Iran: le implicazioni sulla politica interna ed estera della morte di Raisi e Amir-Abdollahian
Domenica 19 maggio, il Presidente iraniano Ebrahim Raisi e il Ministro degli Esteri di Teheran Hossein Amir-Abdollahian sono morti a seguito dello schianto dell’elicottero che li trasportava mentre sorvolavano un’area remota e montuosa, situata poche decine di chilometri a sud della diga di Qiz-Qalasi, in prossimità del villaggio di Uzi nella provincia dell’Azerbaigian orientale. L’incidente è avvenuto nel corso del viaggio di rientro della delegazione dall’inaugurazione congiunta con le autorità azere della diga sul fiume Aras. Insieme a Raisi e Amir-Abdollahian nell’elicottero Bell 212 andato distrutto viaggiavano anche il Governatore della provincia Malik Rahmati, l’Ayatollah Mohammad Ali al-Hashem, rappresentante della Guida Suprema nell’Azerbaigian orientale, e il responsabile della sicurezza del Presidente iraniano Sardar Seyed Mehdi Mousavi, tutti deceduti. Malgrado l’eccezionalità degli eventi, l’impatto di quanto accaduto dovrebbe essere estremamente limitato, tanto sul fronte interno quanto su quello esterno. Ciò è ancor più vero in assenza di elementi che smentiscano l’unica ipotesi al momento verosimile, ossia quella dell’incidente e, soprattutto, alla luce della decisione delle autorità iraniane di svolgere in tempi molto rapidi, entro la fine di giugno, le elezioni per la successione del Presidente al fine di evitare vuoti di potere.
L’incidente sembrerebbe essere stato causato da un guasto tecnico o più probabilmente da un errore umano, favorito dalle condizioni meteo avverse che hanno complicato anche le operazioni di soccorso. Oggetto di indagine, in questa fase, sarà la scelta di far sedere sul medesimo mezzo Presidente e capo della diplomazia, così come la gestione della fase di crisi che ha restituito l’immagine di un Paese non pienamente in controllo della situazione. Altre ipotesi, consistenti nel sabotaggio o nell’azione di attori esterni o interni alla Repubblica Islamica non appaiono verosimili per diverse ragioni. L’azione di attori esterni, in particolare, non sembra credibile in quanto un attacco di questo tipo, che corrisponderebbe a una vera e propria dichiarazione di guerra, produce effetti difficilmente prevedibili e non inquadrabili all’interno di una strategia definita. Inoltre, un attore esterno avrebbe probabilmente avuto come target gli esponenti dell’influente apparato militare e di sicurezza iraniano, come avvenuto anche in passato, anziché il Presidente e il Ministro degli Esteri, i quali non svolgono un ruolo necessariamente decisivo nella definizione della politica estera e di difesa del Paese. Anche l’opzione del sabotaggio interno appare come improbabile in quanto Raisi e Amir-Abdollahian sono di fatto espressione diretta del sistema di potere che domina l’Iran contemporaneo, seppur con sfumature diverse visti i ruoli e, soprattutto, il background personale.
Sul fronte interno, l’impatto di quanto avvenuto il 19 maggio dovrebbe limitarsi a due ambiti principali: la competizione tra le componenti conservatrici e radicali che dominano la vita politica iraniana e la partita per la successione al ruolo di Guida Suprema, per la quale Raisi era in corsa. Data la peculiarità del sistema istituzionale ibrido della Repubblica Islamica, il cui centro di gravità non è individuabile nelle cariche elettive come quella del Presidente, impatti rilevanti sulla stabilità complessiva del sistema appaiono poco probabili. La perdita di centralità progressiva del Ministero degli Esteri, il cui impatto sulla definizione del processo di policy-making iraniano è ridotta rispetto a istituzioni quali l’Ufficio della Guida Suprema e il Supremo Consiglio per la Sicurezza Nazionale, limita le conseguenze della scomparsa del capo della diplomazia nell’incidente aereo. In questo quadro, tutta interna al fronte più conservatore dovrebbe essere l’accesa corsa per la successione alla carica di Presidente. Altro effetto, limitato alle dinamiche politiche interne, riguarda la sorte degli esponenti vicini alla corrente di Raisi, i quali potrebbero faticare dopo la scomparsa del leader a mantenere un ruolo centrale nella cerchia ristretta di Ali Khamenei. Poco probabile appare anche l’ipotesi che i riformatori possano approfittare di quanto accaduto per scalare posizioni nelle gerarchie, anche alla luce dei recenti risultati delle elezioni parlamentari che descrivono l’area come isolata. L’impatto maggiore la morte di Raisi potrebbe averlo sulla corsa alla successione della Guida Suprema, dal momento che il figlio dell’Ayatollah in carica, Mojtaba Khamenei, ha perso quello che poteva essere uno dei principali competitor. Tuttavia, resta sul tavolo anche l’opzione che la Guida Suprema venga sostituita da un organo collegiale, scelta che rappresenterebbe un indebolimento di fatto del ruolo e una conferma della direzione che il Paese sembrerebbe aver preso, con il rafforzamento delle componenti militari rappresentate dai Guardiani della Rivoluzione (IRGC). Ulteriore effetto degli eventi in corso riguarda la modifica del calendario elettorale nazionale che vedrà svolgersi nel medesimo anno, salvo modifiche, tanto le elezioni presidenziali quanto quelle parlamentari.
Sempre sul piano interno, anche una ripresa delle proteste anti-governative appare poco probabile in questa fase per due ordini di ragioni. Nel breve, la fase di lutto nazionale e la necessaria mobilitazione degli apparati di sicurezza non concorrono a creare un ambiente propizio all’organizzazione di manifestazioni di dissenso. Gli ultimi mesi, inoltre, non sono stati caratterizzati da forte pressione nei confronti dell’esecutivo quanto piuttosto da apatia, come emerso anche dal dato sull’affluenza nelle recenti elezioni legislative. Anche problematiche strutturali quale l’assenza di una leadership in grado di interpretare il sentimento dei settori della popolazione insoddisfatti restano per ora inalterate. Infine, si segnala come Raisi non fosse leader estremamente popolare, ragion per cui la sua scomparsa potrebbe essere accolta senza particolari sussulti dalla società iraniana. L’attesa di un leader maggiormente in grado di far fronte alle sfide, principalmente economiche, che il Paese deve affrontare potrebbe caratterizzare dunque le prossime settimane.
Anche sul fronte esterno non ci si attendono mutamenti nella postura dell’Iran, almeno nel breve termine. Guida Suprema e IRGC, infatti, restano gli attori principali della politica estera e di difesa iraniana e il recente incidente non intacca, se non indirettamente, queste due istituzioni. Sul fronte dei rapporti esterni, di fatto, la Forza Quds riveste già oggi un ruolo decisivo e quanto accaduto non dovrebbe modificare, per esempio, il rapporto con i proxy regionali. Qualche ritardo potrebbe subirlo invece l’azione diplomatica, spesso basata sui rapporti anche personali stabiliti dai suoi protagonisti qual era Amir-Abdollahian, anche se il limitato peso specifico del Ministero nel suo complesso limita l’impatto della scomparsa del suo vertice. Anche la vicinanza alla Russia, sponsorizzata dagli apparati di sicurezza, e quella alla Cina non subiranno mutamenti. La stessa possibilità che gli avversari dell’Iran approfittino della fase attuale per modificare la propria azione appare poco realistica. La pressione di Israele sui proxy iraniani, su tutti Hezbollah in Libano, è di fatto già elevatissima ed eventuali mutamenti di strategia appaiono più legati all’andamento del conflitto a Gaza, alle dinamiche interne al Paese e alle pressioni internazionali, anziché alle vicende iraniane. Allo stesso tempo, il dialogo con gli Stati Uniti sul nucleare e la complessa gestione delle relazioni con l’Arabia Saudita non dovrebbe mutare prima dell’arrivo di un nuovo Presidente, il quale dovrebbe comunque essere espressione di settori che guidano già oggi la strategia e la politica iraniana nel contesto regionale e globale.