplicito avvallo di Washington rappresenterebbe uno smacco politico e simbolico anche per gli stessi USA. Dato il crescente compattamento regionale in chiave anti-iraniana, la Casa Bianca sta cercando di definire con i partner di area delle linee rosse invalicabili nel tentativo duplice di non ridurre troppo la pressione nei confronti di Teheran senza dover concedere incentivi/alibi a sauditi e israeliani. Tuttavia una possibile strutturazione in chiave regionale di una risposta di deterrenza autonoma dal volere USA potrebbe aprire nuovi scenari destabilizzanti nel progetto di coesistenza pacifica considerata dall’Amministrazione Biden per l’intero Medio Oriente allargato.
Dunque, con l’indiscrezione giornalistica su un progetto di alleanza militare, Israele e le monarchie arabo-sunnite del Golfo testimoniano quanto le rassicurazioni americane sul dossier iraniano non siano sufficienti e che si preparano eventualmente a difendere le rispettive linee rosse anche senza l’appoggio USA, rischiando di fatto di decretare una discrepanza tattica d’interessi tra partner regionali e Stati Uniti.