Il nuovo governo israeliano è ben lontano dalla stabilità
Medio Oriente e Nord Africa

Il nuovo governo israeliano è ben lontano dalla stabilità

Di Angela Ziccardi
13.06.2021

Domenica 13 giugno la Knesset, il Parlamento israeliano, ha votato la fiducia ad un nuovo governo, il primo che non vedrà Benjamin Netanyahu e il Likud alla guida del Paese dopo 12 anni. Il nuovo esecutivo è formato da una variegata coalizione di 8 partiti molto diversi tra loro (i tre partiti nazionalisti di destra Yisrael Beiteinu, New Hope e Yamina; i centristi di Yesh Atid e Blu e Bianco, il partito di centro-sinistra Labor, il partito di sinistra Meretz e quello arabo-conservatore Ra’am) e seguirà l’insolita formula del “Premierato alternato”, un sistema di turnazione secondo cui il leader di Yamina Naftali Bennet sarà Primo Ministro fino al 2023 per poi passare il testimone per il secondo biennio a Yair Lapid, alla guida di Yesh Atid. Nonostante la formazione del nuovo assetto governativo interrompe uno stallo politico durato due anni, in cui il popolo israeliano è stato chiamato a votare per ben quattro volte senza mai arrivare ad un chiaro vincitore, sono già diversi i fattori che sembrano compromettere la stabilità di quello che Bennett e Lapid hanno soprannominato “governo di guarigione”.

La prima grande sfida con la quale tale esecutivo deve fare i conti è proprio la sua sopravvivenza. La coalizione ha infatti ricevuto l’approvazione soltanto di 60 dei 120 deputati della Knesset, con 59 contrari e un astenuto (un esponente del partito Ra’am) e tale mancanza di supporto parlamentare mette in luce come il nuovo gabinetto nasca già in una condizione di fragilità.  Motivo che ha spinto i membri della coalizione a fare pressione affinché Yariv Levin, lo speaker della Knesset, venisse sostituito con il deputato di Yesh Atid, Mickey Levy, sperando che tale mossa possa aiutare il nuovo esecutivo ad esercitare un maggior controllo sulle dinamiche parlamentari.

Soprattutto, se fino ad ora il vero collante capace di tenere insieme le differenze ideologiche della coalizione era la volontà di estromettere definitivamente Netanyahu, ora che il loro intento è stato raggiunto sarà difficile trovare posizioni convergenti su cui lavorare. Nello specifico, stando agli accordi, alle parti della coalizione è richiesto un consenso per ogni disegno di legge presentato alla Knesset, criterio che renderà impossibile accordarsi sulle questioni più polarizzanti, prima fra tutti quella palestinese. Difatti, nonostante il leader di Ra’am, Mahmoud Abbas, abbia affermato che nei dialoghi preliminari le diverse parti abbiano discusso anche di alcuni provvedimenti a favore della comunità palestinese – come finanziamenti statali per infrastrutture, lotta al crimine nelle città palestinesi e un possibile emendamento alla legge Kaminitz, secondo cui è permessa la demolizione delle case di cittadini palestinesi privi di permessi di costruzione qualora questi non riescano ad ottenere tali licenze – progetti di questo tipo cozzano del tutto con l’ideologia di “Grande Israele” portata avanti da Bennett, così come con le posizioni più conservatrici degli altri partiti di destra.

Per questo, al momento Bennett e Lapid sembrano convenire sull’intento di impostare l’agenda politica partendo dalle questioni interne che hanno maggiormente risentito dello stallo politico degli ultimi anni, come l’economia, i progetti infrastrutturali e le operazioni governative di base, tra cui ripristinare la fiducia pubblica nelle istituzioni statali e ricucire i rapporti tra il governo e la Corte Suprema. Tuttavia, già solo guardando alla questione economica, i partiti di destra si fanno portatori di una visione di stampo liberale mentre Meretz e il partito Labor sono favorevoli ad un maggiore interventismo statale nell’economia del Paese, una prima divergenza di vedute che non renderà facile arrivare ad un accordo e renderà ancora più complessa l’approvazione della legge di bilancio, rimasta sospesa dal 2019.

Di conseguenza, il nuovo governo entra in carica con innumerevoli problemi di debolezza intrinseca a cui far fronte. La quasi inesistente maggioranza parlamentare e le possibili difficoltà delle parti nel mettersi d’accordo per configurare un’agenda politica potrebbero causare dei veri e propri problemi di immobilismo decisionale, che non permettono di escludere un crollo del nuovo assetto governativo nel breve termine e un ritorno a nuove elezioni. È proprio questo lo scenario auspicato da Benjamin Netanyahu, il quale punta ora a servirsi delle frizioni tra le parti per esacerbare le tensioni e spingere alcuni esponenti a disertare da quello che lui ha definito un “governo pericoloso”, sperando così di riguadagnare terreno in caso di nuove elezioni. Una possibilità che, qualora lui rimanga a capo dell’opposizione, non è da escludere.

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