Geopolitical Weekly n.144
Sommario: Libia, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Ucraina
Libia
Domenica 4 maggio, al termine di una caotica sessione, l’alto rappresentante del Congresso Nazionale Libico, Saleh Al-Makzouhm, ha annunciato la nomina del nuovo Primo Ministro, Ahmed Matiq, uomo d’affari di Misurata, considerato politicamente vicino alla Fratellanza Musulmana. Matiq sarà il Primo Ministro incaricato di formare il governo nazionale, nonché il quinto premier libico dal 19 marzo 2011, giorno della caduta di Muhammar Gheddafi e data di inizio del caos politico che ha investito la Libia. Il predecessore di Matiq, Abdullah Al-Thinni, aveva rassegnato le dimissioni dalla carica lo scorso 8 aprile, in seguito alle minacce rivolte a lui e alla sua famiglia da parte di organizzazioni jihadiste attive nel Paese nordafricano.
Il 42 enne Matiq, imprenditore alberghiero, non avrà un compito facile, a giudicare dalle forti divisioni che attraversano il parlamento e stando alla delicata situazione politico-sociale che si registra nel Paese. La debole autorità statale dovrà misurarsi con le componenti islamiste radicali e le milizie tribali che rivendicano il controllo di vaste aree del Paese, senza peraltro poter fare affidamento sulle forze regolari, smantellate in seguito alla caduta del regime di Gheddafi e attualmente in via di ricostruzione e di addestramento in alcuni paesi europei, tra cui Italia (341 reclute, a Cassino) e Gran Bretagna. Resta tuttavia da chiarire se, la nomina di Matiq, riuscirà a garantire quella continuità politico-istituzionale mancata sino ad ora e indispensabile ai fini di una progressiva stabilizzazione interna.
Nigeria
Il 5 maggio il leader del gruppo terrorista Boko Haram, Abubakar Shekau, ha rivendicato il rapimento di oltre duecento adolescenti cristiane, avvenuto lo scorso 14 aprile presso una scuola di Chabok, nella Nigeria nord-orientale. Stando alle indagini condotte dalle autorità nigeriane, alcune studentesse sarebbero state costrette a matrimoni forzati con i miliziani musulmani, mentre altre vendute attraverso i canali del traffico di esseri umani, per incrementare le finanze del gruppo. Le violenze contro i cristiani scatenate dal movimento di ispirazione jihadista nei primi mesi di quest’anno, hanno registrato una forte escalation a un anno dalle elezioni presidenziali del 2015. Di recente, l’attuale Presidente nigeriano Goodluck Jonathan, cristiano di etnia Ijaw, ha annunciato la volontà di ricandidarsi alle prossime elezioni, interrompendo la tradizionale alternanza tra presidenti musulmani delle etnie settentrionali Kanuri e Hausa-Fulani e presidenti cristiani appartenenti alle etnie meridionali Igbo e Yoruba. Di fronte a una simile prospettiva, appare plausibile che Boko Haram, costituito da membri delle comunità Kanuri e Hausa-Fulani storicamente rivali delle comunità di fede cristiana, miri a erodere i consensi del Presidente in vista delle prossime elezioni e a destabilizzare il Paese.
Repubblica centrafricana
Il 5 maggio, nuovi scontri tra i ribelli islamici del disciolto movimento Séléka e le milizie anti-Balaka cristiane (“anti-macete”) hanno provocato oltre 30 vittime a Mala, nella Repubblica Centrafricana (CAR) nord-orientale. La lotta tra le due fazioni non accenna a placarsi e ha, al contrario, assunto una forte connotazione etnico-religiosa con tendenze genocidarie. Di fatto, le milizie di autodifesa cristiane continuano a scagliarsi contro i gruppi musulmani, compresi gli ex ribelli, accusandoli di perpetrare violenze sui civili. Il deteriorarsi della situazione umanitaria e il rischio che l’instabilità interna possa diffondersi anche ai Paesi limitrofi, ha dato un impulso allo sforzo internazionale guidato dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea. A questo riguardo, la risoluzione 214914 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha garantito la legittimità internazionale per due missioni di stabilizzazione. Da un lato, ha offerto il quadro legale che ha autorizzato l’avvio della missione EUFOR CAR, che integrerà le forze francesi parte dell’operazione Sangaris, dall’altro ha istituito la Missione Multidimensionale Integrata per la stabilizzazione della Repubblica Centrafricana (MINUSCA). La nuova operazione ONU, che partirà a settembre con un contingente di 10.000 uomini, assorbirà il precedente mandato della Missione Internazionale di sostegno alla Repubblica Centrafricana a conduzione Africana (MISCA).
Ucraina
A tre settimane dall’inizio dell’operazione anti-terrorismo delle forze armate ucraine contro i separatisti filorussi nella regione di Donbass, si sono registrate circa 30 vittime tra gli insorti in seguito agli scontri verificatisi martedì 6 maggio nella città di Sloviansk. Nelle stesse ore, pesanti combattimenti hanno avuto luogo poco più a sud, nella città di Kramatorsk dove sarebbero rimasti uccisi 10 miliziani filorussi.
Gli eventi di queste ultime settimane aumentano le preoccupazioni circa lo scivolamento del teatro ucraino in una spirale di conflitto che rischia di far precipitare il Paese in una guerra civile, eventualità alimentata dalla circostanza che la leadership politica ucraina appaia in difficoltà nel tentativo di contenere l’escalation di violenza che si sta propagando nell’est del Paese. L’episodio occorso a Odessa, dove 38 attivisti filorussi sono morti in seguito a un attacco sferrato dal gruppo nazionalista Settore Destro e all’incendio che ne è scaturito all’interno della locale sede del sindacato, ha avuto l’effetto di esasperare ulteriormente lo scontro in atto.
L’annuncio dei separatisti di voler portare avanti il referendum indetto per l’11 maggio non ha convinto il Presidente russo Putin, che ha invitato i gruppi filorussi a posporre la consultazione elettorale, nel tentativo di ripristinare il dialogo tra le parti, anche in ragione delle imminenti elezioni presidenziali previste per il 25 maggio.
Osservato da una prospettiva più ampia l’esito della crisi in Ucraina sembra dipendere sempre più dallo sforzo che i principali attori coinvolti, Federazione Russa, Unione europea e Stati Uniti, sapranno profondere nelle settimane che seguiranno, nel tentativo di trovare un accordo che al momento, però, sembra ancora lontano, come ha evidenziato il fallimento della recente intesa siglata a Ginevra, che aveva prescritto la fine della delle violenze e imposto il disarmo delle truppe irregolari formate da miliziani filorussi.