Geopolitical Weekly n.322

Geopolitical Weekly n.322

Di Francesco Barbaro e Andrea Cerasuolo
04.04.2019

Turchia

Alle elezioni amministrative turche del 31 marzo, l’Alleanza Nazionale formata dal Partito Popolare Repubblicano (CHP) e dal Partito Buono (IYI) ha ottenuto importanti successi contro il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) del Presidente Recep Tayyip ErdoÄŸan ad Ankara e a Istanbul, città rilevanti dal punto di vista socio-economico, simbolico e strategico.

Nella capitale, il CHP è tornato alla vittoria dopo 25 anni grazie al candidato Mansur Yava che, con un passato nel Partito del Movimento Nazionalista (MHP), è riuscito a drenare voti dall’alleato di governo dell’AKP. In più, quest’ultimo è crollato anche in importanti centri costieri quali Smirne, Antalya, Adana e Mersin. Ancora più significativo appare il risultato ottenuto a Istanbul. Il candidato di ErdoÄŸan, Binali Yildirim, ex Primo Ministro e Presidente del Parlamento, era largamente favorito, ma alla fine è stato battuto dal repubblicano Ekrem Imamoglu per soli 25mila voti. Il partito del Presidente turco ha chiesto e ottenuto il riconteggio delle schede nei distretti contestati, sperando in un ribaltamento del risultato.

Benché, a livello nazionale, l’AKP abbia comunque ottenuto la maggioranza dei suffragi, salvaguardando così il proprio status di primo partito, le sconfitte patite restano alquanto significative per due ragioni. Prima di tutto Istanbul, con i suoi 15 milioni di abitanti e circa un terzo del PIL nazionale, è piuttosto rappresentativa delle dinamiche di consenso del Paese. In secondo luogo, si tratta della città in cui ErdoÄŸan, col mandato di sindaco conquistato nel 1994, iniziò la sua ascesa politica, e dove le clientele politiche dell’AKP sono tradizionalmente forti.

Nel complesso, le elezioni del 31 marzo sembrano aver dato sfogo ad un malumore crescente e piuttosto trasversale, imperniato probabilmente sul deterioramento dell’economia nazionale, duramente colpita nell’ultimo anno dalla svalutazione della lira turca, da una forte inflazione, e dalla conseguente riduzione degli investimenti infrastrutturali che l’avevano finora sostenuta. In questo senso, per limitare l’erosione dei consensi per l’AKP, il Presidente non sembra poter fare affidamento su un aumento oculato della spesa pubblica, strumento cui ha fatto ricorso più volte in passato. Inoltre, non si può escludere che un eventuale avvitamento della crisi economico-politica e il timore di un’ulteriore perdita di consensi possa inasprire le tensioni interne all’AKP sullo sfondo di una lotta per la successione ad ErdoÄŸan ai vertici del partito.

Uganda

Il 2 aprile, all’interno del Queen Elizabeth National Park, situato 400 km a sud-ovest della capitale Kampala, una turista statunitense e la sua guida ugandese sono stati rapiti da quattro uomini armati. L’allarme è stato lanciato da una coppia di anziani turisti che si trovava anch’essa sul mezzo fermato dal gruppo armato. Nelle ore successive è arrivata la richiesta di riscatto (500.000 dollari) che i rapitori hanno fatto pervenire alle autorità e alla famiglia della vittima attraverso il suo stesso cellulare.

La polizia ha rafforzato i controlli all’interno del parco e lungo la limitrofa frontiera con la Repubblica Democratica del Congo, inviando in loco anche unità speciali per le operazioni di liberazione ostaggi. Le autorità hanno formulato diverse ipotesi su quale organizzazione criminale possa essere responsabile del sequestro: la più probabile sembra essere quella di uno dei numerosi gruppi ribelli congolesi che operano sia nelle instabili provincie orientali del proprio Paese sia nelle prospicienti zone di confine ugandesi trovando nei sequestri un’utile forma di finanziamento. Tra essi, le più attive risultano essere le milizie dell’Allied Democratic Forces (ADF), movimento nato nel 1996, composto prevalentemente da membri di etnia Hutu e caratterizzato da posizioni ideologiche islamico-radicali.

L’azione dei sequestratori segnala un salto di qualità nell’azione dei gruppi criminali e delle milizie ribelli. Di fatto, sebbene l’Uganda abbia sperimentato nello scorso anno un’eccezionale ondata di rapimenti (42 casi solo da febbraio a maggio) le cui vittime sono soprattutto donne e bambini, mai prima d’ora si erano verificati sequestri all’interno di parchi nazionali e contro cittadini occidentali: i turisti sono infatti una delle principali fonti di reddito del Paese e le autorità cercano di tutelarli al meglio.

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