Cosa è emerso dall’incontro tra Xi e Biden al G20
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Cosa è emerso dall’incontro tra Xi e Biden al G20

Di Tiziano Marino
20.11.2022

Il 14 novembre scorso, alla vigilia del G20 di Bali, in Indonesia, si è tenuto il primo faccia a faccia tra il Presidente americano Joe Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping. Malgrado l’assenza di risultati significativi, l’incontro ha avuto una forte valenza simbolica poiché è giunto in una fase estremamente critica delle relazioni tra i due Paesi e ha segnato la volontà di ristabilire un dialogo diretto anche sui dossier più sensibili.

Nel corso dell’incontro si è discusso dei principali fronti di crisi tra Stati Uniti e Cina quali la situazione nello stretto di Taiwan, le tensioni nella penisola coreana e il conflitto russo-ucraino. Malgrado i toni relativamente distesi e gli appelli alla responsabilità reciproca, la discussione su questi temi è servita essenzialmente a ribadire le rispettive posizioni e non ha rivelato particolari aperture. Maggiore predisposizione alla collaborazione è emersa, invece, in relazione alle iniziative comuni da intraprendere per far fronte alle grandi sfide globali come il cambiamento climatico, la stabilità finanziaria e la sicurezza alimentare.

In particolare, forte della riconferma arrivata al XX Congresso del Partito Comunista Cinese dello scorso ottobre, il Presidente Xi ha sfruttato l’incontro con Biden per ribadire l’assoluta centralità che la questione di Taiwan ricopre nell’agenda politica cinese. Inoltre, il leader ha sottolineato come lo status dell’isola e il dibattito sul suo futuro rappresentino una “linea rossa” che non deve essere oltrepassata. Le tensioni su Taiwan erano aumentate nei mesi scorsi anche a seguito della visita di stato di Nancy Pelosi sull’isola, una mossa percepita da Pechino come la messa in discussione da parte americana del principio “una sola Cina” che esclude ogni opzione indipendentista. Dal canto suo il Presidente Biden, forte anch’esso del recente risultato alle elezioni di mid-term americane in cui ha evitato una sconfitta che appariva annunciata, ha sottolineato una volta di più la contrarietà degli Stati Uniti a eventuali mutamenti unilaterali dello status quo regionale. Nel complesso, quindi, sulla questione Taiwan l’incontro non ha prodotto alcun progresso se non nella misura in cui si è ristabilito un dialogo franco e personale tra i due leader che potrebbe proseguire nel prossimo futuro.

Con riguardo alle recenti tensioni nella penisola coreana, dovute ai continui lanci missilistici di Pyongyang in direzione del Mar del Giappone, gli Stati Uniti hanno rilanciato la richiesta alle autorità cinesi di svolgere un ruolo attivo nel placare le provocazioni ed evitare una possibile escalation. In questo quadro, Washington ha ribadito anche il pieno impegno nel difendere gli interessi degli alleati nell’Indo-Pacifico a fronte di un intensificarsi della crisi. Sul dossier nordcoreano, seppur la posizione cinese resti immutata, si registra una lettera di Xi del 22 novembre scorso all’indirizzo del leader nordcoreano Kim Jong Un nella quale si parla della cooperazione necessaria per costruire la pace e la stabilità regionale. Anche Pechino, quindi, sembrerebbe interessata in questa fase a giocare un ruolo attivo al fine di evitare un’escalation militare che non farebbe gli interessi cinesi.

In riferimento alla guerra in Ucraina, la posizione di Pechino rimane coerente con quella dichiarata fin dall’inizio dell’invasione russa. La Cina, in particolare, è consapevole della portata dei danni economici derivanti dal conflitto e, per questa ragione, invoca una risoluzione pacifica attraverso negoziati. Tuttavia, la Repubblica Popolare stenta a giocare un ruolo di primo piano come chiesto più volte dal blocco euroatlantico per almeno due ragioni. Anzitutto, Pechino non ha interesse ad andare allo scontro diplomatico con Mosca e sa che il Cremlino non muterebbe la propria strategia in Ucraina solo per compiacere la leadership cinese. In secondo luogo, il deterioramento progressivo delle relazioni tra Russia e Stati Uniti non sembrerebbe dispiacere del tutto alla Cina che anzi assume, nel quadro post-conflitto che si va delineando, una nuova e assoluta centralità.

Freddi restano i rapporti tra Stati Uniti e Cina anche sul fronte della cooperazione economica. In particolare, il mese scorso l’amministrazione Biden ha annunciato un nuovo pacchetto di restrizioni mirato a limitare l’export verso la Cina di chip avanzati e della tecnologia necessaria per produrli. Nel complesso, la crescente competizione commerciale con Washington disturba Pechino, la quale vorrebbe riprendere il percorso comune di sviluppo che ha facilitato il raggiungimento di livelli di crescita sostenuti per molti anni. Inoltre, le criticità nei rapporti commerciali con gli Stati Unti minano anche la stabilità delle relazioni con l’Unione Europea, già fortemente deteriorate a causa della posizione neutrale mantenuta dalla Cina rispetto al conflitto in Ucraina. In questo quadro, malgrado gli sforzi cinesi, appare improbabile che gli Stati Uniti cambino strategia almeno nel breve e, anzi, in un mondo sempre più polarizzato appare lecito attendersi che il processo di progressivo decoupling tra le due economie prosegua anche nei prossimi mesi.

Nel complesso, il colloquio tra Biden e Xi ha segnato la riapertura dei canali di comunicazione tra i due Paesi e potrebbe servire a tenere sotto controllo le forti tensioni nella regione dell’Asia-Pacifico, ancor più gravi perché si sviluppano in un contesto internazionale già sotto stress a causa del conflitto russo-ucraino. Inoltre, i colloqui sono serviti anche a impostare un piano di incontri tra i rispettivi funzionari governativi nel prossimo futuro, a riprova della volontà di proseguire nel dialogo. Sebbene, quindi, la competizione Cina-Stati Uniti sia destinata a continuare su tutti i fronti, ci si potrebbe attendere un calo dei toni mirato a evitare che le tensioni in corso si trasformino in scontro aperto.

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