Abu Dhabi va in soccorso della lira turca ma le incognite rimangono
In un contesto in cui l’economia turca si trova in sempre maggiore difficoltà, una prospettiva potenzialmente incoraggiante è fornita dal recente accordo sottoscritto tra la Banca Centrale turca e la Banca Centrale degli Emirati Arabi Uniti, per uno scambio swap in valute locali, il cui valore nominale è di circa di 64 miliardi di lire e 18 miliardi di dirham (circa 4,90 miliardi di dollari). L’accordo ha una durata di tre anni con la possibilità di essere ulteriormente esteso. Come dichiarato dal Governatore turco Şahap Kavcıoğlu, questo accordo mostra l’impegno che le due Banche Centrali intendono profondere nel rafforzare le relazioni economiche e finanziarie tra i due Paesi.
L’intesa appena raggiunta è solo l’ultimo tassello di un lungo percorso che ha portato la Turchia ad un progressivo riavvicinamento al Paese del Golfo. Già a novembre 2021, il Principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al-Nahyan si era recato in visita ad Ankara, su invito del Presidente Recep Tayyip Erdoğan, concludendo dieci accordi nel campo dell’energia, dell’ambiente, della finanza e del commercio. In quella stessa visita, si erano anche svolti i colloqui preliminari sullo scambio di valuta e sull’istituzione da parte emiratina di un fondo da 10 miliardi di dollari per sostenere gli investimenti nella Repubblica turca. Sulla scia di questa cooperazione rafforzata, il Presidente della Grande Assemblea di Turchia, Mustafa Şentop, ha visitato il 21 gennaio 2022 gli Emirati Arabi Uniti ed il prossimo febbraio lo stesso Erdoğan dovrebbe recarsi ad Abu Dhabi per sancire definitivamente questo nuovo canale di comunicazione.
La cooperazione tra Ankara ed Abu Dhabi non è un elemento scontato, soprattutto alla luce del sostegno che la Turchia ha fornito al Qatar nel momento in cui, dal 2017 a gennaio 2020, quest’ultimo è stato sottoposto a misure di embargo da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, sfruttando il momento attuale in cui le fratture tra i Paesi mediorientali si stanno progressivamente ricomponendo e facendo sfoggio di uno spiccato pragmatismo politico, Erdogan ha ricalibrato la propria politica estera in modo da renderla funzionale al sostegno dell’economia turca. Infatti, in un contesto in cui la lira turca ha perso in un anno circa il 44% del suo valore nei confronti del dollaro e le riserve si stanno progressivamente esaurendo, Ankara ha bisogno del sostegno economico e finanziario che un Paese come gli EAU può fornire, proprio per scongiurare che la forte crisi monetaria precipiti in una nuova spirale difficilmente arginabile. D’altronde, l’intesa di scambio di valute non è l’unica che la Banca Centrale Turca ha stipulato. L’istituto nazionale ha infatti altri accordi di swap con Cina, Qatar e Corea del Sud per un valore di circa 23 miliardi di dollari e negli ultimi tempi sembra che abbia ricercato accordi simili anche con altri con altri partner come Stati Uniti, Regno Unito, Russia e Malesia.
Al netto dell’importanza che questi accordi possono avere nel sostegno alla lira turca, è tuttavia difficile pensare che essi siano sufficienti a ribaltare in maniera strutturale le sorti dell’economia turca se non saranno accompagnati da un cambiamento radicale da parte della Banca Centrale Turca (TCMB) della propria politica monetaria. Infatti, malgrado la svalutazione galoppante e nonostante l’inflazione abbia raggiunto a gennaio il valore record del 36%, la TCMB continua ad adottare una politica monetaria espansiva e non sembra intenzionate ad aumentare i tassi di interesse per raffreddare la domanda, proteggere il valore della valuta e preservare il potere d’acquisto. Le scelte della TCMB sono fortemente influenzate dalla volontà del Presidente Erdoğan di imporre una politica monetaria il più possibile espansiva per favorire investimenti ed occupazione, e quindi rilanciare la crescita economica in vista delle elezioni del 2023. Tuttavia, le decisioni di politica monetaria, nonostante il soccorso emiratino, risultano essere poco sostenibili, come dimostrato dalle forti rimostranze del mondo imprenditoriale turco, che è stato fortemente colpito dall’aumento del prezzo delle importazioni generato dal deprezzamento della lira, soprattutto nel settore energetico.