Geopolitical Weekly n.139

Geopolitical Weekly n.139

Di Stefano Sarsale
20.02.2014

Sommario: Egitto, Libano, Nigeria, Ucraina, Venezuela

Egitto

Domenica 16 febbraio, a Taba, villaggio al confine tra Egitto e Israele nel sud della penisola del Sinai, un ordigno esplosivo ha colpito un autobus che trasportava 33 turisti sudcoreani, uccidendone 4 e ferendone altri 14. L’attentato è stato rivendicato da Ansar Bayt al-Maqdis (ABM), gruppo terroristico di ispirazione qaedista, il cui portavoce ha dichiarato che l’attacco rientra nella strategia di colpire gli interessi economici egiziani per danneggiare il regime dei militari. In particolare, ABM intende colpire il settore turistico, una delle fonti primarie di guadagno dello Stato, già fortemente provato dagli ultimi 3 anni di disordini politici. La penisola del Sinai ha visto un crescente attivismo da parte di organizzazioni jihadiste e l’attacco di Taba dimostra come ABM potrebbe variare gli obbiettivi e ampliare il proprio teatro operativo. Infatti, i primi attentati del gruppo hanno colpito le Forze Armate, accusate di aver destituito in modo illegittimo l’ex Presidente Morsi. Inoltre, destano particolare preoccupazione i contatti tra ABM e parte della comunità beduina del Sinai, che pare offrire al gruppo jihadista sostegno logistico.

Libano

Il 19 febbraio, le Brigate Abdullah Azzam (BAA), gruppo di ispirazione qaedista, hanno rivendicato un attentato a Beirut, che ha provocato 4 morti e più di 100 feriti. L’attacco suicida è avvenuto nel quartiere meridionale di Bir Hasan, nelle vicinanze di un centro culturale iraniano, poco lontano dall’ingresso dei quartieri controllati da Hezbollah. I fatti accaduti in Libano sono profondamente legati alla guerra civile siriana. Infatti, non è da escludere che l’azione delle BAA sia avvenuta in risposta al coinvolgimento delle forze di Hezbollah nell’offensiva dell’Esercito siriano contro i ribelli nella regione di Qalamoun, al confine tra Siria e Libano. I molteplici attentati di cui è stato teatro il Libano nelle scorse settimane mettono in evidenza come il conflitto siriano influisca sui Paesi vicini. Infatti, gli attacchi contro uffici e i quartieri di Hezbollah in Libano rappresentano una forma di rappresaglia dei gruppi vicini ai ribelli siriani contro il sostegno del movimento sciita al regime di Assad.

Nigeria

La setta islamica salafita Boko Haram ha rivendicato l’uccisione di 106 cristiani nella notte tra sabato 15 e domenica 16 nel villaggio di Izghe, nello Stato del Borno, situato nel nord-est del Paese. L’attacco fa seguito a quello della scorsa settimana nella città di Konduga, sempre nel Borno, dove le vittime di religione cristiana sono state 30. Tale ondata di violenza è avvenuta a poche settimane di distanza dalla massiccia sostituzione dei vertici delle Forze Armate voluta dal Presidente Goodluck Jonathan. Il Capo dello Stato aveva motivato questa improvvisa decisone come una risposta energica all’incapacità delle Forze Armate di affrontare con efficacia l’insurrezione islamica che insanguina il Paese dal 2009. Tuttavia, il repentino cambio alla guida dello Stato Maggiore, lungi da rappresentare un incentivo alla lotta contro Boko Haram, potrebbe ulteriormente limitare la strategia e le iniziative anti-terrorismo da parte del governo. Infine, non bisogna dimenticare che, al di là delle dichiarazioni ufficiali di Jonathan, il rinnovamento dei vertici militari potrebbe essere legato ad una manovra politica volta a costruire la base di consenso in grado di garantire al Presidente in carica la rielezione nel 2015.

Ucraina

Il 21 febbraio dopo intensi negoziati tra governo e opposizione, il Presidente Yanucovich ha annunciato l’indizione di elezioni presidenziali anticipate, la formazione di un governo di coalizione e la riforma della Costituzione. Tale decisione, accettata dalle opposizioni, ha permesso la firma di un accordo tra le autorità ucraine e i movimenti che a esse si oppongono. La sottoscrizione del patto è giunta dopo tre giorni di violenti scontri tra polizia e manifestanti che hanno insanguinato la capitale Kiev, provocando, secondo le prime stime, 77 morti e 580 feriti. Si tratta del peggior bilancio da quando è iniziata, a novembre, la protesta contro il Presidente Yanucovich. In quest’ultimo sviluppo della crisi ucraino è stata decisiva sia la mediazione russa tra governo e insorti sia i colloqui tra la presidenza ed i rappresentanti dei governi francese, tedesco e polacco. Il Presidente è ritenuto colpevole, a detta delle opposizioni europeiste, di un eccessivo allineamento alla Russia. Nella fattispecie, la causa scatenante degli ultimi scontri è stato il rifiuto, da parte della maggioranza parlamentare, di affrontare la questione della riforma costituzionale chiesta dall’opposizione. Infatti, i movimenti di piazza e i partiti anti-Yanucovich hanno domandato la revisione in senso parlamentarista dell’attuale presidenzialismo ucraino. La preoccupante escalation della tensione e la durezza mostrata dal governo nel reprimere le proteste hanno spinto l’Unione Europea ad adottare sanzioni contro l’Ucraina e ad intervenire direttamente per cercare di placare gli scontri. Di contro, la Federazione Russa, che ha accusato le opposizioni di essere controllate da governi stranieri, ha evidenziato come riterrà inaccettabile la costituzione di un governo “fantoccio” espressione delle pressioni europee.

Venezuela

Il leader dell’opposizione politica venezuelana Leopoldo Lòpez è stato arrestato giovedì a Caracas con l’accusa di essere responsabile delle violenze verificatesi durante le proteste antigovernative svoltesi la scorsa settimana e terminate con 3 morti e decine di feriti. Le manifestazioni contro il Presidente Nicolás Maduro sono scoppiate a causa del dilagante malcontento dovuto all’alto tasso di criminalità, al peggioramento delle condizioni di vita legato alla carenza di beni di consumo e all’elevatissima inflazione (superiore al 50 %). Inoltre, la tensione popolare è stata ulteriormente inasprita dai continui arresti di manifestanti perpetrati dalle forze di sicurezza nazionali. Il Presidente ha accusato il leader del partito di opposizione Volontà Popolare (VP) di essere il fomentatore delle violenze e il mandante di un ipotetico “complotto fascista” mirato a rovesciare il suo governo. All’indomani dell’arresto, il destino politico di Lòpez appare incerto e rischia di radicalizzare ulteriormente lo scontro politico di un Paese, come il Venezuela, fortemente polarizzato tra sostenitori del governo e oppositori.

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