Abbas nomina un successore, ma i problemi persistono
Medio Oriente e Nord Africa

Abbas nomina un successore, ma i problemi persistono

Di Andrea Fusco
02.12.2024

Nella giornata di mercoledì 27 novembre, mentre la notizia del cessate il fuoco concordato tra Israele ed Hezbollah sul fronte libanese ha comprensibilmente raggiunto una risonanza globale, il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Mahmoud Abbas, storico leader 89enne di Fatah, ha emanato un decreto in cui è stato ufficialmente designato il profilo del suo successore ad interim “qualora la Presidenza dovesse diventare vacante”: Rawhi Fattouh, l’attuale Speaker del Consiglio Nazionale Palestinese. Nel testo del comunicato pubblicato dall’agenzia di stampa ufficiale palestinese Wafa è espressamente imposto il termine di scadenza del mandato a 90 giorni, salvo cause di forza maggiore, durante i quali dovranno essere organizzate regolari elezioni per stabilire la nuova guida dell’ANP.

L’annuncio arriva in un momento storico estremamente complicato, tanto per la figura di Abbas e l’opinione popolare riguardo alla sua presidenza (l’89% dei palestinesi in Cisgiordania chiedeva le sue dimissioni a settembre), quanto per la stessa ANP, che negli ultimi mesi sta attraversando una crisi strutturale causata dall’incapacità di rispettare i pagamenti dei propri dipendenti e la perdita pressoché totale di prestigio agli occhi della popolazione palestinese. Mentre a Gaza i raid israeliani continuano a colpire obiettivi a nord (Beit Lahia) e sud nella Striscia (Khan Younis), l’elemento rilevante rispetto all’attesa decisione di esprimersi sul delicato tema della successione, ripetutamente eluso dallo stesso Abbas, riguarda la scelta di cedere le redini a uno storico componente della “vecchia guardia” di Fatah. A rendere interessante questa decisione conservativa è la tempistica e la posizione all’interno di un quadro più generale dell’attuale crisi in corso.

Fattouh, nato nel campo profughi di Rafah nel 1950, ricoprì la carica di Presidente ad interim nel 2004 dopo la morte di Yasser Arafat, prima che le elezioni del gennaio 2005 aprissero alla lunga permanenza di Abbas alla guida dell’ANP; da adolescente, in seguito alla Guerra dei Sei Giorni (1967) si unì ad “al-Asifah”, l’ala armata di Fatah, addestrandosi in Iraq prima di diventare membro del Consiglio Nazionale Palestinese nel 1983, organo di cui è diventato Presidente nel febbraio 2020 in sostituzione di Salim Zanoun. Nel corso della sua carriera politica ha ricoperto diversi ruoli istituzionali: è stato Ministro dell’Agricoltura nel 2003 durante il governo di Ahmad Qurei, portavoce del Consiglio Legislativo Palestinese (organo sciolto nel 2018 da Abbas come risultato del decennale scontro con Hamas, che ne deteneva la maggioranza di membri) dal 2004 al 2006, e nello stesso anno è diventato il rappresentante personale di Abbas.

Date le premesse, il profilo selezionato suggerirebbe una tendenza alla continuità e alla conservazione rispetto al presunto tentativo di ricambio nella leadership palestinese. Il segnale trasmesso da questa nomina, infatti, confermerebbe una volta ancora il costante decadimento dell’Autorità Nazionale Palestinese, paralizzata dal punto di vista amministrativo e politico, inefficace nel rappresentare le istanze della popolazione sulla scena internazionale (che Hamas sembra aver monopolizzato) e testimone di una progressiva disarticolazione con la base di consenso civile insoddisfatta dall’immobilismo dei suoi vertici, ripetutamente accusati di corruzione ed eccessiva accondiscendenza rispetto alle azioni dei coloni israeliani in Cisgiordania.

Inoltre, date le incognite legate all’attuale conflitto in corso e mentre la fragile tregua sul fronte libanese potrebbe permettere all’Esercito israeliano di rifiatare senza mollare la stretta su Gaza, l’impressione è che l’inerzia dell’Autorità Nazionale Palestinese, unita al prossimo insediamento dell’Amministrazione Trump a Washington, possa inaugurare il capitolo conclusivo dell’esperienza politica dell’organo nato dopo gli Accordi di Oslo del 1994. Durante la campagna elettorale statunitense il tycoon non ha mai celato il consenso per quanto concerne l’annessione israeliana dei Territori Occupati e, presumibilmente, il progressivo declino intestino all’organizzazione palestinese, le minacce sempre più esplicite delle frange più estreme del governo Netanyahu e il via libera concesso dagli americani, potrebbero delegittimare definitivamente un’ANP sempre più in difficoltà, avallando l’annessione israeliana dei territori in Cisgiordania, dove risiede il vero nucleo di interessi e la posta in gioco fondamentale per Tel Aviv.

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