L’industria dei droni cinesi: recenti sviluppi e nuovi trend tecnologici
Difesa e Sicurezza

L’industria dei droni cinesi: recenti sviluppi e nuovi trend tecnologici

Di Noemi Brancazi
21.03.2021

Lo sviluppo cinese nell’ambito degli aeromobili a pilotaggio remoto (Unmanned Aerial Vehicles - UAV) è iniziato negli anni Cinquanta del secolo scorso e, per tutti i successivi quarant’anni, si è basato principalmente sull’acquisizione di tecnologia estera e sui processi di reverse-engineering. A partire dagli anni Novanta, invece, durante l’era Jiang Zemin, la Cina ha iniziato a portare avanti programmi di ricerca autonomi, per andare a costruire una vera e propria industria nazionale di UAV, che si alimentasse delle sinergie tra il Governo centrale, l’accademia, i grandi cluster industriali di Stato, le Forze Armate (People’s Liberation Army – PLA) e diversi centri di ricerca tecnologica. L’industria UAV di Pechino ha fatto formalmente il suo ingresso nella scena internazionale nel 1996, con la mostra biennale China International Aviation and Aerospace Exhibition ospitata a Zhuhai, unica fiera aeronautica internazionale promossa dal Governo centrale e patrocinata dalla China Administration of Civil Aviation. Attualmente, nonostante la Cina si sia posizionata tra i campioni industriali a livello globale per quanto riguarda i droni di diversa dimensione e tipologia di impiego, le informazioni sui programmi di sviluppo di UAV sono frammentarie e relativamente poco affidabili, data la rilevante omissione di dati da parte dello Stato, che è proprietario della maggior parte delle aziende.

Nonostante tale premessa, alcune aziende cinesi di controllo pubblico che operano nel settore UAV figurano all’interno del database dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI) tra le venti maggiori società produttrici di materiale d’armamento al mondo. L’azienda più importante, anche secondo la classifica SIPRI, è la AVIC (Aviation Industry Corporation of China). L’AVIC, costituita da un consorzio pubblico di aziende, è famosa a livello internazionale in quanto produttrice di due modelli di droni militari tra i più noti ed esportati, il Wing Loong (I e II) ed il Soar Dragon. Molte delle principali industrie cinesi del settore collaborano strettamente con le maggiori Università tecniche del Paese. Chiaro esempio è lo Xi’an ASN Technology Group che, grazie ad una profonda collaborazione con la Northwest Polytechnical University of Xi’an, si pone come il più grande polo cinese di ricerca, sviluppo e produzione di UAV (in particolare ad uso civile) e detiene il 90% del mercato di droni interno cinese. Nonostante generalmente le tecnologie militari fungano da volano per lo sviluppo di strumenti civili, nel caso cinese il continuo interscambio tecnologico e le profonde sinergie tra il mondo civile e militare hanno fatto sì che i due settori procedessero in parallelo contribuendo l’uno al rapido sviluppo dell’altro. In questo, il Governo centrale ha svolto e svolge tutt’ora un ruolo fondamentale nell’approccio industriale alla produzione di piattaforme UAV, stabilendo i piani di politica industriale, pianificando la localizzazione degli impianti produttivi e regolando il mercato interno attraverso l’attuazione di politiche protezionistiche e investimenti selettivi.

Per quanto riguarda l’ambito militare, negli ultimi anni il Governo cinese ha deciso di dedicare enorme attenzione allo sviluppo e alla produzione di UAV, rispetto alle piattaforme aeree tradizionali, non solo per ridurre l’esposizione al rischio dell’elemento umano, ma soprattutto date le straordinarie capacità tecnologiche, ad oggi non ancora del tutto espresse, di tale prodotto. Attualmente il PLA, nelle sue diverse diramazioni, utilizza già gli aeromobili a pilotaggio remoto per una vasta gamma di mansioni, dall’intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR), per garantire la sicurezza dei confini e il pattugliamento marittimo, al supporto al fuoco di artiglieria e targeting, dall’interdizione dello spazio aereo alle operazioni di guerra elettronica, dagli attacchi cinetici alla creazione di falsi bersagli per ingannare eventuali sistemi AWACS e AEW.

Ad oggi il modello di UAV di più grande taglia e più sofisticato è il Cai Hong 7, un drone di tipo HALE (High Altitude Long Endurance), prodotto dalla China Academy of Aerospace Aerodynamics, un ente del gruppo statale China Aerospace Science and Technology Corporation (CASC). Il CH-7 è un drone stealth, il cui design ricorda molto il drone americano sperimentale X-47B, in grado di esercitare funzioni ISTAR, di intercettare segnali elettromagnetici, di svolgere operazioni di guerra elettronica e di trasportare munizioni antiradar e missili stand-off. Il velivolo, ancora in fase sperimentale, ha condotto il primo volo nel 2018 e inizierà ad essere prodotto in scala nel 2022. Il CH-7, evoluzione concettuale del suo predecessore, il CH-5, a sua volta progettato sulla base del design del drone americano MQ-9 Reaper, fornirà al PLA la capacità di condurre operazioni di penetrazione, attacco a lungo raggio e soppressione delle difese aeree nemiche in ambienti complessi, congestionati e poco permissivi, sfruttando i vantaggi della bassa osservabilità e del pilotaggio da remoto. Oltre a ciò, è importante sottolineare come tutta la famiglia dei modelli Cai Hong, composta da circa una decina di UAV tutti di diversa taglia, anche i più obsoleti, sembrerebbe in grado di condividere la struttura di controllo e comunicazione, dunque di inter-operare all’interno di missioni congiunte.

Un ulteriore drone estremamente rilevante all’interno dell’offerta UAV cinese è sicuramente il Wing Loong II, un drone di tipo MALE (Medium Altitude Long Endurance), sviluppato dalla Chengdu Aircraft Industry Group come evoluzione del predecessore Wing Loong I. Quest’ultimo, dal design molto simile al RQ-1 Predator americano, è un modello che ha conosciuto grande fortuna nell’export. La Cina, infatti, negli ultimi anni è riuscita a venderne circa 250 esemplare a livello globale, stipulando contratti con 11 Paesi. Il Wing Loong I si è dimostrato un drone estremamente versatile ed efficace e soprattutto gode del fatto di essere stato ampiamente utilizzato in teatri di conflitto, non ultimo quello libico da parte emiratina. Il Wing Loong I, la cui produzione è iniziata nel 2008, possiede un radar ad apertura sintetica, un sensore a raggi infrarossi particolarmente accurato, in grado di designare bersagli occultati e in condizioni atmosferiche difficili. Nonostante sia un aeromobile progettato principalmente per missioni di sorveglianza e ricognizione, è in grado di trasportare missili aria-superficie a corto-medio raggio. La sua attuale evoluzione, il Wing Loong II, che ha già ricevuto ordini da diversi Paesi, tra cui Nigeria e Arabia Saudita, ha una maggiore capacità di carico (circa 480 kg) che, assieme ad una suite di protezione elettronica e sei piloni sub-alari, lo rendono un drone da attacco al suolo completo ed efficace.

Oltre ai droni di tipo MALE e HALE, dove soprattutto la Cina riscontra un importante gap tecnologico rispetto ai suoi principali competitor, Pechino da circa cinque anni sta investendo particolari risorse ed attenzione allo sviluppo di una nuova generazione di munizioni circuitanti (loitering munitions), i cosiddetti droni-suicida. Particolarmente interessante è la piattaforma CH-901, esemplare della famiglia Cai Hong prodotto dalla CASC. Si tratta di un UAV cilindrico molto semplice e piccolo (il peso è di 9 kg), in un primo momento pensato come ricognitore tattico, poi trasformato in loitering munition in grado di rimanere in volo oltre l’ora, designare in autonomia il bersaglio e effettuare un attacco cinetico-suicida. Ciò che rende particolarmente rilevante un drone come il CH-901 all’interno della strategia del PLA è la possibilità di andare a costituirne sciami, in grado di inter-operare autonomamente attraverso algoritmi di intelligenza artificiale presenti all’interno di ciascun drone, nonché di comunicare in tempo reale grazie ad una rete neurale.

La Cina, come testimoniano numerosi discorsi del Presidente Xi e dei vertici del PLA, vuole porsi come leader mondiale nel campo dell’Intelligenza Artificiale (AI) entro il 2030, sfruttando appieno il suo potenziale anche in ambito militare. Lo sviluppo di tali capacità tecnologiche e di tali tattiche di sciame, chiamate appunto ‘swarming warfare’, risulta particolarmente efficace quando applicato agli UAV, per le caratteristiche intrinseche alla piattaforma. Dal punto di vista cinese, lo sviluppo di sciami di droni, costituiti omogeneamente da CH-901 ma anche da più aeromobili di diversa taglia e funzionalità, rappresenta uno strumento particolarmente utile per operare all’interno di scenari complessi, con spettri elettromagnetici congestionati e popolati da sistemi di guerra elettronica e di difese aeree allo stato dell’arte. Nello specifico, con particolare riferimento anche al Mar Cinese Meridionale, l’utilizzo di tattiche di swarming basate su capacità di intelligenza artificiale risulterebbe essenziale per Pechino per andare a ‘bucare’ le eventuali bolle A2/AD nemiche istituite nell’area, o le capacità di difesa aerea degli strike group navali ostili in avvicinamento. Tutto ciò utilizzando piattaforme relativamente poco costose, quali gli UAV, e senza esporre ad importanti rischi risorse umane particolarmente qualificate come i piloti di caccia convenzionali.

Oggi i droni rappresentano un pilastro fondamentale della strategia militare cinese, sia per quanto riguarda la difesa del proprio territorio e dei propri interessi strategici regionali, sia in un’eventuale ottica di operazioni su larga scala e power projection. La rapidità con cui Pechino in pochi anni è si è posizionata tra i leader globali dell’industria dei velivoli a pilotaggio remoto, dato impressionante, è frutto di un oculato e lungimirante coordinamento statale, che è stato in grado non solo di concentrare importanti risorse destinate allo sviluppo tecnologico, ma anche di favorire le sinergie tra tutti gli attori attivi nel settore, sia per quanto riguarda l’ambito civile che militare. Attualmente la Cina non può ancora competere a livello di pura sofisticazione tecnologica con gli Stati Uniti. Le piattaforme e i sensori americani possiedono un competitive edge decisamente superiore, pertanto sono oggetto di forti restrizioni all’export. Pechino, tuttavia, anche attraverso pratiche opache come il reverse-engineering e lo spionaggio cibernetico, è riuscita rapidamente a recuperare terreno e a erodere tale vantaggio. Per quanto i sistemi Reaper, Predator o Global Hawk siano decisamente superiori ai rispettivi CH-7, Wing Loong II o Soar Dragon, attualmente il PLA possiede UAV in grandi numeri e di adeguata qualità, in grado di soddisfare i principali requisiti operativi presenti, ma anche futuri, in termini di guerra elettronica, ricognizione, targeting e attacco. Un importante ambito, invece, dove la Repubblica Popolare potrebbe guadagnarsi un vantaggio competitivo non indifferente, in grado di destare significativa preoccupazione nel Pentagono, potrebbe essere quello relativo alla componente software, con particolare riferimento a Intelligenza Artificiale e reti neurali. Anche se non fosse in grado, in futuro, di portarsi a livelli di sofisticazione tecnologica tali da competere gli Stati Uniti nella costruzione delle piattaforme, lo sviluppo di tattiche di swarming particolarmente raffinate ed efficaci, basate su componenti software quali algoritmi AI, potrebbe ribaltare tale equazione e portare ad esiti imprevedibili.

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