La Turchia propone la riapertura di Varosha a Cipro Nord
Martedì 20 luglio, durante una visita ufficiale a Nicosia in occasione dell’anniversario dell’invasione turca dell’isola di Cipro (1974), il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha esposto una serie di proposte volte a rafforzare una prospettiva secessionista di Cipro Nord, tra cui spicca l’intento di riaprire la città di Varosha (conosciuta in turco come Maras). Situata nella parte orientale dell’isola, Varosha, un sobborgo di Famagosta, costituiva il principale polo turistico di Cipro ma dopo l’intervento militare del 1974, che ha causato la divisione dell’isola lungo linee comunitarie, è stata abbandonata e recintata, diventando una città fantasma. Secondo le dichiarazioni di Erdoğan, affiancato dal Presidente della Repubblica Turca di Cipro del Nord (TRNC) Ersin Tatar, il 3,5% del sito sarà ora riaperto e smilitarizzato per permetterne il reinsediamento dei greco-ciprioti che hanno proprietà lì, invitati proprio da Erdoğan e Tatar a reclamare le loro proprietà tramite procedure di ricorso con la Commissione per i beni immobili nella TRNC. La riapertura, immediatamente condannata da molti attori della comunità internazionale, è stata presentata da Erdoğan come una verosimile via per avanzare nella soluzione dei due Stati, da lui considerata come l’unico modo per superare l’annosa questione cipriota dopo i continui fallimenti delle Nazioni Unite nel promuovere la riunificazione del Paese e la creazione di una federazione bizonale e bi-comunitaria. In realtà, tale mossa non farebbe che esacerbare ulteriormente le tensioni tra le comunità cipriote, trattandosi piuttosto di un tentativo da parte del Presidente turco non solo per guadagnare terreno e influenza nelle dinamiche dell’isola, ma anche in termini di diretto interesse strategico di Ankara verso le questioni afferenti il Mediterraneo Orientale.
Difatti, la Turchia ha da sempre cercato di avere voce in capitolo nella questione cipriota, ergendosi a difensore della comunità turco-cipriota e incentivando la secessione della TRNC nei tavoli diplomatici. Nello specifico, Ankara è riuscita a far pressione sulla soluzione dei due Stati soprattutto negli ultimi anni, ponendola come unica soluzione vista l’incapacità delle Nazioni Unite di procedere con una riunificazione. Infatti, anche quando nel 2017, con i negoziati di Crans-Montana, l’accordo tra le parti sembrava vicino, i round negoziali si sono rivelati un nulla di fatto e lo stesso esito si è ripresentato con gli ultimi negoziati dello scorso aprile 2021, lasciando la situazione congelata. Un immobilismo generale che ha spinto ora il Presidente turco ad agire unilateralmente, affermando di non essere disposto a “sprecare altri 50 anni” sulla questione e approfittando anche del generale senso di sconforto che contrassegna ora i leader greco-ciprioti, che sembrano quasi aver perso il senso del loro “obiettivo finale” nei negoziati. Dunque, l’impasse permette di garantire una posizione di forza alla Turchia, che può ancora contare sulla presenza di un solido comparto di circa 30.000 soldati turchi nella TRNC – è infatti la presenza militare turca a costituire uno dei principali nodi che non hanno permesso di avanzare nei negoziati – e che può ancora arrogarsi dei diritti di intervento nell’area stabiliti dal trattato di Zurigo-Londra (1959). Tutti elementi che giocano a favore di Ankara, che aspira a fare della Repubblica Secessionista di Cipro Nord un prolungamento della Turchia continentale.
Per quanto riguarda la controparte cipriota, sicuramente la mossa tenderà a dipanare ancor più le tensioni presenti tra le due comunità greco-cipriota e turco-cipriota, con il rischio di causarne di nuove anche a livello intra-comunitario. Infatti, se si considera il fronte turco-cipriota, è innegabile che la leadership di Tatar sia favorevole alla soluzione dei due Stati e goda di un pieno sostegno del Presidente turco. A ciò va aggiunto che una buona fetta della popolazione turco-cipriota vede con scetticismo il coinvolgimento di Ankara nella questione, nel timore che le ambizioni erdoğaniane possano portare ad una turchizzazione delle istituzioni e della società locale che riducano fortemente l’aspetto identitario cipriota. Tale timore ha recentemente portato il Partito Comunitario Democratico Turco Cipriota (TDP) e il Partito Repubblicano Turco (CTP) a boicottare un possibile discorso di Erdoğan nel “Parlamento” dei territori occupati, a dimostrazione di come anche una parte della comunità locale turco-cipriota non veda particolarmente positiva il nuovo slancio politico di Ankara verso la questione.
Passando alla comunità greco-cipriota, il rischio di frizioni diventa duplice. Se il governo della Repubblica di Cipro e i leader greco-ciprioti, appoggiati dall’Unione Europea, temono che tale iniziativa possa permettere alla Turchia di appropriarsi definitivamente dell’area e alterare lo status quo definito dalle Nazioni Unite. A rimetterci, quindi, sarebbe soprattutto la comunità greco-cipriota, che si ritroverebbe ora a dover scegliere tra la possibilità di rivendicare le loro proprietà tramite ricorso e i rischi che ne derivano, trattandosi di una violazione delle raccomandazioni del loro stesso governo. Un ulteriore elemento di tensione, che potrebbe acuire le già forti frustrazioni della popolazione nei confronti del pantano politico.
La riapertura e il reinsediamento della città di Varosha non contribuirebbero dunque a sbloccare la situazione di immobilismo e a raggiungere con più facilità una soluzione al conflitto, andando piuttosto ad acuire le tensioni intercomunitarie e a generarne di nuove anche all’interno delle stesse. Di conseguenza, la mossa costituisce un ennesimo tentativo della Turchia per rafforzare la propria sfera di influenza nella TRNC, approfittando delle debolezze della controparte greco-cipriota e dell’incapacità delle Nazioni Unite di avanzare nel processo di riunificazione dell’isola per incentivare la soluzione dei due stati, così da portare a compimento il suo piano di estensione turca nell’area di Cipro Nord.