Attacco a Natanz: l’Iran accusa Israele
Le autorità iraniane hanno annunciato, l’11 aprile, che un attacco hacker ha colpito l’impianto nucleare di Natanz, dove il giorno prima erano state inaugurate nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio alla presenza del Presidente Hassan Rouhani. Sebbene la ricostruzione ufficiale fornita da Teheran abbia minimizzato i danni subiti, gli effetti dell’attacco sembrerebbero essere ben maggiori rispetti a quanto dichiarato. Le autorità iraniane hanno fin da subito attribuito l’atto di sabotaggio ad un’operazione condotta da Israele. Pur in assenza di rivendicazioni, secondo alcune fonti d’intelligence occidentali, il blackout sarebbe stato un attacco cibernetico condotto dall’Unità 8200, forza specializzata del Mossad in attività di _cyber-_warfare. Una conferma ulteriore giungerebbe dalla stessa stampa israeliana, la quale ha individuato nel sabotaggio un attacco informatico condotto dai servizi d’intelligence nazionali.
Già in passato Natanz è stata oggetto di attacchi volti a colpire il programma nucleare della Repubblica Islamica. Oltre al più noto Stuxnet del 2008, nel luglio scorso lo stesso impianto è stato oggetto di una serie di esplosioni non meglio identificate, che avevano indotto le autorità iraniane ad accusare ancora una volta Tel Aviv di aver organizzato l’operazione di sabotaggio, avvenuta pochi mesi prima dell’uccisione illustre di Mohsen Fakhrizadeh Mahabadi (novembre 2020), allora a capo del programma di arricchimento nucleare e rimasto vittima di un attentato in circostanze mai del tutto chiarite, ma per il quale le autorità locali avevano puntato il dito contro il Mossad.
Una situazione a dir poco incandescente che avviene in un momento anche molto delicato dopo i recenti incontri di Vienna, che ha visto interagire i negoziatori di Iran e del cosiddetto gruppo 5+1 (Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Stati Uniti + Germania) per riavviare il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA).
Benché Israele, non abbia rivendicato direttamente la paternità dell’attacco, vi sono numerosi elementi che farebbero propendere, quanto meno, per un coinvolgimento diretto di Israele nel blackout informatico. Un elemento che contribuirebbe ulteriormente ad aumentare le tensioni bilaterali, nonché a complicare i rapporti con l’Amministrazione Biden, che da mesi si è spesa per rilanciare le trattative sul nucleare iraniano con Teheran, trovando invece una netta contrarietà israeliana e delle monarchie arabe del Golfo. Inoltre, la notizia arriva con un tempismo a dir poco sospetto, considerando che nelle stesse ore dell’attacco cibernetico, il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, il Generale Lloyd Austin, atterrava in Israele per colloqui con il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il suo omologo Benny Gantz. L’evento ha infatti creato un qualche imbarazzo anche in virtù del fatto che la visita di Austin mirava a presentare al partner le nuove strategie attuative degli USA per l’area MENA, specie dopo l’inserimento di Tel Aviv nell’Area of Resposanbility del CentCom e come approfondimento degli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrain dello scorso settembre, che hanno aperto nuovi scenari e prospettive per l’intero sistema di sicurezza regionale.
Da parte iraniana, l’attacco potrebbe complicare il quadro del negoziato in corso a Vienna. Nonostante non siano ancora accertati effettivamente i danni materiali in termini di capacità di arricchimento e di effetti sull’avanzamento del programma nucleare, l’eco interna dell’episodio potrebbe irrigidire la posizione di Teheran nel dialogo, specialmente con gli Stati Uniti. Quanto accaduto, infatti espone il governo Rouhani alle possibili critiche da parte delle forze oltranziste, contrarie alla ripresa dei contatti con Washington e pronte a sfruttare le difficoltà dell’attuale esecutivo in vista della campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali. In un momento in cui gli equilibri interni allo scenario politico della Repubblica Islamica pendono a favore degli ultraconservatori, il governo pragmatista di Rouhani potrebbe vedersi ridurre drasticamente il già esiguo spazio di manovra ad oggi a disposizione per provare a recuperare il JCPOA. Ciò potrebbe tradursi in un’ulteriore cautela dei negoziatori iraniani che potrebbe dilatare le tempistiche della trattativa, con il rischio di consegnare il dossier nucleare all’esecutivo che uscirà dalle elezioni di giugno.