Gli Stati Uniti sbloccano l’impasse militare con l’Arabia Saudita: approvata la vendita di 280 missili aria-aria AIM 120C
Il 26 ottobre 2021, il Dipartimento di Stato americano ha approvato in via preliminare la vendita all’Arabia Saudita di 280 missili AIM 120C AMRAAM, per un valore complessivo di 650 milioni di dollari. Si tratta del primo accordo di particolare rilievo di natura militare tra Washington e Riyadh dall’insediamento del Presidente Joe Biden alla Casa Bianca.
Nello specifico, gli AIM 120C sono missili aria-aria a medio raggio, prodotti dall’azienda Raytheon Technologies e utilizzati prevalentemente in missioni di caccia, interdizione e superiorità aerea. L’aeronautica saudita potrà utilizzare tali sistemi per armare gli Eurofighter Typhoon e gli F-15C/D, F-15S e F-I5SA a disposizione di Riyadh, che già operano con gli AIM 120C AMRAAM. Presumibilmente, il contesto operativo nel quale potranno essere utilizzati tali missili saranno le missioni volte a contrastare gli attacchi perpetrati con i droni dalle milizie Houthi in Yemen. In linea con l’impegno statunitense a ridurre la violenza in Yemen, i missili non potranno dunque essere usati contro obiettivi a terra (il pacchetto include solo gli AIM 120C, missili con esclusive capacità aria-aria) ma solo per proteggere il Paese dagli attacchi perpetrati con vettori aerei, come i droni appunto, in netto aumento nell’ultimo anno.
Nonostante l’importanza tattica che risultano avere tali armamenti, il valore di questo accordo non va circoscritto alla sola dimensione militare. Sia durante la campagna elettorale e soprattutto nei primi giorni dopo l’insediamento, il Presidente Biden aveva infatti più volte richiamato l’importanza di rivalutare l’opportunità della vendita di armi ai Paesi del Golfo, in primis Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Il 27 gennaio 2021 era arrivata la conferma da parte del Segretario di Stato Antony Blinken dell’interruzione dell’esportazione di armi verso Riyadh, date le profonde ripercussioni umanitarie causate dal conflitto in Yemen. A tal riguardo, la recente approvazione del Dipartimento di Stato, seppur rappresentando solo la prima fase dell’iter necessario alla vendita delle armi, costituisce un vistoso segno di riapertura nei confronti del Paese mediorientale. L’eventuale vendita, per essere definitiva, necessita ora dell’approvazione del Congresso.
Allorquando il piano otterrà tutti i lasciapassare necessari, la commessa militare USA potrebbe rappresentare non solo un’assicurazione per i sauditi da qualsiasi forma di minaccia esterna, ma anche una possibile contropartita da usare nelle trattative di Vienna e Baghdad, rispettivamente sulla riattivazione di un JCPOA 2.0 e il dialogo regionale tra Riyadh e Teheran. Allo stesso tempo, questa intesa militare avrebbe una rilevanza fattuale immediata investendo proprio quello Yemen, che si è dimostrato negli anni il terreno più accidentato e complesso di confronto tra le potenze regionali e trait d’union tra i tavoli diplomatici precedentemente citati. È altresì innegabile che questo passaggio possa fungere da assicurazione di sicurezza anche per i partner regionali dei sauditi (Emirati Arabi Uniti e Israele, su tutti), che potrebbero giustificare quindi gli sviluppi nelle trattative con gli iraniani al netto di non doversi trovare in una percepita condizione di svantaggio strategico che li costringa a dover agire in autonomia rispetto a Riyadh e a Washington. Anche le recenti esercitazioni navali nel Mar Rosso, tenute dall’11 novembre da USA, Bahrain, Israele ed EAU ricadono in un certo qual modo nello scenario precedentemente presentato, con lo scopo quindi di fornire un segnale concreto di impegno statunitense ai partner regionali e di presenza costante nell’area nonostante il disengagement in un’ottica di prevenzione della minaccia e di contenimento dell’influenza iraniana nel Golfo e nel Medio Oriente. Infine, la stessa commessa militare rappresenterebbe un preciso segnale politico di deterrenza diretto alla Repubblica Islamica e ai suoi più immediati proxies nei quadranti regionali (dal Libano allo Yemen, dalla Striscia di Gaza all’Iraq), ai quali verrebbero indirettamente inviate delle red lines da non oltrepassare pena la fine delle trattative.
Pertanto, al di là degli interessi di parte, è evidente che questo accordo tra Arabia Saudita e Stati Uniti abbia un valore politico e militare esteso che investe prospettive molteplici legate a doppio filo con tutte le iniziative (non solo) diplomatiche in corso nella regione. In altre parole, la commessa militare rientrerebbe all’interno di un’iniziativa più ampia volta a definire una sorta di modus vivendi che garantisca e soddisfi in maniera più o meno plausibile sauditi e iraniani, ma anche tutta una serie di attori collaterali (Israele, EAU, Egitto, Turchia e Qatar) direttamente connessi a tali meccanismi e interessati a partecipare nell’edificazione di un nuovo sistema di coesistenza “pacifica” nel grande Medio Oriente in trasformazione.