Geopolitical Weekly n.328
Iraq: Nechirvan Barzani eletto presidente del Kurdistan iracheno, nonostante il boicottaggio dell’opposizione
A quasi 8 mesi dalle elezioni parlamentari del 30 settembre 2018, il Parlamento del Kurdistan iracheno ha eletto Nechirvan Barzani come nuovo Presidente, con 68 voti su 81 dei membri presenti. Lo stallo è stato provocato dalle complesse negoziazioni tra il partito di Barzani, il Partito Democratico del Kurdistan (PDK) e i partiti dell’opposizione per ottenere la maggioranza necessaria a formare un governo. Il principale partito di opposizione nella regione è storicamente l’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK), guidato dalla famiglia dei Talabani. Nonostante le due forze fossero giunte a un accordo, l’UPK ha deciso di boicottare il PDK durante le votazioni. La ragione sembrerebbe essere una violazione del PDK dei termini di questo accordo.
Infatti, nei mesi passati, il PDK avrebbe promesso l’assegnazione di una posizione da vicepresidente a un esponente del UPK, l’altra a un esponente del partito del Gorran. Quello che non è stato chiarito riguardo a queste nomine è chi dovrebbe gestire il dossier relativo agli affari militari. Secondo il PDK, la nuova legge presidenziale, approvata nei mesi scorsi, prevede che le competenze militari siano tutte nelle mani del Presidente; al contrario, l’UPK, rifacendosi all’accordo, sosteneva che esse avrebbero continuato a essere spartite finché i Peshmerga (le forze della Regione Autonoma del Kurdistan, RAK) non fossero stati unificati.
Inoltre, rimane aperta la questione di altre posizioni chiave all’interno dell’amministrazione, come il Ministero delle Finanze o la gestione della commercializzazione del petrolio. Il boicottaggio dell’UPK, dunque, lascia pensare che alcune posizioni e competenze promesse all’opposizione siano state poi ritrattate dal PDK.
Ad ogni modo, appare probabile che il neoeletto Presidente faticherà ad esercitare gli ampi poteri previsti dalla nuova legge presidenziale. Dato il timore dell’UPK che le prerogative di Barzani siano troppo estese e gli consentano di relegare la formazione dei Talabani in una posizione subalterna, questo boicottaggio potrebbe essere addirittura interpretato come un monito nei confronti del Presidente e del suo partito, ventilando così la possibilità di proseguire ed eventualmente accentuare quella rivalità tra i due partiti che aveva raggiunto uno dei suoi apici durante il referendum per l’indipendenza di settembre 2017, congelando de facto le istituzioni della RAK.
Israele: Fallisce l’intesa per il nuovo governo, si torna al voto
Mercoledì 29 maggio il Parlamento monocamerale israeliano, la Knesset, ha votato a favore del proprio scioglimento, indicendo nuove elezioni per il prossimo 17 settembre. La decisione arriva ad appena 2 mesi di distanza dalle elezioni parlamentari tenute lo scorso 9 aprile che avevano riconfermato il Premier uscente Benjamin Netanyahu per il suo 5° mandato. In questo contesto, il Primo ministro era stato incaricato di formare un nuovo governo entro 42 giorni dall’esito delle elezioni. Tuttavia, le trattative per raggiungere un accordo di coalizione sono fallite.
All’indomani delle votazioni di aprile, il leader del Likud Benjamin Netanyahu e il suo rivale Binyamin Gantz, ex Capo di Stato Maggiore e leader del partito Blu e Bianco, hanno ottenuto lo stesso numero di seggi in Parlamento, ovvero 35 su 120. Per riuscire ad ottenere la maggioranza in Parlamento, corrispondente a 61 seggi, entrambe le liste avrebbero dovuto ottenere l’appoggio dei partiti più piccoli, ricorrendo dunque a delle larghe intese. Ricucendo i rapporti con gli alleati della coalizione di governo della scorsa legislatura, Netanyahu avrebbe potuto ottenere, sulla carta, una maggioranza di circa 65 seggi.
Tuttavia, la crescente frammentazione partitica all’interno della destra ha impedito la formazione del nuovo governo, rimettendo in discussione anche le alleanze consolidatesi nel corso dell’ultimo decennio. In particolare, il dibattito ha visto soprattutto il partito nazionalista laico di Lieberman e i partiti ultraortodossi divergere su diverse questioni di politica interna che, stringendo Netanyahu tra veti incrociati, hanno reso impossibile la formazione del nuovo esecutivo.
Nel contesto di una mancata maggioranza, la legge israeliana prevede che il Presidente della Repubblica debba conferire l’incarico ad un altro esponente politico, a meno che la Knesset decida di sciogliersi e di indire nuove elezioni. Pertanto, per evitare che un nuovo esponente politico, quale Gantz, potesse avere qualsiasi chance di salire al potere, Netanyahu ha preferito supportare lo scioglimento del Parlamento. Di certo, Netanyahu, già indebolito dalle accuse di frode e corruzione, si appresta alla nuova tornata elettorale senza più quella certezza, costruita nel corso della sua lunga carriera politica, di rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per qualsiasi maggioranza alla Knesset, come è avvenuto regolarmente fin dal 2009.