Lo Zimbabwe e il litio: il predominio cinese e le prospettive per l’Unione Europea
L’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, finalizzati a limitare l’aumento della temperatura globale tramite la neutralità carbonica fissata entro il 2050, ha portato gli Stati membri dell’Unione Europea a dover prevedere dei piani d’azione nazionali in materia di clima al fine di ridurre le rispettive emissioni. Di fronte a questi ambiziosi obiettivi, i governi europei hanno dovuto adottare strategie che richiedono un equilibrio tra la crescita economica e la sostenibilità ambientale, utilizzando fonti energetiche alternative necessarie al raggiungimento della zero-net emission, come per esempio le rinnovabili, l’idrogeno oppure il nucleare. Per tale motivo, la domanda di alcuni metalli, compreso il litio, è aumentata esponenzialmente. Esso è considerato uno degli elementi più leggeri della tavola periodica con un elevato potenziale elettrochimico, ed è uno dei componenti fondamentali nella realizzazione delle batterie agli ioni di litio che, essendo tra le più convenienti ed efficaci in circolazione, sono estremamente utilizzate nell’elettrificazione dei mezzi di trasporto e nella produzione di smartphone o computer. La dimensione del suo mercato globale è in continua crescita negli ultimi anni, essendosi attestata sui 7,49 miliardi di dollari nel 2022, con un tasso di crescita annuale previsto del 12,3% tra il 2023 e il 2030. Inoltre, secondo il World Economic Forum, entro il 2030 si dovrebbe assistere al raggiungimento della produzione mondiale di 3 milioni di tonnellate di litio.
Tra i Paesi particolarmente ricchi di questo materiale critico, spicca lo Zimbabwe, sesto produttore mondiale, nonché primo africano. Il Paese ha scoperto oltre 60 anni fa i primi giacimenti di litio, ed è diventato un leader globale nella fornitura di questo metallo, che rappresenta oggi il 75% delle esportazioni del Paese. Secondo le stime del World Economic Forum, lo Zimbabwe potrebbe coprire il 20% del fabbisogno mondiale di litio qualora sfruttasse al massimo le sue potenzialità, obiettivo dichiarato dal governo dello Zimbabwe che mira a raggiungere entro il 2030 una produzione di circa 150.000 tonnellate annue, per un valore di oltre 12 miliardi di euro. Le prospettive di crescita del Paese hanno dunque catturato l’interesse delle multinazionali straniere, soprattutto cinesi. Tuttavia, il commercio di litio dallo Zimbabwe porta con sé una rilevante problematica: il contrabbando illegale verso Paesi vicini come Sud Africa ed Emirati Arabi Uniti, che costa annualmente una perdita di circa 1,8 miliardi di dollari nelle casse dello Stato. Per scongiurare questa problematica, nel dicembre 2022, il governo dello Zimbabwe, ha approvato il Base Mineral Export Control Act che ha vietato l’esportazione di minerali grezzi, incluso il litio, senza il permesso del Ministro delle Miniere e dei Minerali. Questo divieto ha lo scopo di sviluppare l’economia interna, incoraggiando le aziende straniere a spostare i centri di raffinazione della materia prima nel Paese africano, al fine di offrire maggiori opportunità di lavoro per la popolazione. Tuttavia, il governo ha disposto l’esenzione per le imprese che stavano già sviluppando miniere o impianti di raffinazione, molte delle quali per l’appunto di provenienza cinese. Nello specifico, i legami tra la Cina e lo Zimbabwe affondano le radici negli anni Sessanta quando Pechino ha fortemente sostenuto la ZANU (Zimbabwe National African Union) nella lotta d’indipendenza dalla Gran Bretagna, mentre oggi Harare, in cambio di cospicui investimenti infrastrutturali, ha pienamente aderito al principio One-China. Nel 2022 il volume degli scambi commerciali tra i due Paesi ha raggiunto il livello record di 2,43 miliardi di dollari, con un incremento del 29% rispetto all’anno precedente. Nel corso degli anni, la presenza cinese nel Paese africano si è consolidata soprattutto con il mercato del litio, in cui le aziende cinesi hanno assunto una posizione dominante. Nel 2022 quattro società estrattive cinesi hanno siglato accordi per progetti sul litio in Zimbabwe. Nello specifico, la Huayou Cobalt, dopo aver promesso al governo dello Zimbabwe di mantenere la raffinazione del metallo nel Paese, ha acquistato per 422 milioni di dollari la miniera di Arcadia che, collocata a soli 40 chilometri dalla capitale, ha una capacità produttiva di 200.000 tonnellate annue di spodumene, un minerale ad elevata concentrazione di litio. Parallelamente, la miniera di Bikita, tra le più grandi del Paese e attualmente capace di produrre 2 milioni di tonnellate annue, è stata acquistata dalla cinese Sinomine che ha investito altri 200 milioni di dollari per incrementare ulteriormente la produzione di litio. Ancora, i diritti minerari del progetto Sabi Star, per l’esplorazione di giacimenti di litio e tantalio, sono stati acquistati dalla Chengxin Lithium, e lo scorso giugno, l’azienda Suzhou ha speso oltre 35 milioni di dollari per acquisire per tre anni i diritti minerari della miniera Zulu che produrrà annualmente circa 50.000 tonnellate di spodumene. Questi accordi rientrano in un rapporto di interdipendenza che si è venuto a creare tra Harare e Pechino. Da una parte, il presidente zimbabwiano Mnangagwa, consapevole dell’importanza delle prossime elezioni di fine agosto, sta attraendo i capitali cinesi nel Paese in modo tale da provare a porre fine alla crisi economica che ha raggiunto livelli drammatici. Dall’altra, questi accordi rientrano nella strategia cinese di diversificazione dell’importazione di litio, che proviene per il 90% dall’Australia. Difatti, il progressivo deterioramento delle relazioni tra Pechino e Canberra, dovuto all’adesione australiana al Quad e, quindi, alla strategia di contenimento cinese nell’Indo-pacifico, ha spinto Pechino a trovarsi nuovi partner per l’importazione di litio, dato che il dominio cinese si estende anche alla raffinazione del metallo, di cui la Cina detiene il 65% a livello mondiale (Jiangxi Ganfeng e Tianqui Lithium, sono rispettivamente prima e terza nella produzione mondiale di litio raffinato), per la produzione del prodotto finale. Pechino difatti ha il primato nella produzione di veicoli elettrici, il cui 80% dei componenti fondamentali vengono raffinati in Cina.
Il ruolo che l’Unione Europea può giocare nel Paese invece appare più problematico, seppure alcune azioni siano in corso. Nello specifico, dal 2002 l’Unione Europea ha applicato un regime sanzionatorio nei confronti dello Zimbabwe e nella sua revisione delle misure restrittive del febbraio 2023 ha deciso di prorogare di un anno le due misure in vigore, ossia l’embargo sulle armi e il congelamento mirato dei beni nei confronti di una società, Zimbabwe Defence Industries. Tuttavia, l’UE ha dichiarato, sempre nel febbraio 2023, che intende sostenere il Paese con oltre 400 milioni di euro fino al 2025 la strategia di sviluppo nazionale dello Zimbabwe. Inoltre, va precisato che essa ha mantenuto ottimi rapporti economici con Harare da cui, nel 2022, ha importato merci per un valore di 538 mln di euro. Sebbene la domanda dell’Unione di batterie a ioni di litio sia destinata ad aumentare di 12 volte entro il 2030 e 21 volte entro il 2050, la produzione del minerale è ancora piuttosto indietro nel Continente in quanto il Portogallo è il primo produttore europeo (ma di un litio di scarsa qualità), mentre la Francia dovrebbe avviare la produzione solo nel 2028. Appare evidente che l’Unione non riuscirà ad essere auto-sufficiente nella fornitura di materie prime considerate critiche, infatti è costretta ad esportare il minerale dal Cile, primo produttore mondiale. Tuttavia, Pechino è riuscita ad assicurarsi l’accesso anche al litio sudamericano tramite la BRI, investendo miliardi di dollari nel triangolo andino. Quindi, l’UE non dovrebbe rischiare di affidarsi a partner considerati vicini ad un diretto concorrente per evitare possibili ripercussioni.
In conclusione, la necessità di reperire il litio in modo sicuro ed economico, unita alle potenziali capacità dello Zimbabwe di coprire un quinto del fabbisogno mondiale del metallo, rende il Paese africano un partner rilevante in questo mercato. Inoltre, l’obiettivo del Presidente Emmerson Mnangagwa è quello di trasformare la nazione in un’economia a reddito medio-alto entro il 2030, grazie soprattutto ai contributi fondamentali dell’industria mineraria e della Cina.
Anche se in tale contesto appare problematico che la Cina possa perdere terreno a vantaggio dell’UE, quest’ultima, godendo di una posizione privilegiata rispetto a Washington e Londra, può sfruttare le schermaglie tra Pechino ed Harare, come la sospensione della produzione della miniera Bikita, dovuta alle preoccupazioni sollevate dalle autorità zimbabwiane sulla condotta dell’azienda cinese, per inserirsi in maniera più strutturata nel mercato del litio, con la mobilitazione di investimenti privati nel Paese. Ciò permetterebbe all’UE di importare un litio di ottima qualità, proveniente da un Paese che necessita di investimenti esteri per far fronte alla crisi economica interna.