Elezioni afghane del 2014, una sfida per il futuro del Paese
Asia e Pacifico

Elezioni afghane del 2014, una sfida per il futuro del Paese

Di Riccardo Mario Cucciola
12.03.2014

Il 5 aprile 2014, 12 milioni di afghani saranno chiamati alle urne per eleggere le amministrazioni provinciali e un nuovo Presidente della Repubblica, ossia la massima figura politica del Paese (è sia Capo di Stato che Capo di Governo). Questo viene eletto a maggioranza assoluta degli aventi diritto attraverso un sistema a doppio turno e ottiene un mandato di cinque anni rinnovabile una sola volta. Per sopraggiunti limiti costituzionali finirà l’epoca di Hamid Karzai, il Presidente uscente che ha guidato il nuovo Stato afghano post-talebano, e inizierà presumibilmente una stagione dominata dall’incertezza dovuta al ritiro, entro il 2014, dei maggiori contingenti NATO.

L’avvicinamento alle elezioni è stato caratterizzato dalle importanti riforme costituzionali che, per tutto il 2013, Karzai ha promosso nel tentativo di garantire una maggiore trasparenza del sistema elettorale. Il presidente uscente, oltre ad aver riformato i regolamenti per le votazioni, ha rafforzato la commissione “indipendente” ECC (Electoral Complaints Commission), avente il compito di esaminare i ricorsi per i brogli e le irregolarità elettorali, ed ha modificato la composizione della commissione elettorale indipendente afghana IEC (Independent Election Commission for Afghanistan), aumentandone l’indipendenza dall’esecutivo. L’esito di tali riforme è stato tuttavia poco incisivo e non ha scalfito le logiche clientelari tipiche del sistema afghano, come testimoniato dalla nomina di Ahmad Yusuf Nuristani, fedelissimo di Karzai, alla guida della IEC.

Inutile dire che, malgrado queste elezioni saranno sorvegliate da circa 300.000 tra osservatori afghani e internazionali, una reale apertura democratica sembra essere ancora ostacolata dal perdurare di forti tensioni sociali all’interno del Paese. L’Afghanistan, infatti, è ancora lacerato dagli oltre trent’anni di guerra civile e risulta fortemente diviso lungo profonde fratture inter-etniche, religiose e linguistiche che rendono difficile il percorso di riconciliazione e di ricostruzione statale. Inoltre, In una società come quella afghana, fortemente gerarchizzata e basata sul potere dei signori della guerra e di capi-villaggio, l’effettiva trasparenza del processo elettorale potrebbe risultare inficiato dall’influenza esercitata dai leader locali sulla libertà di espressione delle diverse comunità. Non deve sorprende che fattori quali povertà, limitata consapevolezza politica, corruzione e voto di scambio siano ancora fenomeni fortemente radicati all’interno della società.

L’estrema eterogeneità etnica e l’alto livello di conflittualità inter-tribale sono le due peculiarità che, più di altre, influenzeranno l’andamento del voto e lo sviluppo futuro del Paese, sul quale continua a gravare la consistente minaccia dell’insorgenza talebana. In Afghanistan, infatti, la frammentazione etnica si riflette in una speculare frammentazione politica che tenderà inevitabilmente ad influenzare le dinamiche elettorali e l’espressione delle preferenze il prossimo aprile.

Per ovviare alle problematiche socio-politiche di un Paese così complesso (31 milioni di abitanti di cui 42% pashtun, 27%, tagichi, 9% hazara, 9% uzbechi, etc.) già dal 2013 le maggiori forze politiche hanno cercato di costituire alleanze elettorali che limitassero il numero di partiti e avviassero il Paese verso una prima, embrionale, forma di bipolarismo. Un primo tentativo di uniformare la scena politica nazionale è stato rappresentato dalla creazione di due formazioni partitiche, il NUF (National Understanding Forum), rappresentante gli interessi della comunità pashtun, e l’AEA (Afghanistan Electoral Alliance), che riuniva attorno a sé i tagichi, gli uzbechi e gli hazara, ossia quei gruppi etnici una volta parte dell’Alleanza del Nord. Tuttavia, le divisioni interne ai rispettivi gruppi di riferimento e il persistere del personalismo hanno impedito sia al NUF che all’AEA di svilupparsi come piattaforme credibili e stabili. La conseguenza di questo fallimento è stata la proliferazione di candidature individuali provenienti dal mondo istituzionale o dalle reti tribali e famigliari allargate.

Il 6 ottobre 2013, scaduti i termini di presentazione delle candidature, la IEC ha dichiarato che erano state presentate ufficialmente ben 27 candidature per la Presidenza. Di queste, ne sono state accolte solo 11 (ex ministri e parlamentari, figure islamiche conservatrici e signori della guerra) escludendo dalla competizione “indipendenti” di minor rilievo provenienti dalla società civile. Interessante notare come ciascun candidato abbia posto come potenziali vice presidenti degli esponenti di altre etnie, garantendo così la rappresentanza, la tutela e la legittimazione delle principali componenti etniche del Paese.

Ad oggi, degli 11 candidati, i papabili alla successione di Karzai appaiono Abdullah Abdullah, Mohammad Ashraf Ghani Ahmadzai e Zalmai Rassul. Abdullah (1959) è un medico oftalmico di padre pashtun e madre tagica originario di Kabul. Tra il 2001 e il 2005 è stato Ministro degli esteri per il governo di transizione afghano e ha successivamente sfidato Karzai alle presidenziali del 2009. Si è candidato proponendo Mohammad Khan (pashtun) come primo Vice-Presidente (PVP), e Mohammad Mohaqiq (hazara) come secondo Vice-Presidente (SVP). Mohammad Ashraf Ghani Ahmadzai (1949) è un antropologo ed economista di etnia pashtun, considerato tra i massimi esponenti della società civile/intellettuale afghana. Propone il Gen. Abdul Rashid Dostum, ex leader storico della milizia uzbeca, come PVP, e l’hazara Sarwar Danish come SVP. Zalmai Rassul (1943), forte del sostegno di Karzai, è un medico di etnia pashtun originario di Kabul che dal 2010 all’ottobre 2013 è stato Ministro degli esteri. Ha designato Ahmad Zia Massoud, leader tagico del National Front e fratello del leggendario comandante della resistenza anti-talebana Ahmad Shah Massoud (il Leone del Panshir) come PVP e l’hazara Habiba Surabi, come SVP.

Gli altri 8 candidati sono sostanzialmente appaiati come possibilità di affermazione elettorale. Qutbudin Hilal (1952), un ingegnere pashtun formatosi politicamente nei vertici di Hezb-i Islami di Hekmatyar e appartenente a un’ala “riconciliata” con il governo del movimento islamista. Si è candidato come indipendente designando Enayatullah Enayat (uzbeco) come PVP, e Mohammad Ali Nabizada (tagico) come SVP. Abdul Rab Rassul Sayyaf (1944) un giurista islamista di etnia pashtun originario del Paghman. Tra i leader di Ikhwan al-Muslimin, organizzazione d’impronta wahabita legata alla Fratellanza musulmana egiziana, giocò un ruolo chiave nel jihad contro i sovietici e nella guerra civile afghana. Viene considerato come uno dei più temibili signori della guerra: a capo del gruppo Ittehad-e Islami, è stato spesso accusato di gravi violazioni di diritti umani di matrice inter-etnica (come i massacri di hazara nel 1998), di aver favorito l’arrivo di Osama bin Laden in Afghanistan e di essere stato direttamente coinvolto nell’assassinio del comandante Massoud. Attualmente è a capo del partito Hezb-i-Tanzim Dawat-i-Islami Afghanistan e, nel 2005, è stato eletto nel Wolesi Jirga. Propone l’ex jihadista tagico Mohammad Ismail Khan come PVP, e l’islamista uzbeco Abdul Wahab Urfan Erfan come SVP. Abdul Qayum Karzai (1957) è un imprenditore di etnia pashtun, fratello maggiore del Presidente uscente Hamid Karzai, e membro, fino al 2008, dell’assemblea costituente afghana (e poi parlamentare). Propone l’uzbeco Wahidullah Shahrani come PVP, e l’hazara Mohammad Noor Akbari come SVP. Abdul Rahim Wardak (1944) è un esperto militare di etnia pashtun, affiliato al National Islamic Front of Afghanistan di Syed Ahmad Gilani, che tra il 2004 e il 2012 ha ricoperto la carica di Ministro della difesa. Propone il tagico Shah Abdul Ahad Afzali come PVP, e l’hazara sciita Sayed Hussian Anwari come SVP. Mohammad Sahfiq (1955), conosciuto anche come Gul Agha Sherzai, è un politico di etnia pashtun che attualmente ricopre la carica di governatore della provincia di Nangarhar. Ha proposto l’hazara Sayed Hussain Alimi Balkhi come PVP, e l’uzbeco Mohammad Hashim Zarea come SVP. Sardar Mohammad Nader Naeem (1965) è un informatico pashtun originario di Kabul, nipote dell’ex Presidente afghano Daud Khan e membro della famiglia reale: nel 2012 ha lanciato la campagna politica Woles Ghag (Voce della Nazione) e ora concorre come “indipendente” proponendo il tagico Taj Mohammad Akbar come PVP, e il pashtun Azizullah Puya come SVP. Hedayat Amin Arsala (1941) è un economista di etnia pashtun cresciuto nell’alta società di Kabul conosciuto per essere stato uno dei principali consiglieri del Presidente uscente Hamid Karzai. Propone il Gen. Khudaidad (hazara) come PVP, e l’attivista pashtun Safia Seddiqi come SVP. Dawoud Sultanzoi, (1953) pashtun originario della provincia di Ghazni, è un ex dissidente di vedute democratiche. Ha proposto il tagico Ahmad Saeedi come PVP e l’hazara Kazima Mohaqiq come SVP. La sua candidatura era stata originariamente scartata per un caso di doppia cittadinanza (afghana e americana).

Interessante notare come il confronto politico abbia assunto dei toni ulteriormente innovativi: per la prima volta nella storia afghana, il 4 febbraio si è tenuto un confronto televisivo in stile occidentale tra i cinque maggiori candidati (Abdullah, Ghani, Wardak, Rassul, Karzai), anche se questo non sembra essere riuscito a polarizzare le preferenze degli elettori: secondo un recente sondaggio condotto dalle emittenti ATR e TOLO News in tutte le 34 province afghane, nessuno dei candidati potrebbe riuscire a vincere direttamente al primo turno (che richiede la maggioranza assoluta), ma verosimilmente sarà necessario ricorrere al ballottaggio tra i due che avranno raccolto i maggiori consensi.

Sul piano internazionale, nessuno di questi 11 candidati sembra soddisfare pienamente le aspettative e gli interessi di Washington: i “tecnocrati” (più vicini agli USA) appaino fin troppo deboli e non del tutto capaci di gestire questa delicata transizione, mentre gli ex signori della guerra rischiano di riproporre il solito sistema clientelare basato su network locali. Sembra comunque da escludere che un qualunque vincitore, anche “radicale” e fondamentalmente anti-americano come Sayyaf, possa fare a meno del supporto statunitense nella stabilizzazione del Paese contro la minaccia talebana. Per questo, sia gli USA sia il prossimo esecutivo afghano avranno l’intesse comune a cooperare fattivamente per non far sprofondare nuovamente l’Afghanistan in una nuova spirale di incertezza.

In ogni caso, il vincitore delle elezioni erediterà da Karzai un Paese spaccato e lacerato dall’insorgenza talebana e che, inoltre, dovrà confrontarsi con le problematiche di sicurezza che emergeranno dal progressivo ritiro dei contingenti NATO. A prescindere da quello che sarà il risultato, questa tornata elettorale condizionerà anche l’esito del BSA (Bilateral Security Agreement) tra USA e Afghanistan e dei singoli SOFA (State of Force Agreement) con gli alleati per delineare la natura del supporto internazionale alla stabilizzazione del Paese dopo il 2014. Questi accordi definiranno la consistenza e le prerogative dei contingenti militari stranieri che resteranno in Afghanistan e che supporteranno il governo di Kabul nel delicato percorso di transizione e, soprattutto, nello sforzo di contrasto alle attività da parte dei talebani. Questi ultimi, intuendo l’importanza simbolica e politica delle elezioni, hanno minacciato pensati rappresaglie, contro i seggi, gli organizzatori e gli stessi elettori, facendo temere il regolare svolgimento della tornata elettorale e rischiando di farne slittare la data.

L’ostracismo dei talebani ha avuto l’effetto di favorire un comune sentimento di opposizione nei loro confronti, aprendo alla possibilità di un primo passo verso una riconciliazione inter-etnica difficile ma non impossibile. Basti pensare che ultimamente anche quella parte dell’insorgenza non talebana, vicina a Hizb-e-Islami, avrebbe deciso di partecipare attivamente alle elezioni, sostenendo il candidato Qutbudin Hilal.

Dunque, la vera sfida delle presidenziali sarà di dare all’Afghanistan un governo forte, stabile, capace di attirare il supporto (economico, politico e militare) internazionale, ma soprattutto il più rappresentativo possibile.

Da queste elezioni si potrebbe capire quanto l’Afghanistan sia pronto ad affrontare una simile responsabilità. Sino ad ora ampie fasce della società afghana sono state spesso escluse dalla partecipazione politica, aggravando ulteriormente le conflittualità interne del sistema nazionale. Per questo, la riconciliazione è il primo obiettivo strategico del prossimo esecutivo afghano, essendo ciò una premessa necessaria alla creazione di uno Stato legittimo, effettivo, efficiente e capace di proteggere la sicurezza e l’unità del Paese.

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