Terrorismo: si indaga sugli spostamenti del tunisino Amri
All’indomani dell’uccisione dell’autore della strage di Berlino, a Sesto San Giovanni nel milanese, gli inquirenti dell’antiterrorismo si interrogano sulle possibili coperture e sulle reali intenzioni del terrorista Anis Amri, giunto in Italia passando dalla Francia. Intanto, in Tunisia è stato arrestato il nipote dell’uomo, nell’ambito di un’operazione delle forze di sicurezza contro una cellula terroristica. Il ragazzo avrebbe comunicato con lo zio via Telegram. Il servizio di Marco Guerra:
Si indaga nelle ore e nei giorni che Anis Amri ha passato tra la strage di Berlino, costata la vita a 12 persone, e l’epilogo della fuga in Italia, con la sparatoria e la sua uccisione. L’antiterrorismo di Milano cerca di capire se il tunisino abbia goduto di coperture e soprattutto cosa facesse a Sesto San Giovanni. L’uomo ha attraversato Germania, Italia e Francia senza documenti e con pochissimi effetti personali, tra cui la pistola con cui ha sparato e una scheda telefonica al vaglio degli inquirenti. Dal canto suo, la polizia tedesca spera di trovare alcune risposte dal cellulare ritrovato nel camion utilizzato per compiere la strage. E’ plausibile che nei quattro anni trascorsi nelle carceri siciliane, l’uomo abbia stabilito dei contatti che possano essergli tornati utili in Italia. C’è poi il video, diffuso ieri dall’Is, in cui Amri giura fedeltà al cosiddetto Stato islamico. Il questore di Milano ha definito il ragazzo una ‘scheggia impazzita’ e non ha escluso che avrebbe potuto fare altri attentati. E mentre si vagliano tutti questi elementi, oggi le forze speciali tunisine hanno smantellato una cellula terroristica composta da tre membri di età tra i 18 ed i 27 anni, uno dei quali nipote del killer di Berlino. I due parenti comunicavano via Telegram per eludere i controlli di polizia. L’allerta sale in tutto il continente, soprattutto in Italia. Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha inviato una circolare in cui si invita alla “massima attenzione” poiché “non si possono escludere azioni ritorsive”. Sulla sicurezza e la lotta al terrorismo sentiamo il presidente del Centro Studi Internazionali, Andrea Margelletti:
R. – Al momento, l’unica cosa che pare plausibile è il fatto che Amri, visto che è stato sul territorio italiano per molto tempo, probabilmente avesse una rete di contatti tra il mondo della criminalità o del radicalismo e che quindi, questo saranno le indagini a verificarlo, cercasse un rifugio sicuro.
D. – E’ possibile, quindi, pensare che avesse un piano o si è tratttato della fuga disperata di un uomo braccato?
R. – No, qua di fughe disperate non ce ne sono, Amri non lo fa reagendo di istinto, ma all’interno di una progettualità ben definita.
D. – Come ha fatto ad attraversare l’Europa? Quale era la sua meta finale? Aveva appoggi nel nostro Paese? Ecco, davanti a tutti questi interrogativi, ci si chiede quanto siano integrate le intelligence europee…
R. – Qui non è questione di integrazione delle intelligence europee, qui è questione che uno attraversa i confini in quanto è in vigore Schengen. Ma il punto vero è un altro: noi continuiamo a parlare di polizia europea, di intelligence europee, ma bisognerebbe avere il coraggio di dire che si tratta di un problema politico. O l’Europa si dota di una politica comune o altrimenti continueremo ad essere tutti vulnerabili e a contare i morti. Non c’entra niente l’intelligence, non c’entrano niente le polizie integrate: queste sono scuse dei politici per non fare il proprio dovere! Gli strumenti di investigazione e gli strumenti di informazione e sicurezza sono strumenti tecnici, quello di cui c’è bisogno in Europa è una politica condivisa, altrimenti non andremo da nessuna parte!
D. – Anche il controllo del territorio è stato fondamentale in questo caso, partendo dalle cose più semplici: le volanti, la Polizia nelle piazze, nelle città…
R. – Direi assolutamente di sì e soprattutto abbiamo visto ancora una volta come il modello italiano funzioni. Naturalmente non è un modello sicuro al cento per cento, non ne esistono di tali. Ma certamente, rispetto ad altri Paesi, abbiamo visto con profondo interesse le modalità attraverso le quali le forze dell’ordine e il servizio di informazione e sicurezza italiani si muovono.
D. – La radicalizzazione in carcere del terrorista tunisino dimostra che le prigioni sono il luogo in cui è più facile entrare in contatto con l’integralismo islamico. Quindi bisogna partire anche dalle carceri per dare più sicurezza?
R. – Non gli italiani, gli italiani lo sanno. Non è un caso che all’interno del Comitato di analisi strategica antiterrorismo ci sia un polo permanente sul monitoraggio delle attività terroristiche, che è una cosa che dovrebbero avere anche altri Paesi europei, ma non hanno. Così come non è un caso che in Italia sia presente anche la Polizia Penitenziaria.
D. – La vicenda di Berlino e della fuga di Amri ha fatto alzare l’allerta in tutta Europa, in particolare in Italia, dove si parla anche di possibili ritorsioni. Si alzeranno anche i livelli di sicurezza in Europa? Cosa dobbiamo aspettarci per il Natale?
R. – Sinceramente tutte le volte che si parla di innalzare i livelli di sicurezza rimango molto colpito. Credo che dall’11 settembre del 2001 i livelli di sicurezza siano al massimo. Non so veramente immaginare di più di quanto si stia oggettivamente facendo da tanti anni in Europa. Ripeto: ogni cosa è migliorabile, ma l’attenzione degli investigatori e delle forze dell’ordine è sinceramente al massimo da anni.
D. – Nella vicenda dell’uccisione del terrorista Amri colpisce la divulgazione delle identità dei due agenti che lo hanno ucciso. E’ stato corretto rendere noti i loro nomi, le loro identità?
R. – Credo sia stato qualche funzionario che, in maniera superficiale, abbia fatto trapelare i nomi. E quando è successo ho la sensazione che il ministro degli Interni abbia dovuto, a malincuore, prendere atto di un patatrac che era già avvenuto.
Fonte: RadioVaticana