Il Myanmar tra guerra civile e resistenza
Asia e Pacifico

Il Myanmar tra guerra civile e resistenza

Di Andrea Mistretta
20.12.2022

Trascorsi quasi due anni dal colpo di Stato del primo febbraio 2021 compiuto dalle Forze Armate birmane (Tatmadaw), il Myanmar si trova in una condizione di permanente insicurezza e precaria stabilità politica. Il golpe, infatti, oltre ad aver contribuito a deteriorare il quadro macroeconomico complessivo, ha esacerbato le conflittualità interne, non solo tra la giunta militare e il movimento di resistenza civile, espressione dell’opposizione a maggioranza birmana, ma anche tra il Tatmadaw e le numerose organizzazioni etniche armate attive sul territorio. A tal proposito, sebbene le diverse organizzazioni etniche siano accumunate da rivendicazioni similari, quali il diritto all’autodeterminazione e alla rappresentanza politica, il posizionamento di ciascuna di esse nei confronti della resistenza e del Tatmadaw presenta sfumature differenti che complicano ulteriormente il quadro securitario nazionale.

In particolare, la Kachin Independence Organization e la Karen National Union, attive rispettivamente a nord-est e sud-est del Paese, dove controllano parte del territorio, hanno dichiarato la loro adesione al movimento di resistenza civile, offrendo rifugio e addestramento ai giovani attivisti e ai civili in fuga dalle città. Poiché nelle comunità Kachin e Karen vi è tradizionalmente un’elevata partecipazione della collettività nelle decisioni politiche in ambito civile e militare, appare lecito credere che le pressioni sociali abbiano indirizzato la scelta di unirsi al variegato movimento di resistenza. Diversamente, l’Arakan Army, operativo nello Stato di Rakhine al confine con il Bangladesh, ha mantenuto finora un atteggiamento distaccato nei confronti del movimento anti-golpe. Le ragioni di questa scelta potrebbero risiedere, almeno in parte, nelle aspirazioni indipendentiste di questa comunità, distanti dalle istanze politiche sollevate dalla resistenza che chiede, tra l’altro, il ripristino del governo precedente al febbraio 2021. Guidato da Aung San Suu Kyi, infatti, quell’esecutivo contrastò con forza le spinte autonomiste del popolo Rakhine e, più in generale, non garantì la sicurezza delle minoranze etniche.

Il complesso quadro di sicurezza del Myanmar è ulteriormente aggravato dalla presenza di centinaia di milizie schierate a sostegno del Tatmadaw o delle organizzazioni etniche armate. Tra le principali milizie pro-Tatmadaw si segnalano le Border Guard Forces, composte da 23 unità da circa 300 uomini ciascuna, poste a controllo delle porose aree di confine con Bangladesh, Cina, Laos e Thailandia. Il legame con il Tatmadaw consente alle singole unità di ricevere rifornimenti d’armi e sostegno finanziario al pari di un membro dell’esercito nazionale. Tuttavia, data le carenze di budget, le Forze Armate birmane garantiscono alle milizie di confine un discreto livello di autonomia nella gestione di attività, formali e informali, che contribuiscono al loro sostentamento. In questo quadro, la produzione e il commercio di oppiacei e metanfetamine rappresentano una fonte di entrate importante tanto per le milizie filogovernative, quanto per i diversi gruppi etnici armati. A riprova dell’importanza della coltivazione di oppiacei, nel 2021 la superficie complessiva dedicata a tale coltura è aumentata fino a raggiungere i 30.200 ettari, con buona parte della produzione concentrata negli stati di Shan e Kachin. Ciò ha favorito un’estensione delle rotte del narcotraffico birmano che si estendono attraverso il sud-est asiatico fino a raggiungere la Corea, la Nuova Zelanda, l’Australia e il Giappone. Dato il ruolo chiave del narcotraffico come principale fonte di finanziamento per l’acquisto di armi, è lecito attendersi che le attività ad esso legate proseguano nel breve e medio periodo soprattutto nel contesto di crescente militarizzazione e scontro che caratterizza il Paese dopo il golpe. In questo contesto, gruppi etnici armati e milizie filogovernative potrebbero puntare ad ampliare i propri canali transfrontalieri sfruttando la posizione geografica del Myamnar, parte integrante del cosiddetto Golden Triangle, la zona montuosa al confine con Laos e Thailandia seconda per produzione di oppio solo all’Afghanistan. Non a caso, lo United Wa State Army, gruppo etnico armato presente nella Divisione Autonoma orientale di Wa, ha già potenziato le proprie relazioni con i trafficanti cinesi attivi nella zona, affermandosi come intermediatore privilegiato per l’importazione illegale di armi nel Paese.

Malgrado il Tatmadaw non appaia in grado di garantire un controllo capillare del territorio e fermare il traffico di armi nel Paese, dal punto di vista dell’equipaggiamento militare le Forze Armate mantengono una netta superiorità rispetto ai numerosi gruppi armati presenti. Le forze birmane, infatti, possono contare sul Direttorato delle Industrie della Difesa (Ka-Pa-Sa) per la produzione domestica e sulle importazioni dall’estero. In particolare, nel periodo 2000-2021, la Cina ha rappresentato il primo fornitore di armi per il Myanmar, seguita da Russia e India. Risale a novembre l’ultimo acquisto da parte del regime militare di 6 caccia FTC-2000G di origine cinese, probabilmente destinati alla base aerea di Namhsan, nello Stato orientale di Shan, finalizzati proprio al potenziamento dei raid aerei contro le forze di resistenza e i gruppi etnici nella regione. Inoltre, il commercio con la Cina che il Ka-Pa-Sa garantisce materie prime, componenti e macchinari indispensabili per lo sviluppo domestico di sistemi d’arma.

I singoli gruppi armati, dunque, non sembrano disporre a oggi dell’equipaggiamento militare adeguato a mettere realmente in discussione la sopravvivenza del regime. Tuttavia, il recente innalzamento del numero degli attacchi effettuati dai gruppi etnici e dalle Forze di Difesa del Popolo, importante raggruppamento della resistenza formato da attivisti pro-democrazia, ha provocato molteplici perdite tra le fila del Tatmadaw. Questo permette di sottolineare le difficoltà dell’esercito birmano nel contrastare le diverse forze di opposizione, le quali, seppure non agendo in maniera coordinata e organizzata, possono costituire nel loro insieme una potenziale minaccia alla stabilità del regime.

In questo quadro, la giunta può puntare sul supporto di importanti attori regionali al fine di garantire la tenuta del governo militare nel breve-medio termine. In particolare, Cina e India, seppur mosse da interessi strategici contrapposti, non hanno mai interrotto le relazioni commerciali e diplomatiche con il Myanmar che, anzi, svolge il ruolo di protagonista nella più ampia partita per l’influenza regionale. La Repubblica Popolare, infatti, condividendo oltre 2.000 chilometri di confine con il Myanmar, punta alla stabilizzazione del Paese al fine di tutelare la propria sicurezza nazionale e completare i progetti di connettività inseriti nell’ambito della “Belt and Road Initiative”. Dal canto suo, anche l’India guarda con estremo interesse al Myanmar, Paese posto al centro della Act East Policy, la strategia per il vicinato lanciata dal Governo di Narendra Modi. In questo quadro, Delhi punta a completare il progetto di connettività transfrontaliera “IMT Highway”, che mira a collegare India, Myanmar e Thailandia attraverso una serie di infrastrutture stradali. Allo stesso tempo, la giunta ha concluso un accordo con le autorità di confine bangladesi per condividere informazioni riguardo ai movimenti dei gruppi armati lungo il confine ed avviare operazioni militari congiunte contro questi ultimi.

In un contesto in cui la giunta militare continua ad avere il supporto di attori regionali chiave e ad ottenere risorse economiche con cui finanziare le azioni di repressione, la prospettiva di breve-medio termine per il Paese potrebbe essere quella di una cristallizzazione della conflittualità, con conseguente deterioramento delle condizioni di vita della popolazione. Al momento, infatti, in assenza di poco probabili operazioni congiunte e coordinate da parte di un fronte unito tra organizzazioni etniche e resistenza, la giunta militare non sembra rischiare di perdere il controllo del Paese. Tuttavia, l’assenza di risposte ai crescenti problemi sociali ed economici rischia, in prospettiva, di allargare le fila dei gruppi di opposizione e trasformare completamente lo scenario.

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