Israele, Emirati e Bahrein firmano l’accordo di pace
Il 15 settembre gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e il Bahrein hanno siglato gli accordi di normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele, in una cerimonia alla Casa Bianca presieduta dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L’intesa formalizza una svolta importante nelle relazioni tra Tel Aviv e i due Paesi del Golfo, andando a ufficializzare un rapporto in realtà già solido da tempo, specie tra Abu Dhabi e lo Stato ebraico.
Oltre alla normalizzazione delle relazioni bilaterali, gli accordi sanciscono la futura firma di protocolli bilaterali nel campo degli investimenti, turismo e sicurezza. Un’intesa che avrà valore soprattutto per gli scambi commerciali e gli investimenti nella regione, grazie al potenziale combinato fra le tecnologie israeliane e le risorse finanziarie dei Paesi del Golfo. Manca invece qualsiasi riferimento alla (temporanea) sospensione dell’annessione israeliana dei territori della Cisgiordania, prevista dal cosiddetto Deal of the Century (la proposta di accordo americana per risolvere il conflitto israelo-palestinese presentata lo scorso gennaio). La sospensione era stata annunciata ad agosto come concessione strappata dagli EAU a Israele.
A livello politico, l’intesa ha sancito due tendenze in corso già da tempo nel mondo arabo. Da un lato, la volontà di formalizzare i blocchi di alleanze e dall’altro la creazione di un cordone difensivo in grado di contenere la minaccia iraniana. Di fatto, è proprio la comune ostilità verso Teheran la leva principale della convergenza tra Emirati, Bahrein, Israele.
Nel prossimo futuro, i primi due Paesi potrebbero fungere da apripista a un’intesa in funzione anti-iraniana tra l’intero blocco arabo (in particolare l’Arabia Saudita) e Israele. Il minor isolamento a livello regionale di Tel Aviv corrisponde però a un aumento delle difficoltà dell’Autorità Nazionale Palestinese, sempre meno sostenuta a livello internazionale. L’esclusione della leadership palestinese dai preparativi per l’accordo ne è una prova e evidenzia, al contempo, come quest’ultimo non costituisca un avanzamento del processo di pace, ma piuttosto il preludio a un possibile naufragio della soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese, cui non viene fatto alcun riferimento nel testo.