Le minacce al processo di transizione in Yemen
Medio Oriente e Nord Africa

Le minacce al processo di transizione in Yemen

Di Giulia Tarozzi
13.03.2013

Il 21 febbraio scorso, ad Aden, le forze di sicurezza yemenite hanno sparato sulla folla che manifestava per l’indipendenza del sud del Paese, uccidendo quattro persone. Gli scontri sono iniziati quando il corteo del movimento separatista sudista è stato raggiunto dai sostenitori del governo, scesi in piazza per festeggiare il primo anniversario dell’elezione del Presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi. Lo scontro tra le due fazioni ha portato ad un massiccio dispiegamento di forze da parte della polizia locale, che ha represso con durezza le proteste. Le manifestazioni per l’indipendenza del sud non sono nuove nello Yemen, unificato dal 1990. Dopo la caduta dell’ex Presidente Ali Abdullah Saleh, nel 2011, le rivendicazioni si sono fatte sempre più pressanti. Il dissenso nei confronti del governo di Sana’a non è stato placato dalla scelta di un Presidente proveniente dal sud del Paese. Hadi, già vice di Saleh, è considerato dai separatisti un pilastro del sistema del nord.

Nel luglio del 1994, appena quattro anni dopo l’unificazione col nord, alcuni ufficiali e politici d’ispirazione marxista proclamarono la secessione del sud e la nascita della Repubblica Democratica dello Yemen con capitale Aden. Dopo due settimane di scontri il tentativo secessionista venne stroncato dalle forze governative e Sanaa riprese il controllo della regione meridionale. Le politiche del governo centrale di Sanaa, però, sono rimaste discriminatorie e non hanno portato ad una ridistribuzione delle risorse in tutto il Paese. Un esempio per tutti è il petrolio, i cui giacimenti si trovano nella zona meridionale, ma i cui proventi non sono stati mai ridistribuiti nelle province del sud. Tra il 2007 ed il 2008, il movimento di protesta contro il nord ha iniziato ad organizzarsi a livello politico con la nascita di Hirak, movimento secessionista che dà voce alle rivendicazioni del sud. La debolezza intrinseca al movimento, però, è dovuta al fatto che le varie fazioni di Hirak non hanno un’agenda condivisa, nonostante tutte siano d’accordo sulla necessità di ottenere una maggiore autonomia. Hadi, dal canto suo, non è riuscito, finora, a riallacciare i rapporti tra le due parti del Paese, e i sudisti vivono una situazione di alienazione sempre più pressante, confermata dall’aumento degli scontri nel recente periodo.

Il primo anniversario della Presidenza Hadi è stato quindi l’occasione per nuove violenze. Segnali in tal senso vi erano stati. Il 20 febbraio, la polizia aveva arrestato due esponenti del movimento separatista, Qassem Askar e Hussain Bin Shouaib, accusati di progettare i disordini che poi si sono verificati ad Aden il giorno dopo. Così, il leader dei separatisti Hassan Baoum aveva sollecitato la popolazione a riunirsi ad Aden in massa per dimostrare la propria frustrazione nei confronti del governo. In risposta agli arresti, parte del movimento separatista, tra cui la fazione più influente, quella capeggiata dall’ex segretario del Partito socialista e figura di spicco dell’ex Repubblica popolare, Ali Salim al-Baid, ha annunciato che ritirerà i propri delegati dalla Conferenza di Dialogo Nazionale (NDC), passaggio fondamentale nel processo di transizione previsto dopo la caduta del regime di Saleh. La conferenza sarà infatti propedeutica alla redazione di una nuova Costituzione e alla riforma della legge elettorale. Il tutto dovrà avvenire prima delle elezioni del 2014. Il movimento separatista, però, rimane frammentato lungo le linee tribali e altre fazioni hanno annunciato la loro volontà di partecipare al forum.

L’apertura di un canale di comunicazione tra il governo e il movimento separatista è però necessaria per l’avvio della Conferenza di Dialogo. La riuscita della conferenza, il cui primo incontro dovrebbe avvenire il 18 marzo 2013, è legata alla capacità di Hadi di consolidare la propria autorità e riunire le diverse anime del Paese. Grazie al sostegno degli Stati Uniti, Hadi è poi stato in grado di riconquistare una grande parte dei territori del sud, che i jihadisti di al-Qaeda avevano preso sotto il loro controllo durante la crisi politica che ha cominciato ad attanagliare il Paese in concomitanza con la cosiddetta “Primavera Araba”. Oltre alla questione indipendentista del sud il processo di stabilizzazione dello Yemen, che passa attraverso l’NDC, dovrà confrontarsi anche con altre tre significative minacce alla stabilità del Paese: i ribelli Houthi nel nord; al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), nell’entroterra meridionale; e l’ingombrante figura di Saleh.

Il quadro di divisioni interne allo Yemen, infatti, è aggravato dalle continue richieste di autonomia del movimento sciita degli Houthi, situati nella zona nord. Nel 2004, le milizie avevano dichiarato l’indipendenza nell’area del governatorato di Saada, al confine con l’Arabia Saudita. La violenta repressione della ribellione ha portato a migliaia di morti e al rancore di gran parte della popolazione sciita nei confronti del governo. Oggi la minaccia Houthi è meno pressante, ma il movimento sciita non ha disarmato le proprie milizie. Anzi, le continue voci di un probabile supporto da parte dell’Iran rischiano di dare alla questione dei caratteri regionali che amplierebbero le difficoltà del governo di Sanaa nel trovare una soluzione. Lo scorso mese la guardia costiera yemenita, appoggiata dalla Marina americana, ha intercettato nel Mar Arabico una nave proveniente dall’Iran carica di armi destinate, con tutta probabilità, alle milizie Houthi. Episodi come questo provano la volontà di questi gruppi di continuare a lottare e sono dunque il sintomo di un conflitto mai del tutto sanato che può riproporsi con forza grazie anche all’aiuto di attori esterni.

Le divisioni del Paese e la fine del periodo di governo autoritario di Saleh hanno poi creato il terreno fertile per il rafforzamento di AQAP nello Yemen. Storicamente, nel Paese l’ideologia salafita ha sempre trovato terreno fertile nella visione religiosa di numerosi leader tribali. Questo ha permesso al movimento qaedista di radicarsi in modo rapido e profondo, soprattutto nelle regioni meridionali, dove, in alcuni casi, si è sostituto allo Stato nella gestione amministrativa e nell’applicazione della sharia. Per cercare d’indebolire il gruppo terroristico, Sanaa ha ricevuto un importante supporto da Washington, con l’Amministrazione Obama che negli ultimi mesi ha deciso d’incrementare le attività dei droni. L’azione ha portato un notevole indebolimento del gruppo terroristico che ha permesso alle Forze di sicurezza di Sanaa di riprendere il controllo di quei villaggi che erano stati presi da AQAP. Quest’azione di controterrorismo, però, ha portato, contemporaneamente, ad un crescente risentimento della popolazione verso il governo, poiché le operazioni aeree in alcuni casi hanno causato la morte di civili. Dunque un ulteriore motivo di malcontento nei confronti di Hadi.

Infine, un ulteriore fattore di rischio per la stabilità del Paese è rappresentato dai legami che Saleh ha ancora in tutto lo Stato e dal ruolo che l’ex Presidente, in qualità di leader del General People’s Congress, intende giocare durante la NDC. La volontà di Saleh di ritagliarsi un ruolo nel futuro dello Yemen non fa che minare alla base l’autorità del suo successore. Fonti yemenite non escludono, tra l’altro, la possibilità che lo stesso figlio di Saleh stia puntando alle presidenziali del 2014, una mossa che certamente finirebbe per ridurre ulteriormente la fiducia della popolazione nel già debole processo di transizione. In risposta a ciò Hadi è arrivato a minacciare di riaprire i casi di corruzione contro Saleh e i sui parenti, fatto rilevante dato che l’immunità accordatagli è stata la vera merce di scambio utilizzata dal Consiglio di Cooperazione del Golfo per convincere l’ex dittatore a fare un passo indietro nel 2011. Tra coloro che più strenuamente si oppongono alla partecipazione dell’ex Presidente alla vita politica del Paese sono i giovani e i movimenti studenteschi. In oltre, essi chiedono un completo allontanamento dalla politica di tutti gli attori che hanno gestito il Paese prima della rivolta contro Saleh asserendo che nessun cambiamento sarà possibile finché chi è stato compromesso col regime passato resta in posizioni di governo.

Lo Yemen, dunque, continua ad affrontare dinamiche sociali e politiche che minacciano su più fronti la propria stabilità. Se Hadi non riuscirà ad aprire un dialogo con le parti politiche che si sentono escluse dal processo di transizione, la possibilità di giungere ad una nuova Costituzione potrebbe risultare compromessa.

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