L’intervento del FMI per scongiurare la crisi in Bangladesh
Asia e Pacifico

L’intervento del FMI per scongiurare la crisi in Bangladesh

Di Tiziano Marino
09.02.2023

Il 30 gennaio scorso, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha annunciato l’approvazione di un piano di sostegno al Bangladesh del valore di circa 4.7 miliardi di dollari. Di questi, 3.3 miliardi saranno mobilitati attraverso l’Extended Credit Facility e l’Extended Fund Facility, strumenti utili a compensare gli squilibri della bilancia dei pagamenti, mentre 1.4 miliardi arriveranno nel quadro dell’innovativo Resilience and Sustainability Facility, pensato per sostenere i Paesi vulnerabili alle minacce derivanti dal cambiamento climatico e dalle pandemie.

I finanziamenti approvati erano stati richiesti dal Governo guidato da Sheikh Hasina in via preventiva, al fine di scongiurare uno scenario di crisi economica simile a quelli sviluppatisi in Sri Lanka nell’estate del 2022 e, più di recente, in Pakistan. Stando alle parole del FMI, il piano punta a “preservare la stabilità macroeconomica” del Bangladesh, attore chiave in Asia meridionale, regione tra le più colpite dalla tempesta perfetta rappresentata dalla crisi pandemica e dall’incremento del costo delle materie prime (energetiche e non) seguito allo scoppio della guerra russo-ucraina.

La recente vulnerabilità del Paese è legata al crollo delle riserve valutarie, che ha spinto il Governo a ridurre le importazioni, alla forte svalutazione del taka e all’inflazione - cresciuta dell’8.57% nel mese di gennaio - trainata dagli aumenti del petrolio e del gas, aumentati rispettivamente del 50% e del 150% in poco meno di un anno. In questo quadro complicato, Dacca è chiamata non solo a gestire i finanziamenti evitando di alimentare la corruzione, ma anche a sfruttare l’attuale finestra di opportunità per rendere il Paese più solido e attrattivo. Parallelamente, al fine di evitare di pagare un prezzo elevato in termini di consenso elettorale, il Governo bangladese dovrà cercare di mitigare l’impatto sociale delle misure di aggiustamento economico (c.d. condizionalità) imposte dal FMI, come il taglio dei sussidi o l’aumento del gettito fiscale.

La situazione complessa del Bangladesh è seguita con grande attenzione da tutti i protagonisti principali della partita dell’Indo-Pacifico, in primis la Cina. Non a caso, il nuovo Ministro degli Esteri Qin Gang, prima di raggiungere l’Africa per la sua prima missione estera, ha optato per una sosta “tecnica” proprio in Bangladesh. In quella circostanza, il Ministro cinese ha incontrato l’omologo Abul Kalam Abdul Momen per discutere delle relazioni politiche e commerciali tra i due Paesi. Pechino, infatti, punta sul rafforzamento del partenariato strategico con Dacca e guarda al crollo delle riserve valutarie con preoccupazione, dal momento che l’export cinese in Bangladesh vale circa 13 miliardi di dollari l’anno.

Nel corso degli ultimi anni, la Repubblica Popolare ha cercato di rafforzare la sua presenza in Bangladesh inserendo il Paese nella Belt and Road Initiative e proponendosi per la costruzione di un “deep-sea port” sulla costa orientale. Tuttavia, tale attivismo è stato prontamente contrastato da India e Giappone che non vedono di buon occhio un’espansione degli interessi cinesi nella Baia del Bengala. Ma le recenti difficoltà economiche del Bangladesh hanno spinto anche la diplomazia USA a scendere in campo con due visite compiute da funzionari del Dipartimento di Stato e del Consiglio per la Sicurezza Nazionale lo scorso gennaio.

In questo contesto di forte competizione, le vulnerabilità del Bangladesh hanno un impatto ben al di là dei confini nazionali e incidono sulle strategie regionali dei principali attori attivi in Asia-Pacifico. Proprio per questo, è verosimile che il Paese resti al centro delle agende internazionali e che lo scontro per l’influenza finisca per acuirsi nel medio-lungo termine.

Articoli simili