L’Armenia minaccia l’uscita dal CSTO
Giovedì 22 febbraio il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, in visita a Parigi dal Presidente Emmanuel Macron, ha dichiarato di aver sospeso la partecipazione di Yerevan all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), alleanza militare creata dalla Russia all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica. Nonostante tali dichiarazioni, non è ancora stato avviato nessun procedimento ufficiale per formalizzare la sospensione della partecipazione armena all’organizzazione, così come confermato dalla Russia e dal Segretario Generale della stessa.
Tuttavia, è necessario sottolineare come questa dichiarazione rifletta una generale insoddisfazione dell’élite politica armena nei confronti della gestione russa delle minacce securitarie regionali, culminata con l’invasione dell’Azerbaigian che ha condotto alla definitiva capitolazione del Nagorno-Karabakh. Da settembre ad oggi, il Primo Ministro armeno si è reso protagonista di una serie di azioni che, seppur simboliche, hanno indubbiamente disturbato il Cremlino, tra cui il recente invio di aiuti umanitari all’Ucraina e l’adesione alla Corte Penale Internazionale.
In generale, Pashinyan ritiene che Mosca abbia delle responsabilità nella sconfitta armena nell’ultimo scontro armato con l’Azerbaijan e da tempo sottolinea la necessità di diversificare i partner politico-militari di Yerevan al fine di evitare un’eccessiva dipendenza dal Cremlino.
In tal senso, l’Armenia ha quasi raddoppiato le acquisizioni di equipaggiamento e sistemi militari, portando la spesa dai circa 800 milioni di dollari del 2022 ai 1,5 miliardi. Tra i nuovi partner, Yerevan ha consolidato la partnership con Parigi che, da settembre, si è impegnata con la vendita di 50 ACMAT Bastion e di radar da difesa aerea Ground Master 200. La diversificazione dei partner militari ha coinvolto anche l’India che, in risposta al consolidamento dei rapporti tra Turchia, Azerbaigian e Pakistan, ha trovato nell’Armenia un partner quasi naturale. Già nel 2022, Nuova Delhi ha venduto sistemi lanciarazzi multipli PINAKA e munizionamento di varia tipologia e calibro per un valore di 250 milioni di dollari. Inoltre, a novembre scorso,** i due Paesi avrebbero siglato un accordo per l’acquisto di sistemi anti-droni per un valore di 41 milioni di dollari, oltre a considerare la possibilità della futura fornitura di missili terra-aria Akash. ** Tuttavia, il progetto di Yerevan è ostacolato dalla dipendenza da Mosca in tre ambiti. Quello militare, relativo alla presenza di un contingente militare russo di 10.000 soldati, di cui la metà si trova presso la base militare di Gyumri. Quello energetico, rappresentato dal fatto che Mosca fornisce l’87,5% del fabbisogno di gas armeno, controlla, tramite la filiale armena di Gazprom, tutte le infrastrutture relative e, infine, è il solo venditore di uranio per la centrale nucleare di Metsamor. In ultimo, quello, ben riassunto dai dati sugli scambi commerciali (5,3 miliardi nel 2022), dalle rimesse dei lavoratori armeni in Russia (3,6 miliardi di dollari) e dal numero crescente di imprese russe registrate in Armenia, in particolare nel settore dell’IT e allo scopo di speculare sui meccanismi di aggiramento delle sanzioni occidentali.
In definitiva, il tentativo armeno di emanciparsi dalla sfera d’influenza russa, al momento, rappresenta più una dichiarazione d’intenti perseguibile nel futuro che una strategia raggiungibile nel breve periodo. Infatti, oltre alle criticità menzionate, Yerevan deve considerare con attenzione il bilanciamento delle proprie alleanze regionali nella gestione del delicato dossier del Nagorno Karabach e dei negoziati con l’Azerbaijan. Questi procedono molto a rilento, soprattutto a causa dell’irrigidimento di Baku sulla costruzione del corridoio di Zangezur che dovrebbe collegare la Repubblica Autonoma di Naxcivan con il resto dell’Azerbaigian, passando attraverso l’Armenia. In tal senso, agli armeni potrebbe servire, oltre al supporto iraniano, anche quello russo per bilanciare la “relazione speciale” turca con Baku.