Geopolitical Weekly n. 245
Canada
Il 29 gennaio, 6 persone sono state uccise e 19 sono rimaste ferite a seguito di un attacco al Centro Culturale Islamico di Quebec City, avvenuto durante la preghiera serale. Secondo la Polizia, il responsabile sarebbe Alexandre Bissonnette, un giovane di 27 anni studente di Scienze Politiche all’Università di Laval. ll Primo Ministro canadese Justin Trudeau ha definito l’accaduto un attentato terroristico, anche se le autorità nazionali non hanno ancora formulato un’accusa ufficiale in proposito.
Sebbene simpatizzante per le posizioni conservatrici and anti-immigrazione di Marine Le-Pen e del Presidente statunitense Donald Trump, il giovane canadese non sembra essere affiliato a nessun gruppo di estrema destra. Per ora, dunque, l’attacco si presenta come un atto di violenza politica isolato che va inserito, tuttavia, in un contesto politico polarizzato quale quello canadese.
Infatti, se da una parte il Governo canadese ha fatto del multiculturalismo e delle politiche di accoglienza un suo pilastro, dall’altro esiste una non trascurabile tendenza islamofobica e anti-immigrazione sia tra alcuni esponenti politici sia tra l’opinione pubblica, recentemente alimentata dal rischio di attentati terroristici e dalla diffusione dei dati sui foreign fighters canadesi, il cui numero è di circa 200 unità.
In Canada sarebbero più di 100 i gruppi di estrema destra, attivi soprattutto in Quebec, Ontario Occidentale, Alberta e in British Columbia. Inoltre, durante le elezioni federali del 2015, molti elettori, soprattutto in Quebec, hanno sostenuto la proposta di alcuni rappresentanti del Partito Conservatore (32% dei consensi nelle ultime elezioni del 2015) di vietare alle donne musulmane l’uso del niqab in pubblico. Allo stesso modo, nel 2016, la proposta della candidata leader del Partito Conservatore Kelly Leitch di selezionare gli immigrati sulla base del loro rispetto ai valori canadesi ha avuto un ampio consenso popolare.
Dal 2012 ad oggi, gli atti di violenza contro la comunità musulmana sono aumentati. Nel settembre 2013 la Moschea di Sangenay, vicino a Montreal, fu vandalizzata con del sangue di maiale. Nel 2015, il giorno dopo gli attentati di Parigi, venne bruciata la Moschea di Peterbourgh in Ontario. Nel 2016, fuori la porta dello stesso Centro Culturale Islamico di Quebec City, durante il Ramadan era stata lasciata la testa di un maiale.
Si pensa, dunque, che le politiche anti-accoglienza e anti-immigrazione proposte dal Presidente Trump potrebbero influenzare lo scenario politico canadese ed esacerbare ulteriormente la sua polarizzazione.
Indonesia
Il 23 Gennaio, a Giacarta, circa 2.000 membri dell’Organizzazione Islamica indonesiana, Islamic Defenders’ Front (FPI) insieme ad altri gruppi filo-musulmani hanno protestato contro la polizia indonesiana che sta investigando contro Habib Rizieq Shibab, leader di FPI. L’Imam è stato accusato del reato di blasfemia per alcune dichiarazioni sull’ideologia Pancasila e sulla Religione Cattolica.
In Indonesia, si professano sei religioni, considerate tutte uguali dalla Costituzione. Il 90% della popolazione, tuttavia, è di religione musulmana. La Legge contro la blasfemia negli ultimi mesi è stata usata più volte per esacerbare le tensioni sociali tra i musulmani e le altre minoranze religiose, soprattutto in vista delle elezioni del 15 Febbraio che designeranno il nuovo Governatore di Giacarta. Dei tre candidati in lizza, l’attuale Governatore Basuki Tjahaja Purnama Ahok, in corsa per un secondo mandato, è l’unico non-musulamano, in quanto cattolico e di origini cinesi. Gli altri due, Angus Harimurti Yudhoyono, figlio dell’ex Presidente Susilo Bambang Yudhoyono, e Anies Baswedan, ex Ministro indonesiano della Cultura e dell’Educazione, sono invece sostenuti da Partiti islamisti.
La questione dell’appartenenza religiosa potrebbe diventare una discriminante per le prossime elezioni e compromettere fortemente la candidatura di Ahok, al quale è stato intentato un processo per aver commesso anche lui un reato di blasfemia. A Settembre, infatti, durante un comizio Ahok avrebbe accusato i suoi oppositori di religione musulmana di utilizzare il versetto 5:51 del Corano per scoraggiare gli elettori a sostenere la sua candidatura. Il video del comizio è stato poi editato dall’opposizione e le parole di Ahok sono state interpretate come un insulto all’Islam. Le proteste scoppiate contro il Governatore, nei mesi successivi, sarebbero state guidate proprio da Habib Rizieq Shibah. Nel frattempo, alcuni sondaggi hanno mostrato un abbassamento del grado di apprezzamento di Ahok, che fino a inizio Settembre era il candidato favorito. Nonostante le riforme implementate negli ultimi anni abbiano riscosso il plauso popolare, la delegittimazione portata avanti dalle organizzazioni islamiste potrebbe di fatto erodere i consensi e assottigliare il bacino elettorale del Governatore.
Marocco
Il 30 gennaio, l’Unione Africana, durante la riunione plenaria tenutasi ad Addis Abeba, ha ufficialmente riammesso il Marocco al suo interno, dopo oltre 32 anni di esclusione.
Infatti, nel 1984, Re Hassan II, padre dell’attuale sovrano Mohammed VI, avevo deciso di ritirarsi dall’Unione Africana dopo che questa aveva concesso lo status di membro alla Repubblica Araba Democratica dei Saharawi, organizzazione para-statale che rivendica la propria sovranità sui territori del Sahara Occidentale in opposizione al Marocco.
Per l’attuale sovrano Mohammed VI, invece, l’ingresso nell’Unione Africana era diventata una conditio sine qua non per riaffermare il ruolo del suo Paese nel Continente Africano, creando i presupposti politici e legali per migliorare la penetrazione economica marocchina in Africa. Gli Stati sub-sahariani, infatti, sono i maggiori destinatari dell’export dell’industria manifatturiera marocchina.
L’Unione Africana è anche il forum dove il Marocco può far valere le proprie ragioni sulla questione del Sahara Occidentale, dal momento che l’ONU diverge con la posizione del governo di Rabat. Il Fronte Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro), organizzazione combattente che guida la lotta per l’autodeterminazione del popolo Saharawi dal 1975 chiede la piena autonomia per i territori del Sahara Occidentale, mentre il Marocco propende per la concessione di una vasta autonomia nel rispetto dell’unità territoriale del Regno.
Dunque, attraverso l’ingresso nell’Unione Africana, Rabat potrebbe cercare nuove leve diplomatiche per esercitare forme indirette di pressione politica sul Fronte Polisario e spingerlo ad accettare la soluzione autonomista.
Ucraina
A partire da domenica 29 Gennaio è stata registrata una significativa ripresa degli scontri tra l’Esercito nazionale e le milizie separatiste filorusse delle autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk lungo tutta la linea del fronte. Secondo le stime del Ministero della Difesa ucraino sarebbero stati uccisi 8 militari ucraini e 16 miliziani ribelli. Si tratta del numero di vittime più alto mai registrato dall’ultima tregua stabilita il 23 dicembre scorso. A destare particolare preoccupazione è stato il massiccio impiego di artiglieria e sistemi lanciarazzi mobili, decisamente aumentato rispetto ai mesi passati. L’escalation di violenza potrebbe provocare l’assottigliamento della zona di separazione tra le aree controllate dai separatisti e il resto del Paese (grey zone) lungo tutta la linea del fronte e produrre un significativo aumento nelle dimensioni e nell’intensità della campagna militare, riproponendo scenari già osservati nel 2014-2015.
Secondo Kiev l’escalation delle violenze sarebbe cominciata quando i ribelli pro-russi hanno attaccato la città industriale di Avdiivka, a 10 km di Donetsk, controllata dalle Forze Armate ucraine. Tale versione è stata smentita dagli organi di stampa dei separatisti, che invece avrebbero accusato gli ucraini di aver iniziato l’attacco verso Donetsk.
Questa ripresa delle attività militari è segno delle perduranti difficoltà di dialogo politico tra le parti e di rispetto degli Accordi di Minsk II. Tuttavia, secondo il governo di Kiev, gli eventi di Avdiivka rappresenterebbero il tentativo di Mosca, accusata di sostenere militarmente i ribelli, di testare la volontà della nuova amministrazione statunitense di tutelare e difendere l’integrità territoriale ucraina.