Sciopero generale in Tunisia: sfida alla leadership di Saied
Nella giornata del 16 giugno il sindacato Union générale tunisienne du travail (UGTT) ha indetto uno sciopero nazionale che ha coinvolto il settore dei trasporti e delle amministrazioni pubbliche. Contestualmente nello sciopero si sono uniti anche i magistrati, i quali sono fermi dallo scorso 6 giugno in protesta contro il decreto presidenziale che aveva rimosso dall’incarico 57 giudici accusati di corruzione. Lo sciopero ha coinvolto oltre 3 milioni di lavoratori in tutto il Paese: va ricordato, infatti, che la Tunisia è uno degli Stati al mondo con il più alto numero di impiegati nell’amministrazione pubblica rispetto alla popolazione (circa il 26%). Questo dato si ricollega ad uno degli elementi di criticità al centro del dibattito della società civile tunisina e delle difficoltà economiche in parte collegate: ossia il peso gli stipendi dei dipendenti pubblici. Infatti, la crisi economica che attraversa il Paese ha costretto il Presidente Kais Saied a chiedere prestiti al Fondo Monetario Internazionale (FMI), il quale, come garanzia, ha chiesto l’attuazione di politiche di austerity, tra cui la riduzione dei salari dei dipendenti pubblici. La Tunisia infatti impiega il 18% del proprio PIL per pagare i dipendenti del settore pubblico.
Oltre alla richiesta di non ridurre i salari e tagliare i sussidi (fondamentali in questa fase storica soprattutto per contenere gli effetti disgreganti della crisi alimentare approfondita dal conflitto russo-ucraino), il sindacato ha anche chiesto di avviare le trattative per ripristinare il potere d’acquisto, la cancellazione del contributo straordinario dell’1% a favore delle casse statali per i dipendenti e l’avvio delle riforme nelle imprese pubbliche. Gli oppositori, tuttavia, sottolineano come tali richieste vadano a scontrarsi con la realtà dei fatti: il livello del debito pubblico rispetto al PIL si attesta oggi attorno al 81,4%, mentre l’inflazione ha raggiunto il 6,6% nel mese di dicembre 2021. Inoltre, la stagnazione dell’economia tunisina ha avuto ripercussioni sull’occupazione giovanile: oltre il 40% degli under 25 è disoccupato.
Le preoccupazioni della società civile tunisina legate alla crisi economica hanno accompagnato il dibattito che ruota attorno al ruolo dei sindacati nel Paese. All’indomani dell’iniziativa del 25 luglio 2021 da parte del Presidente, i quattro principali sindacati del Paese – l’Union générale tunisienne du travail (UGTT), l’Union tunisienne de l’industrie, du commerce et de l’artisanat (UTICA), la Ligue tunisienne des droits de l’homme (LTDH) e l’Office national de l’artisanat tunisien (ONAT) – hanno mantenuto posizioni relativamente neutrali nei confronti delle azioni di Saied. Nonostante gli scioperi indetti nel corso di questa primavera, l’UGTT ha solo recentemente espresso il proprio dissenso verso le decisioni prese dall’Ufficio della Presidenza. Il sindacato ha infatti dichiarato di non voler partecipare al “dialogo nazionale” voluto dal Capo di Stato poiché “formale, unilaterale e preconfezionato”. Nonostante la presa di posizione più netta degli ultimi mesi, la mancata dinamicità dei sindacati ha avuto ripercussioni sul loro modo di essere percepiti dalla società civile tunisina che, all’indomani del 25 luglio 2021, ha accolto con estremo favore l’azione di Saied.
Oltre ai sindacati, che hanno avuto un ruolo cruciale nella fase post-Primavere Arabe in Tunisia favorendo un processo di transizione interna nel periodo 2011-2014, un altro attore negli ultimi anni ha perso progressivamente credibilità agli occhi di una parte dell’opinione pubblica nazionale è Ennahda. Fino al 2011, il partito islamista era stato messo fuori legge e aveva continuato a esistere nell’illegalità. Tuttavia, con la fine dell’esperienza benalista e la vittoria nelle elezioni dell’ottobre 2011, Ennahda si è trovata di colpo proiettato all’interno della compagine di governo della nuova Tunisia dovendo però fin da subito fare i conti con diversi compromessi politici che hanno minato anche la saldezza interna del partito. Questo cambio di rotta ha favorito l’aumento del dissenso e la perdita di consensi nei suoi confronti. Se nelle prime elezioni libere dopo la caduta di Ben Ali Ennahda aveva ottenuto oltre il 40%, durante le ultime votazioni nazionali il consenso era sceso intorno al 27-28%, evidenziando una disaffezione dovuta al non mantenimento delle promesse fatte. Altresì, le lotte intestine per la leadership del partito non hanno sicuramente favorito un’azione coesa e coordinata nello scenario di governo nazionale.
Tutte condizioni che in parte hanno contribuito a favorire l’ascesa politica del Presidente Saied. Il Capo di Stato tunisino ha annunciato la rottura col passato, utilizzando una tipologia di retorica e narrazione estremamente simboliche e di richiamo a eventi chiave della recente storia del Paese. In primis la data del 25 luglio, che coincide sia con quella dell’iniziativa presidenziale, è la prossima tappa in ottica del referendum costituzionale; il 17 dicembre, scelta come data per le nuove elezioni, è un momento simbolico in quanto coincide con la miccia scatenata dal gesto di Mohammed Bouazizi e l’inizio delle Primavere Arabe proprio in Tunisia.
Pertanto, la domanda che molti si pongono è se questi elementi, uniti allo scioglimento del Parlamento e alla dissoluzione del Consiglio Superiore della Magistratura siano solamente mezzi elettorali per mantenere il consenso o invece mezzi per un accentramento di potere in pieno stile autoritario. Allo stesso tempo, quanto e in che modo questi scioperi e forti tensioni all’interno del Paese potranno minare le sicurezza dell’iniziativa presidenziale, a cominciare dal referendum del 25 luglio che si preannuncia come un ulteriore momento delicato della storia recente tunisina.