Putin l’Africano: il Cremlino torna ad affacciarsi in Africa
Africa

Putin l’Africano: il Cremlino torna ad affacciarsi in Africa

Di Simone Acquaviva
06.11.2019

Il Presidente russo Vladimir Putin, assieme all’omologo egiziano Abdel Fattah al-Sisi, in veste di Presidente di turno dell’Unione Africana, ha coordinato i lavori del primo “Summit e Forum economico Russia-Africa”, dinanzi a 47 delegazioni africane. L’evento, che ha avuto luogo a Sochi  nelle giornate di mercoledì 23 e giovedì 24 ottobre, ha riunito diverse migliaia di delegati provenienti dal mondo della politica e del commercio, a testimonianza della volontà russa di ritagliarsi un ruolo da protagonista nelle questioni africane, andando a contendere uno spazio già sovraffollato dalla concorrenza di Cina e mondo occidentale.

Con il meeting di Sochi, la Russia formalizza gli sforzi volti a recuperare un legame con l’Africa già coltivato nel periodo sovietico. Nel contesto della Guerra Fredda, l’Unione Sovietica rappresentava per i Paesi africani, impegnati nella costruzione di Stati di fresca indipendenza, una significativa alternativa ideologica ed economica al modello occidentale. Il Cremlino era inoltre attivo nel supportare la causa dei movimenti di liberazione nazionale, quali il FRELIMO (Frente de Libertação de Moçambique) in Mozambico e il MPLA (Movimento Popular de Libertação de Angola) in Angola, il SWAPO (South West Africa People’s Organisation) in Namibia e, il Partito Comunista Sudafricano, legato all’African National Congress, in Sudafrica. era attivo nella lotta contro il regime di apartheid. L’Unione Sovietica giocava inoltre un ruolo importante in guerre come quella dell’Ogaden, regione etiope contesa dalla Somalia, in supporto al governo di Addis Abeba.  A seguito della caduta dell’URSS, Mosca ha dovuto abbandonare la propria proiezione globale, e quindi la presenza in Africa, per concentrarsi  nella delicata transizione politica interna.

Il rinnovato attivismo russo in Africa è un fenomeno abbastanza recente, rinvenibile a partire dalla crisi della Crimea nel 2014. Da quel momento, Mosca ha cercato di allargare il proprio raggio di azione internazionale al di fuori dello spazio post-sovietico, con una serie di politiche opportunistiche a livello globale volte a saldare nuove partnership diplomatiche e ed economiche. Sulla scia di tali obbiettivi, il Cremlino opera in Africa con una strategia a macchia di leopardo, sfruttando disparate opportunità per guadagnare influenza in diversi Paesi del continente, proponendo un modello  di cooperazione alternativo a  quello occidentale e cinese.

Il ritorno della Russia in Africa è accompagnato da una forte iniziativa culturale (negli ultimi 7 anni il numero di studenti africani nelle università russe è raddoppiato) e propagandistica, tramite la quale il Cremlino si fa portatore di un messaggio critico verso le presunte forme di neocolonialismo delle potenze occidentali, su tutte la Francia. Mosca si erge così a protettrice delle culture africane contro i tentativi imposizione di modelli provenienti da occidente. Quest’opera di propaganda viene accompagnata da gesti poco più che simbolici come la cancellazione dell’esiguo debito estero risalente all’epoca sovietica nei confronti di Paesi quali Mozambico, Madagascar e Tanzania, e da ultimo Etiopia.

Rispetto al mondo occidentale, il Cremlino può offrire ai governi locali forme di supporto non vincolate alla promozione di modelli democratici ed al rispetto dei diritti umani, come sottolineato dallo stesso Putin, che in apertura del meeting di Sochi ha dichiarato di voler operare in Africa seguendo il principio di non ingerenza negli affari interni di altre nazioni.

D’altro canto, la Russia non è l’unico attore internazionale a non legare forme d’aiuto economico a riforme politiche. Pechino, ad esempio, è protagonista di una massiccia offensiva economica e diplomatica nel continente a partire dal 2000, anno di lancio del “Forum sulla cooperazione Cina-Africa”. Sebbene il governo cinese abbia a disposizione risorse economiche immensamente superiori a quelle di Mosca (il PIL cinese è circa 8 volte superiore a quello russo), il modello sviluppo veicolato dalla Cina, basato su prestiti e investimenti infrastrutturali, presenta come contropartita una forte esposizione debitoria e talvolta non è in grado di offrire adeguati sbocchi occupazionali alle popolazioni locali per via dell’impiego di manodopera cinese.

Date le limitate risorse economiche a disposizione, il modello di cooperazione russo si basa maggiormente su un supporto diretto alle classi dirigenti locali, preoccupate dall’esigenza di mantenere ordine e sicurezza all’interno delle turbolente dimensioni statali ed evitare lo scoppio di presunte primavere africane veicolate dall’Occidente. Potendo sfruttare positivamente i risultati ottenuti a supporto del governo siriano, il Cremlino propone forme di assistenza contro tentativi di regime change e di protezione alle infrastrutture estrattive (miniere, pozzi petroliferi), necessarie al consolidamento del potere politico. Lo schema operativo con il quale i russi veicolano tale cooperazione è  quello dello scambio tra servizi di sicurezza (fornitura di armi, addestramento di truppe speciali, invio di mercenari) in cambio di accesso al mercato africano, con particolare riferimento ad alcune ricche risorse minerarie necessarie per l’economia russa. Altro settore d’interesse russo è quello agricolo, dove Mosca può investire in tecnologie e macchinari per aumentare la produttività delle coltivazioni africane, con il fine di utilizzare l’export dal continente come fonte alternativa ai prodotti europei ed americani sotto sanzioni.

In questo quadro, il caso più significativo e di maggiore successo delle modalità di penetrazione russa in Africa è quello della Repubblica Centrafricana, Paese intrappolato in una guerra civile dal 2012. Nel 2017 la Russia ha ottenuto un’eccezione all’embargo ONU di armi nei confronti dell’ex colonia francese, utilizzando lo spazio di manovra concessole per inviare istruttori militari a sostegno del governo centrale.  Da quel momento, la presenza russa a sostegno dell’esecutivo guidato da  Faustin-Archange Touadéra è aumentata esponenzialmente, tanto che l’invitato del Cremlino nel Paese, Valeriy Zakharov, è stato nominato consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente centrafricano. La Russia agisce a Bangui colmando il vuoto lasciato dalla Francia, assente militarmente dal Paese dal 30 ottobre 2016, data di chiusura dell’operazione Sangaris,  partita nel novembre 2013 a supporto del governo centrale contro le milizie ribelli, Séléka, che avevano preso il controllo del Paese.

Ad oggi, i russi gestiscono due centri di addestramento nel nord est della Repubblica Centrafricana, funzionali a formare il personale militare locale incaricato del controllo dei giacimenti diamantiferi presenti nella zona. Il personale russo di stanza a Bangui proviene dalla compagnia militare privata Wagner, legata a Yevgeny Prigozhin, imprenditore vicino ad ambienti del Cremlino. La Wagner, attiva anche in Siria ed Ucraina, ha addestrato reparti speciali molto vicini all’élite politica e garantito al governo centroafricano il controllo di assetti economici strategici quali miniere di diamanti, in cambio di concessioni sull’estrazione e commercio (legale ed illegale) dei preziosi minerali.

Lo stesso schema utilizzato nella Repubblica Centrafricana, sebbene su una scala molto inferiore, è stato replicato in altri Paesi, quali ad esempio Sudan e Repubblica Democratica del Congo. Nel 2018, Mosca e Khartum hanno firmato un’intesa per l’addestramento delle Forze Armate locali. In cambio, una società collegata a Prigozhin, la M-Invest, ha ottenuto diritti di sfruttamento su miniere d’oro sudanesi. Più recentemente, nello scorso maggio, la Russia ha stretto un accordo simile con la Repubblica Democratica del Congo, Paese nel quale Mosca è attiva nell’estrazione di coltan, cobalto, oro e diamanti.

In pochi anni la Russia ha così firmato accordi di cooperazione in materia di sicurezza con 24 Paesi africani. Il meeting di Sochi ha rappresentato l’occasione per il Cremlino di approfondire tali intese, come dimostrato dall’accordo, annunciato a latere della due giorni, riguardante la fornitura russa di 12 aerei d’attacco Mi-35 al governo di Lagos.

Se la fornitura di armi e e l’invio di milizie private è stata funzionale a rimettere i piedi nel continente, Mosca ora ambisce ad evolvere la propria presenza con la riapertura di basi militari in Africa, assenti dalla chiusura della struttura sovietica di Luanda (Angola) nel 1991. A margine del meeting di Sochi, il governo di Bangui  ha confermato la possibilità che una base ufficiale russa venga aperta nel Paese. Oltre alla Repubblica Centrafricana, il Cremlino punta ad estendere la propria presenza in militare in zone decisamente più strategiche. Negli ultimi anni Mosca ha tentato invano di ottenere un appoggio logistico a Gibuti, crocevia tra Corno d’Africa e Penisola Arabica, sul cui territorio sono presenti basi militari americane e cinesi. Se la pressione statunitense sul governo gibutiano è stata fondamentale per impedire la concessione di uno spazio ai russi, Mosca potrebbe finalizzare un accordo in tal senso con l’Eritrea (annunciato nel 2018 dal Ministro degli Esteri Lavrov, ma al momento ancora non firmato) o addirittura accettare le offerte del Somaliland, territorio autoproclamatosi indipendente nel nord della Somalia, disposto a cooperare con la Russia in cambio di riconoscimento diplomatico.

Come contropartita alla collaborazione in ambito di sicurezza, la Russia cerca di colmare il ritardo accumulato nella penetrazione economica in Africa. Ne è dimostrazione il limitato interscambio economico con il continente**.** Nel 2018, di fatti, il valore degli affari tra Russia ed Africa era di soli 20 miliardi di dollari, il 40% del quale rivolto nei confronti del solo Egitto. Cifre irrisorie rispetto al livello di scambio con l’UE (337 miliardi) e Cina (204 miliardi) .

L’abbondanza di risorse naturali, quanto la necessità dei Paesi africani di ingenti investimenti energetici dovuti alla crescita demografica e la transizione economica, richiama l’interesse delle grandi aziende russe nel continente. E’ possibile in tal senso menzionare l’attivismo della compagnia Alrosa (diamanti) in Angola e Zimbabwe, del gigante statale Rosneft (gas e petrolio) in Nigeria, mentre Rosatom (energia nucleare) ha firmato accordi preliminari d’intesa con diversi governi africani, oltre ad aver stipulato un contratto sessantennale con il governo egiziano per la costruzione di 4 reattori nucleari.

La penetrazione economica russa in Africa sembra quindi ancora legata ad occasionali incursioni dei grandi attori economici del Paese attivi in determinati settori come quello energetico e minerario. Stesso discorso vale per la proiezione strategica russa, che al momento si limita a colmare alcune lacune degli attori tradizionali nello scacchiere africano, come nel caso precedentemente descritto dell’intervento in Repubblica Centrafricana.

In questo contesto, il Forum di Sochi potrebbe rappresentare lo strumento attraverso il quale Mosca intende coordinare e sistematizzare il proprio intervento in Africa, al fine di allargare il numero di partnership politiche, utili anche in sede multilaterale. La Russia punta ad incrementare il volume complessivo degli scambi (obiettivo dichiarato di Putin è raddoppiarne il valore nei prossimi 5 anni) e allargarne i settori, con investimenti rivolti non solo nell’export di armi e nel settore estrattivo (che rimarranno comunque perno della presenza russa nel continente), bensì anche in quello agricolo, dell’istruzione e sanitario. Inoltre, un evento di tale portata, è funzionale a rinnovare l’immagine di potenza globale che la Russia intende promuovere e che vuole proiettare nei confronti dei propri rivali cinesi ed occidentali.

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