Colpo di Stato in Sudan: incertezze, speranze, timori di una nazione
L’11 aprile, con una mossa a sorpresa, le Forze Armate sudanesi hanno deposto il Presidente Omar al-Bashir, ex ufficiale dell’esercito, leader del partito di governo NCP (National Congress Party) e al potere dal lontano 1989. L’epoca di al-Bashir, dunque, termina così com’era cominciata, ossia con un colpo di Stato militare avvenuto nel contesto di una grave fragilità economica e di tumultuose proteste di piazza.
Infatti, i vertici dell’apparato militare e del Servizio Nazionale di Sicurezza ed Intelligence hanno deciso di deporre l’ormai ex Presidente per cercare di arginare le crescenti manifestazioni popolari, iniziate nel dicembre 2017 in risposta agli stringenti piani di austerity approvati dal governo per risanare l’economia. Questi ultimi, derivati dalla volontà di rispettare le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale, si sono concentrati sulla rimozione dei sussidi sui beni di prima necessità e sui carburanti e sulla svalutazione della moneta, scatenando l’iperinflazione (70%). In particolare, ad innescare la miccia della rabbia popolare è stato l’innalzamento vertiginoso del prezzo degli alimenti, soprattutto farina e pane, e la loro crescente inaccessibilità sul mercato.
Tuttavia, le manifestazioni contro il carovita hanno presto assunto una forte connotazione politica, allargando lo spettro delle rivendicazioni da prettamente economiche a marcatamente istituzionali e incentrate sulla richiesta di una profonda riforma del sistema di potere, della governance e dello Stato di diritto sudanesi. In questo modo, associazioni di categoria, sindacati, studenti, organizzazioni della società civile e partiti di opposizione si sono ritrovati uniti nel domandare la fine del regime di al-Bashir, pronto a ricandidarsi per le farsesche elezioni presidenziali del 2020, e l’avvio di un processo di transizione volto a costruire un’autentica democrazia basata sul rispetto dei diritti civili e politici e sulla lotta alla corruzione e al nepotismo.