La Cina dichiara illegali le criptovalute: verso la digitalizzazione dell’economia?
Xiàng

La Cina dichiara illegali le criptovalute: verso la digitalizzazione dell’economia?

Di Carlo Palleschi
30.09.2021

Il 24 settembre, la Banca Popolare centrale cinese (PBOC) ha definito illegali tutte le transazioni e le attività in valuta digitale e ha promesso una ferma repressione sui mercati, rinnovando così la stretta sull’utilizzo dei bitcoin e delle criptovalute iniziata già nei mesi precedenti. La decisione della PBOC, infatti, non è giunta inaspettata: già da maggio la Banca centrale aveva aumentato la pressione sul settore delle criptovalute e a giugno aveva richiesto alle piattaforme di pagamento di non facilitare transazioni effettuate in valuta digitale. La decisione ha portato ad un netto crollo del Bitcoin, che ha registrato un calo settimanale del 9.75%, come anche Ethereum, che ha perso circa il 16.94% su base settimanale. Inoltre, la messa al bando delle valute digitali avrà delle conseguenze significative per quanto riguarda le attività di mining, che dovranno essere localizzate in altri Paesi. Questo scenario si inserisce coerentemente all’interno del trend che già da anni caratterizza la produzione di criptomonete in Cina: il clima di scetticismo creatosi intorno alle criptovalute, infatti, aveva portato nel corso degli ultimi due anni ad una netta riduzione di queste attività da parte cinese, tanto che il mining svolto Cina è passato dal rappresentare il 75% dell’energia mondiale usata per la generazione dei Bitcoin nel settembre 2019 al 46% nel mese di aprile 2021.

Le ragioni della decisione della PBOC possono essere ricondotte a due ordini di motivi. Da una parte, essa si inserisce nel tentativo di controllare il sistema finanziario per evitare il rischio di destabilizzazioni. Infatti, una circolazione eccessiva dei bitcoin potrebbe favorire significativamente le attività connesse al riciclaggio di denaro, oltre ad esporre il Paese a rischi di attacchi speculativi vista l’elevata volatilità intrinseca al concetto stesso di criptovaluta. D’altra parte, vi è la volontà di evitare potenziali attriti tra le criptovalute e lo yuan digitale, così da detenere il monopolio sulla moneta digitale. La Cina ha infatti da tempo lanciato il progetto dello yuan digitale che è già nelle prime fasi di implementazione con un programma pilota che interessa alcune aree selezionate del territorio nazionale, tra cui le città di Pechino, Shenzhen e Suzhou. Proprio a Pechino, l’11 giugno scorso, nell’ambito di questo programma pilota, sono stati rivelati i vincitori della lotteria che ha portato alla distribuzione di 200.000 buste digitali, ognuna contenente 200 yuan digitali, per un totale di circa 6.25 milioni di dollari, che potranno essere spesi in selezionati punti vendita aderenti all’iniziativa.

La differenza tra le criptovalute, quali i bitcoin, e lo yuan digitale risiede sostanzialmente nel fatto che quest’ultimo, a differenza delle prime, verrà emesso e garantito dalla Banca Popolare Cinese, alla stregua della moneta cartacea. L’obiettivo è quello di offrire uno strumento di pagamento al passo con i tempi per i cittadini e le imprese, che permetta di effettuare pagamenti e transazioni di denaro in maniera semplice, immediata e, appunto, completamente digitale. Se è evidente come la Cina sia pronta ad intercettare l’esigenza di innovare la politica monetaria in modo radicale, è altrettanto evidente come Pechino non abbia intenzione di lasciare che questo avvenga in modo deregolamentato e senza un ruolo cruciale delle istituzioni monetarie centrali. La strategia di digitalizzazione si inserisce nel quadro più ampio di competizione con gli Stati Uniti per la supremazia geopolitica e geoeconomica. In questo ottica, infatti, lo yuan digitale costituisce un passo fondamentale per Pechino per accorciare il gap nel mercato finanziario con gli Stati Uniti, e rilanciare il processo di internazionalizzazione del renminbi, che al momento è significativamente indietro rispetto al dollaro come valuta utilizzata nei pagamenti internazionali. Inoltre, lo yuan digitale avrebbe il vantaggio di diventare la futura moneta di riferimento per alcuni Paesi legati alla Cina dalla “Belt Road Initiative”, i cui scambi commerciali potrebbero arrivare ad essere effettuati prevalentemente proprio con questa moneta digitale.

Allargando lo sguardo dalla Cina, si può notare come la progressiva digitalizzazione dell’economia sia una tendenza che sta interessando la politica monetaria a livello globale, sebbene le direzioni intraprese siano diverse nella sostanza. Ad esempio, il Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea (BCE) ha recentemente lanciato la fase esplorativa del progetto dell’euro digitale che durerà 24 mesi e che avrà come obiettivo quello di configurare concretamente l’euro digitale e decidere le caratteristiche tecniche che esso avrà in futuro. L’obiettivo non sarà quello di sostituire il contante, ma di affiancare alle banconote tradizionali uno strumento più agile e veloce, che sappia al contempo soddisfare le esigenze degli europei e aiutare a prevenire le attività illecite, evitando che questo processo generi un impatto negativo sulla politica monetaria e sulla stabilità finanziaria dell’Eurozona. Inoltre, un euro digitale favorirebbe la digitalizzazione dell’economia europea e stimolerebbe attivamente l’innovazione nei pagamenti al dettaglio.

Parallelamente, si assiste ad altri tentativi di digitalizzazione che non passano attraverso le Banche centrali, ma che sembrano invece affidarsi proprio a quelle criptovalute messe fuorilegge dalla Cina. È questo il caso di El Salvador, un Paese che, non avendo i mezzi di cui dispongono la PBOC o la BCE, punta proprio sui bitcoin per digitalizzare e modernizzare la propria economia. L’8 giugno scorso, l’Assemblea Legislativa del Paese centroamericano ha infatti approvato un disegno di legge con cui si legalizza la criptovaluta, che assume ora corso legale parallelamente al dollaro statunitense. Secondo il Presidente Bukele, che aveva promesso questa misura durante la campagna elettorale, l’adozione del bitcoin permetterà di portare prosperità, sviluppo economico ed occupazione alla popolazione salvadoregna. In particolare, i bitcoin, basandosi su transazioni peer-to-peer e non richiedendo l’intermediazione di banche, potranno essere in grado di facilitare l’accesso ai sistemi finanziari e di abbattere i costi di transazione delle rimesse. Questo aspetto risulta fondamentale per un Paese come El Salvador in cui le rimesse della comunità salvadoregna all’estero costituiscono un elemento fondamentale per ampi segmenti della popolazione. Se l’esperimento dovesse risultare efficace, anche altri Paesi, tanto dell’America Latina quanto dell’Africa, che dipendono fortemente dalle rimesse degli emigrati, potrebbero studiare sistemi analoghi per ridurre anche essi i costi di transazione delle rimesse e favorire così il rilancio dell’economia domestica.

In conclusione, la digitalizzazione dell’economia è ormai una tendenza consolidata, che si declina, tuttavia, in modo diverso a seconda del quadro politico e delle possibilità di ciascun Paese. In prospettiva, l’esempio dell’euro digitale e quello radicale di El Salvador indicano chiaramente quale sarà il futuro dell’economia e della finanza internazionale. La Cina non ha intenzione di perdere questa opportunità, e anzi, grazie allo yuan digitale, è pronta a fungere da apripista in questo settore. Ma La decisione di rendere al contempo illegali le criptovalute dimostra come Pechino, a differenza della BCE o del Paese centroamericano, non abbia intenzione di lasciare spazi eccessivi al mercato: digitalizzare sì, ma non a qualsiasi costo.

Articoli simili