La posizione della Cina rispetto alla guerra in Ucraina
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La posizione della Cina rispetto alla guerra in Ucraina

Di Francesca Manenti
28.02.2022

La rapida degenerazione della crisi in Ucraina rappresenta una questione particolarmente spinosa per la Cina, che si trova a dover trovare il bilanciamento ottimale tra due obiettivi principali: minimizzare i rischi sul versante economico e massimizzare il capitale politico che Pechino potrebbe trarre dalla situazione. L’interesse a trovare il modo di far quadrar questi due fattori è la motivazione che ha dettato l’atteggiamento del governo cinese fin dall’inizio delle tensioni tra Kiev e Mosca.

Sul piano economico, le variabili in gioco sono molteplici. In primis, la sicurezza del rapporto con il partner ucraino, che si è intensificato a partire dal 2013. Nel corso degli ultimi nove anni, infatti, l’interscambio tra Kiev e Pechino è cresciuto di circa l’80% (attestandosi a circa 19 miliardi di dollari lo scorso anno) e la Cina è riuscita persino a diventare il principale partner commerciale per l’Ucraina. Inoltre, il Paese si è ritagliato un’importanza crescente anche all’interno dell’iniziativa Belt and Road, grazie ad una posizione geografica che ha consentito a Kiev di presentarsi come cerniera tra l’Asia e l’Europa orientale e di attrarre così gli investimenti dei grandi colossi di Stato cinesi, sia nel settore dei trasporti sia in quello delle infrastrutture critiche. Le possibili ripercussioni dell’instabilità sui propri interessi economici, aveva spinto la Cina a non essere particolarmente entusiasta del braccio di ferro tra Ucraina e Mosca già nelle prime battute della crisi e ad evitare qualsiasi endorsement esplicito al Cremlino, persino in occasione dell’incontro tra i due Presidenti Xi Jinping e Vladimir Putin a margine delle olimpiadi invernali di Pechino. In secondo luogo, a fronte della decisione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea di imporre nuove sanzioni alla Russia, Pechino sembra voler evitare ulteriori complicazioni nei già tesi rapporti con gli interlocutori occidentali ed assistere all’imposizione unilaterale di limitazioni agli scambi con la Russia che potrebbero ritorcersi contro gli interessi cinesi. Ciò potrebbe accadere, per esempio, nel caso in cui la Casa Bianca e i governi europei decidessero di imporre sanzioni secondarie nei confronti della Russia, per stringere ulteriormente l’alveo delle possibilità a disposizione di Mosca per trovare fonti di sostentamento alla propria campagna militare. Per sanzioni secondarie, infatti, si intendono provvedimenti puntivi nei confronti di coloro che intrattengono rapporti commerciali o finanziari con soggetti sotto regime sanzionatorio. In questo senso, qualora Washington e Bruxelles dovessero ricorrere a questo strumento, istituti bancari, aziende o singoli individui cinesi sarebbero esposti al rischio di subire ritorsioni dirette, in termini di multe o di estromissione dal mercato statunitense ed europeo, in virtù dei propri rapporti economici con Mosca. Infine, l’effetto negativo che il conflitto potrebbe avere sull’economia internazionale e le ripercussioni che a cascata potrebbero derivarne per la Cina. Nonostante lo stato di salute dell’economia cinese sia nettamente in miglioramento dopo la battuta d’arresto assestata dalla pandemia, l’effetto dell’incertezza legata al conflitto sui mercati internazionali e sul prezzo dell’energia potrebbe compromettere l’andamento della ripresa.

Sul piano politico, la maggior preoccupazione di Pechino è capire come trasformare una potenziale spina nel fianco in un’occasione per rafforzare la propria proposta di un nuovo sistema di governance globale. La crisi in sé e le responsabilità russe nell’averla alimentata e trasformata in vera e propria guerra, di fatto, hanno messo la Cina in una posizione particolarmente scomoda. Il governo cinese, infatti, si è trovato tra due fuochi. Da un lato, non avvallare la guerra per non andare in deroga al principio di integrità territoriale e sovranità dello Stato, da sempre propugnati da Pechino come capisaldi della propria postura internazionale. D’altro canto, però, non prendere neanche apertamente le distanze dal partner russo e preservare così un’intesa che, per quanto pragmatica, rappresenta ora una sponda importante per la politica estera cinese. Il rapporto tra Pechino e Mosca, infatti, non è da considerarsi un’alleanza tout court, quanto una sinergia dettata dalla condivisione di interessi comuni, da complementarità economiche e dalla convergenza su obiettivi politici e securitari. A fronte dell’incremento della competizione e del raffreddamento delle relazioni con Stati Uniti e Unione Europea, la Cina ha trovato nella Russia un partner cruciale con cui spalleggiarsi e contrapporsi all’asse Washington-Bruxelles. A mano a mano che la dialettica con Europa e Stati Uniti si è polarizzata, infatti, il dialogo con Mosca non solo è diventato sempre più inteso ma si è rivelato anche particolarmente utile a Pechino per rafforzare l’idea che potessero esistere poli di influenza politica, diplomatica, economica e militare diversi da quello occidentale. In questo contesto, l’escalation militare e l’evoluzione degli eventi sul campo hanno portato il governo cinese a volersi ritagliare una posizione di terzietà, dalla quale poter raggiungere i risultati più significativi rispetto ai propri interessi nazionali. Ciò significa, in primis, tenersi lontano da ogni responsabilità diretta nel conflitto, senza necessariamente però venire meno in modo diretto alla partnership con Mosca. Come dimostrato in occasione del rifiuto di fornire alla Russia supporto militare e come ribadito durante la conversazione telefonica tra il Presidente Xi e il Presidente Putin venerdì, durante la quale il leader cinese ha auspicato l’avvio di un negoziato tra Mosca e Kiev, Pechino ha espresso in modo chiaro la propria preferenza al partner russo per una soluzione diplomatica. Allo stesso tempo, però, il governo cinese sembra intenzionato ad utilizzare le opzioni a propria disposizione per limitare le ritorsioni adottabili contro la Russia in sede internazionale. Ciò è stato particolarmente palese in occasione dell’astensione scelta dalla Cina in sede di Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite durante la votazione di una risoluzione che avrebbe condannato la Russia per l’invasione dell’Ucraina. Sicuro del risultato della votazione grazie al potere di veto di Mosca, il governo cinese ha potuto smarcarsi dalla posizione della Russia, ma ha comunque lavorato dall’interno per modificare a prescindere il testo della risoluzione (eliminando, per esempio, riferimenti specifici alla responsabilità del Presidente o alla possibilità di ricorrere a sanzioni o all’uso della forza), edulcorando così le parti che avrebbero potuto risultare i tasti più dolenti per il Cremlino.

La neutralità rispetto all’evolversi del conflitto, inoltre, consente al governo cinese di utilizzare l’esempio dell’Ucraina per rimarcare la necessità di superare un’impostazione del sistema internazionale ancora legata ai meccanismi del secondo dopoguerra e alla contrapposizione sistemica di blocchi di influenza che non rispecchiano più la realtà degli equilibri globali. L’urgenza di ripensare la governance globale è da sempre il cavallo di battaglia della politica estera del Presidente cinese Xi Jinping, che vede in questo processo la possibilità di ritagliare un nuovo spazio di influenza per la stessa Cina quale promotrice di un nuovo multilateralismo che vada al di là del tradizionale bipolarismo proprio degli equilibri della Guerra Fredda. Tuttavia, lo scoppio della pandemia, prima, e l’acutizzarsi della contrapposizione con gli Stati Uniti, poi, hanno rallentato l’iniziativa di Pechino nel corso degli ultimi due anni. In questo senso, il continuo richiamo dei giorni scorsi al superamento di una mentalità da guerra fredda e la condanna dei tentativi di allargamento ad est della NATO sono funzionali al governo cinese per rimarcare come l’attuale crisi sia ancora il frutto di un modello di pensiero ormai disfunzionale e cercare così di dare nuovo impulso al proprio progetto politico.

Gli sviluppi del conflitto, dunque, saranno fondamentali anche per il governo cinese, per comprendere esattamente in che modo poter tarare la propria strategia nel prossimo futuro. Nonostante Pechino sia intenzionata a portare avanti il processo di consolidamento del proprio status come nuova superpotenza globale, così come descritto nei propri documenti programmatici, tuttavia, la dirigenza cinese si troverà probabilmente a dover adattare gli strumenti per raggiungere i propri obiettivi alle condizioni del quadro internazionali che risulteranno dal termine del conflitto. La guerra in Ucraina, infatti, ha segnato uno spartiacque decisivo nella storia mondiale degli ultimi quarant’anni. Pechino sembra interessata ora a comprendere quali rischi e quali opportunità deriveranno per il proprio Paese. Da un lato, l’indebolimento e l’isolamento del partner russo potrebbe aprire delle nuove occasioni di rilancio del ruolo internazionale della Cina. In un momento in cui il sistema economico e finanziario di Mosca è colpito dalle sanzioni internazionali, Pechino potrebbe valutare la possibilità di offrire alla Russia l’utilizzo del proprio sistema di pagamenti bancari internazionali (Cross-border Interbank Payment System – CIPS) per sopperire all’esclusione dal circuito SWIFT. Inoltre, poiché fino ad ora la primazia del dollaro come valuta di scambio internazionale ha limitato l’operatività del CIPS, il governo cinese potrebbe abbinare l’utilizzo dello yuan digitale come moneta per gli scambi con interlocutori russi, per aggirare i problemi legati alle autorizzazioni e all’esecuzione di pagamenti sui circuiti finanziari internazionali. In questo modo, non solo la Cina salvaguarderebbe il proprio rapporto economico con la Russia e offrirebbe al partner un’àncora di salvezza con cui arginare gli effetti delle sanzioni economiche, ma compirebbe un passo in avanti nello sforzo di internazionalizzare lo yuan come nuova valuta di riferimento, parte importante del più ampio progetto di creazione di un nuovo polo di influenza sino-centrico.

Allo stesso tempo, però, la debacle militare della Russia di Putin e il ruolo di Unione Europea e Stati Uniti nel supportare il governo ucraino potrebbero spingere Pechino a rimodulare la narrativa della contrapposizione con Washington e Bruxelles, giunta ad inizio anno ad un nuovo picco. Il costo politico ed economico che il Cremlino si appresta a dover pagare per gli errori di valutazione compiuti nell’aver fomentato l’escalation potrebbero far propendere il governo cinese a recuperare più che mai una narrativa di engagement sia con la Casa Bianca sia con l’Unione Europea, nel tentativo di creare un contesto all’interno del quale ricominciare a recuperare il dialogo, partendo magari dagli argomenti sui quali risulti più facile trovare una convergenza, come la transizione energetica. Senza andare in deroga ai propri interessi strategici, per Pechino è però cruciale scongiurare che la dimostrazione di unità fatta da Stati Uniti ed UE possa ripetersi anche in altri contesti, in primis l’Oceano Pacifico. In un anno tanto importante per la politica interna cinese, con il 20° Congresso del Partito Comunista fissato per il prossimo autunno e lo sforzo di Xi per spianarsi la via ad un terzo mandato, per Pechino potrebbe diventare prioritario evitare ogni brusca alterazione degli equilibri nella regione, che trascinerebbero il Paese in una fase di instabilità dagli esiti non pianificabili.

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