Il significato del rientro di Meng Wanzhou in Cina
Il 25 settembre Meng Wanzhou, Capo dell’ufficio finanziario (CEF) e figlia dell’Amministratore delegato della compagnia tech cinese Huawei, è stata rilasciata dopo tre anni di arresti domiciliari a Vancouver in Canada. Nel 2018 Meng era stata arrestata dalle autorità canadesi su richiesta degli Stati Uniti, con l’accusa di aver ingannato la società HSBC Holdings utilizzando una filiale di Huawei, Skycom, per evadere sanzioni commerciali in Iran. L’arresto di Meng Wanzhou, aveva dato il via ad un irrigidimento dei rapporti tra Stati Uniti e Canda, da un parte e Cina, dall’altra. Pochi giorni dopo il fermo, infatti, Pechino ha arrestato con l’accusa di spionaggio due cittadini canadesi, Michael Kovrig e Michael Spavor, dando così il via alla cosiddetta “diplomazia degli ostaggi”. La scarcerazione di Meng è avvenuta in seguito ad un accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense, in virtù del quale Washington ha rinunciato alla richiesta di estradizione in cambio del riconoscimento da parte della CEF di Huawei di un suo coinvolgimento nella frode bancaria. Se i termini dell’intesa saranno rispettati le accuse contro la donna verranno archiviate entro dicembre 2022.
Gli elementi che hanno condotto al rilascio di Meng sono potenzialmente molteplici e si inseriscono nel più ampio complesso delle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Il mandato di arresto di Meng, infatti, era stato uno dei principali fattori di frizione tra Pechino e l’allora Amministrazione Trump e, di fatto, era stato parte integrante della battaglia portata avanti dalla Casa Bianca per arginare le attività del colosso high-tech negli Stati Uniti. In un momento in cui la nuova Amministrazione Biden sta invece cercando di normalizzare i rapporti con Pechino, la scelta di far cadere la richiesta di estradizione e di agevolare il rilascio della Meng, potrebbe essere un segnale di un cambio di strategia da parte della Casa Bianca. Il rilascio di Meng Wanzhou, infatti, risultava tra le richieste avanzate dalla Cina durante gli incontri tenutisi a Tianjin a fine luglio. Allo stesso modo, la recente telefonata tra il Presidente Biden e il Presidente Xi, avvenuta il 10 settembre, aveva messo in luce la volontà dei due leader di trovare un terreno comune per provare a ridimensionare i toni della competizione e recuperare il dialogo. Con il rimarcato impegno dell’Amministrazione Biden nell’Indo-Pacifico (culminata nel corso delle ultime due settimane con la firma dell’accordo di cooperazione Australia e Gran Bretagna, conosciuta con il nome di AUKUS), potrebbe essersi resa necessaria un’azione volta a distendere le relazioni con Pechino al fine di mantenere aperto un canale di dialogo con il Paese riguardo tematiche di interesse per ambo le parti su altri fronti, per esempio la gestione della situazione in Afghanistan o la lotta al cambiamento climatico.
Per Pechino, l’evento è stato un’occasione da cogliere per rafforzare la propaganda interna. La narrativa scelta dalla stessa Meng durante la conferenza stampa al suo rientro, nel quale ha ringraziato in ordine la “Grande Patria”, il governo, e il popolo cinese, e il seguito riscosso dall’evento sui social sono stati potentemente utilizzati dai mezzi di propaganda cinese per rilanciare il ruolo del Partito Comunista come caposaldo del rilancio del prestigio internazionale del Paese. Tuttavia, la gestione della vicenda potrebbe rivelarsi un nuovo fattore di criticità nei rapporti tra Pechino e la Comunità Internazionale. Poche ore dopo rilascio della Meng, infatti, le autorità cinesi hanno rilasciato i due cittadini canadesi, che sono potuti rientrare in Patria. Un’eventuale canonizzazione della così detta “diplomazia degli ostaggi” da parte di Pechino come strumento di espressione delle poprie posizioni potrebbe contribuire ad irrigidire ulteriormente i rapporti con gli eventuali Paesi interessati ed alimentare una polarizzazione che potrebbe avere ripercussioni nel più ampio contesto regionale.