ATLAS Afghanistan: Stati Uniti annunciano il taglio degli aiuti finanziari
Afghanistan: Stati Uniti annunciano il taglio degli aiuti finanziari
Lo scorso 23 febbraio, una nota ufficiale statunitense ha annunciato un taglio degli aiuti economici all’Afghanistan per la cifra di un miliardo di dollari, nonché la possibilità di effettuare una riduzione analoga nel 2021. La decisione giunge a seguito della visita del Segretario di Stato Mike Pompeo che si era recato nel Paese per incontrare il Presidente, Ashraf Ghani, e il suo principale oppositore, Abdullah Abdullah. Il viaggio aveva l’obiettivo di spingere i due leader a formare un governo inclusivo, dopo l’impasse causato nelle scorse settimane dal rifiuto di Abdullah di riconoscere la vittoria elettorale di Ghani e dall’annuncio della formazione da parte del leader tagiko di un governo ombra.
La scelta dell’Amministrazione Trump risponde alla volontà di provare a forzare la mano con il governo afghano, per scongiurare l’eventualità che lo stallo in corso possa mettere a repentaglio il difficile processo di normalizzazione dei rapporti con i talebani, promosso dagli accordi di Doha del 29 febbraio. In un momento in cui gli Stati Uniti hanno avviato il ritorno del proprio contingente dal teatro, le difficoltà di formare un governo a quattro mesi dalle elezioni è considerato da Washington una minaccia per i propri interessi nazionali, poiché rischia di vanificare gli sforzi intrapresi per poter mettere un punto fermo al proprio impegno militare nel Paese. L’assenza di una leadership politica a Kabul, infatti, sta rallentando l’avvio del dialogo intra-afghano che dovrebbe segnare l’avvio ufficiale di un processo di pace tra istituzioni e insorgenza talebana.
Nonostante lo stesso Pompeo abbia dichiarato che la decisione potrebbe essere revocata, l’annuncio del taglio è destinato ad avere importanti conseguenze sulla situazione interna al Paese. In primis, se confermato, il venir meno del sostegno economico statunitense rischia di trascinare l’Afghanistan in un’autentica crisi finanziaria, dato che lo Stato non sarebbe in grado di sostenere più di un quarto del budget fissato tramite entrate fiscali proprie. In secondo luogo, si espone pubblicamente la debolezza governativa afghana, rischiando sia di sollevare il malcontento dell’opinione pubblica, sia di complicare la posizione negoziale di Kabul nella trattativa con i talebani. Mentre continuano gli attacchi dell’insorgenza a macchia di leopardo nel Paese, la leadership talebana ha ribadito l’indisponibilità ad intavolare un dialogo prima del rilascio di 5000 prigionieri, non ancora accordato dal governo.
Guinea: proteste contro il referendum costituzionale
Il 22 marzo scorso, nel Paese si è svolto il referendum per la modifica della Costituzione. Nello specifico, gli emendamenti alla Carta Costituzionale guineana prevedono il rafforzamento dei poteri del Presidente e l’aumento della durata dei mandati presidenziali di un anno, da 5 a sei. Pur mantenendo il limite di due mandati, la nuova Costituzione azzera il conteggio di quelli svolti prima dell’entrata in vigore delle riforme. In sintesi, i cambiamenti alla Legge Fondamentale consentiranno all’attuale Capo dello Stato Alpha Condè di restare al potere per altri 12 anni, aggirando lo scoglio del limite dei due mandati che si sarebbero esauriti il prossimo dicembre. La giornata referendaria è stata segnata da violenti scontri tra la polizia e manifestanti delle opposizioni, con un bilancio di circa 10 morti.
Tutto questo mentre nel Paese si palesa il fantasma dell’aumento dei casi di COVID – 19. Infatti, nei giorni che hanno preceduto il voto, la Guinea ha registrato i primi 4 casi di coronavirus. Temendo che gli assembramenti alle urne potessero favorire la diffusione del virus, le opposizioni nazionali, i Paesi confinanti e l’Organizzazione Mondiale della Sanità avevano chiesto un rinvio della votazione, prontamente ignorato da Condè.
Da diversi mesi i movimenti critici nei confronti della classe dirigente, riunite nel Fronte Nazionale di Difesa della Costituzione (FNDC), manifestano contro l’autoritarismo di Condè, che pure era stato il primo Presidente del Paese eletto democraticamente nel 2010 per poi essere riconfermato nel 2015.Il Capo dello Stato ha offerto il fianco alle accuse della società civile utilizzando una strategia muscolare nella repressione violenta di dissidenti e proteste di piazza.
Israele verso un governo di unità nazionale a guida Netanyahu
Giovedì 26 marzo il leader della coalizione israeliana “Blu e bianco” Benny Gantz è stato eletto Presidente del Knesset, il Parlamento israeliano, con una maggioranza trasversale. Il giorno precedente Yuli Edelstein (del partito Likud, lo stesso del premier Benjamin Netanyahu) si era dimesso dall’incarico a seguito di una pronuncia della Corte suprema e dalla pubblica reprimenda del Presidente dello Stato di Israele Reuven Rivlin che aveva intimato al deputato di fare tale passo per il bene della democrazia nel Paese.
L’avvicendamento ho riaperto alla possibilità della formazione di un governo di unità nazionale, ipotesi caldeggiata fin dal 2 marzo scorso, a seguito dei risultati elettorali che non hanno consegnato una maggioranza parlamentare netta né al partito di Netanyahu, né al partito di Ganz, e alle rispettive coalizioni. Il 16 marzo il Presidente Rivlin aveva affidato un mandato esplorativo allo stesso Gantz, che, sostenuto dalla coalizione “Blu e bianco”, dalla Lista Araba Unita e da diversi deputati indipendenti, ha trovato crescenti difficoltà nel mettere insieme i 61 deputati richiesti per sostenere un nuovo governo.
Il tentativo di Gantz è stato inoltre boicottato a oltranza da Netanyahu. Il Premier uscente, che a breve dovrà andare a processo, infatti, ha sfruttato ogni cavillo procedurale per scongiurare che la nuova Knesset potesse sfruttare le sue vicende giudiziarie per impedirgli di restare alla guida del governo. Di fatto Edelstein ha impedito la formazione delle commissioni parlamentari e ha continuato a redigere gli ordini del giorno della Knesset, benché non lui non rappresentasse i nuovi equilibri della camera legislativa. In più, Netanyahu ha sfruttato l’emergenza coronavirus per aumentare la pressione su Gantz ad accettare un esecutivo di larghe intese che lo protegga temporaneamente dai processi. Tuttavia, cedendo a Netanyahu, Gantz rischia di doversi scontrare con una nutrita fronda interna, visto che alcuni partiti centristi coalizzati dentro Blu e Bianco, come Yesh Atid e Telem, restano fortemente contrari a ogni accordo con il Likud.
Mozambico: i jihadisti attaccano Mocimboa da Praia
Il 23 marzo, la città di Mocimboa da Praia, nella provincia settentrionale di Cabo Delgado, è stata assediata per alcune ore da un nutrito commando di jihadisti. Il 25 marzo successivo, l’attacco è stato rivendicato dallo Stato Islamico nell’Africa Centrale (ISCA), branca regionale del Califfato, ed attribuito ai miliziani di Sunna wa Jammah, organizzazione terroristica locale attiva nel Paese dal 2017-
L’attacco è iniziato verso le 4 del mattino, quando i jihadisti sono penetrati nella città assicurandosi il controllo delle principali arterie viarie, dove hanno costruito delle barricate. In seguito, i miliziani hanno assaltato la caserma delle forze di sicurezza razziando armi e liberando alcuni prigionieri, ed hanno piantato il proprio vessillo sulla stessa. Attorno alle 20.00, dopo ore di scontri con la Forze Armate e le milizie di autodifesa cittadina, l’offensiva è stata respinta, con un bilancio di oltre 20 vittime.
Nel 2020, i jihadisti di Sunna wa Jammah hanno dimostrato un notevole incremento del proprio livello capacitivo, aumentando gli attacchi del 70% ed arrivando addirittura a minacciare una città di 70.000 abitanti come Mocimboa da Praia, snodo fondamentale della rete infrastrutturale e punto di passaggio per il personale delle aziende straniere che operano nel nascente comparto energetico nazionale. Difatti, Mocimboa da Praia è situata a 60 km dal più importante giacimento di gas naturale del Paese, che ha attirato investimenti esteri per diverse migliaia di miliardi di dollari.
Per la strategia attuata e per l’importanza della città coinvolta, quest’operazione segna un ulteriore tassello nel progressivo incremento capacitivo di Sunna wa Jammah. Inoltre, costituisce l’ennesimo campanello d’allarme per le autorità mozambicane, la cui risposta politica e militare di contrasto al jihadismo si è dimostrata inadeguata, esponendo a tale minaccia la popolazione locale e i dipendenti delle aziende estere.