Gli Emirati Arabi Uniti portano l’idrogeno verde in Medio Oriente
È di pochi giorni fa la notizia dell’avvio del primo progetto pilota per la produzione di acciaio alimentato a idrogeno verde nel quadrante mediorientale. Ad aggiudicarsi questo primato in campo energetico sono gli Emirati Arabi Uniti (EAU), dove la collaborazione tra Masdar e EMSTEEL, rispettivamente società leader nel processo di transizione energetica e nella produzione d’acciaio, ha permesso la realizzazione del primo impianto operativo che punta a ridurre del 95% le emissioni di anidride carbonica rispetto al metodo convenzionale. Nel processo standard per ottenere ferro puro (la base dell’acciaio) è necessario che un agente riducente rimuova l’ossigeno dal minerale ferroso, misura per decenni implementata grazie all’utilizzo di carbone o gas naturale, pagando la contropartita di ampie emissioni di anidride carbonica come sottoprodotto della reazione innescata. L’idrogeno verde è ottenuto grazie all’elettrolisi, una reazione chimica che separa le molecole d’acqua nei loro elementi costitutivi attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili (eolica o solare) e permette di ottenere il medesimo risultato finale, sostituendo l’idrogeno alle componenti fossili e rilasciando come sottoprodotto vapore acqueo anziché anidride carbonica.
L’interesse di Abu Dhabi nel diversificare le fonti di approvvigionamento energetico risponde a concrete necessità politiche legate a rilevanti opportunità economiche e commerciali: sfruttando la posizione geografica e le condizioni climatiche favorevoli alla produzione di idrogeno, le ambizioni emiratine sono radicate nella consapevolezza che gli anni a venire sono segnati dal progressivo abbandono dell’utilizzo di combustibili fossili. Nonostante lo storico ruolo giocato nel mercato petrolifero (ottavo posto mondiale per quanto concerne l’esportazione) e una quota sostanziale di PIL derivato dalle attività ad esso connesse (circa il 30% del totale), gli avanzamenti per quanto riguarda la transizione energetica e il distaccamento dalla dipendenza dagli idrocarburi procedono seguendo un approccio pragmatico e rilevante a livello economico. L’ambiziosa “Strategia Idrogeno 2050”, annunciata al termine del 2023, prevede un investimento tra i 40 e i 50 miliardi di dollari entro il 2030 con l’obiettivo di triplicare la propria capacità rinnovabile nei prossimi sette-otto anni, realizzando cinque “oasi dell’idrogeno” per raggiungere il traguardo di produzione di 1,4 milioni di tonnellate l’anno nel 2031 e di 15 milioni annuali nel 2050, anno in cui l’obiettivo prefissato rappresenta un 44% del fabbisogno energetico del Paese proveniente da fonti rinnovabili, contro un drastico taglio al 12% nell’utilizzo di combustibili fossili (paragonato ad oltre il 70% impiegato attualmente).
L’interesse legato alla recente inaugurazione di questo impianto è da contestualizzare in un quadro più ampio che rappresenta l’approccio multipolare intrapreso dagli EAU negli ultimi anni. Non a caso, dalla stagione successiva al Covid-19, l’approccio strategico della Federazione è stato duplice: da un lato, si puntava a favorire attraverso la diplomazia, anche economica, una de-escalation generalizzata delle tensioni nell’area; dall’altro lato, si è spinto sull’utilizzo del soft power trainato dal vettore commerciale-infrastrutturale come fattore relazionale privilegiato tra Stati nella regione. In questo modo, Abu Dhabi dava seguito al superamento dell’unilateralismo filo-USA in favore di una sua personale visione di multilateralismo ad ampio spettro, dentro e fuori i confini mediorientali. Il partenariato strategico con la Cina, la cooperazione in materia di sicurezza con Turchia e Russia o il dialogo (mal digerito da Washington) con i talebani dell’Afghanistan sono alcuni esempi della bussola emiratina che ha iniziato a puntare più fronti cercando di non inimicarsi nessun attore rilevante a livello internazionale. Nonostante l’evidente apprensione per l’attuale crisi nel Mar Rosso, che ha danneggiato pesantemente le attività commerciali di società come la DP World di Dubai (-60% di profitti in un anno), parallelamente al conflitto in Sudan, dove il coinvolgimento emiratino in favore delle Rapid Support Forces (RSF) pare verosimile anche agli osservatori delle Nazioni Unite, l’immagine che Abu Dhabi desidera fornire ai riflettori internazionali rimane quella di una potenza pacifica, dedita allo sforzo diplomatico per la risoluzione dei conflitti e interessata a svolgere un ruolo di mediazione e dialogo per rappresentare le istanze dei Paesi del cosiddetto “Sud globale”. Premesse simili portano direttamente all’inaugurazione di questo storico impianto di produzione d’acciaio in Medio Oriente, simbolicamente carico d’impegno nei confronti della lotta al cambiamento climatico e pragmaticamente orientato a rinnovate opportunità economiche, attirando nuovi investimenti e contratti con soggetti attenti a seguire nuovi e ristretti parametri di sostenibilità come l’Unione Europea.