ATLAS Afghanistan: Il riconteggio conferma Ghani, ma le opposizioni rigettano il risultato

ATLAS Afghanistan: Il riconteggio conferma Ghani, ma le opposizioni rigettano il risultato

Di Veronica Conti, Emanuele Oddi e Gianmarco Scortecci
20.02.2020

Afghanistan: Il riconteggio conferma Ghani, ma le opposizioni rigettano il risultato

Martedì 18 febbraio, la Commissione Elettorale Indipendente afghana ha proclamato la vittoria del Presidente in carica Ashraf Ghani. Dopo aver condotto un delicato riconteggio, l’organo ha conferito a Ghani il 50,64% delle preferenze, contro il 39,52 registrato dal rivale Abdullah Abdullah. Tali dati (che riconfermano il primo conteggio) giungono a distanza di cinque mesi dal voto e sono particolarmente sensibili poiché il superamento del 50% consente al candidato di maggioranza di evitare il secondo turno.

Le travagliate elezioni afghane, dapprima in programma per l’aprile dello scorso anno, erano poi slittate fino a settembre nel tentativo di garantire la regolarità delle operazioni di voto. Nonostante le accortezze, le schede annullate avevano quasi raggiunto il milione e i primi risultati ufficiali erano stati resi pubblici soltanto a dicembre. Pertanto, Abdullah (che ricopriva la carica extra-costituzionale di Chief Executive, a seguito delle altrettanto contestate elezioni 2014) aveva in primo luogo chiesto il riconteggio, poi accusato la Commissione Elettorale Indipendente di corruzione.

Poco dopo la ripubblicazione dei dati avvenuta questa settimana, il gruppo di Abdullah ha nuovamente rigettato il responso, promettendo addirittura che costituirà un governo parallelo per contrapporsi all’ingiustizia subita. Dunque, la proclamazione di Ghani ha ulteriormente diviso il Paese, proprio a pochi giorni dall’annuncio della tregua fra Stati Uniti e Talebani (i quali avevano acconsentito a una riduzione delle violenze di 7 giorni che dovrebbero decorrere a partire dal 22 febbraio). Agli accordi con Washington dovrebbe poi seguire una seconda fase di negoziazioni, quella intra-afghana, fra il governo di Kabul e i Talebani. Un progetto che si complica in partenza, visto che neppure i Talebani sembrano intenzionati ad accettare l’esito elettorale. Pertanto, Ghani potrebbe aver raccolto una vittoria di Pirro: l’ostilità talebana nei suoi confronti non solo persiste, ma si somma ai possibili danni di immagine e di legittimità maturati in mesi di incertezze e acutizzati dalle critiche sulla scarsa trasparenza ricevute dalla Commissione Elettorale.

Camerun: le Forze Speciali sospettate di aver assaltato un villaggio anglofono

Il 14 febbraio, nel villaggio di Ntumbo, nella regione anglofona del Nord – Ovest, l’esercito ha attaccato un gruppo di ribelli, causando però la morte di 22 civili, tra cui 15 bambini. Tuttavia, non c’è ancora una versione univoca riguardo alle dinamiche dell’assalto, che rientra tra i numerosi episodi di violenza della guerra civile in corso dal 2016 nelle regioni anglofone del Paese.

Secondo l’esercito, durante un’operazione di pattugliamento, sei militari sarebbero stati attaccati da un gruppo armato e nello scontro a fuoco sarebbe esplosa una cisterna di carburante, causando la morte dei civili e l’incendio delle loro case. Di contro, stando alla versione dei ribelli, degli operatori umanitari delle Nazioni Unite e dei partiti d’opposizione, 40 indiividui con uniformi dell’esercito avrebbero assalito un gruppo di case, uccidendo i civili e bruciandone le abitazioni, in cui erano presenti dei bambini.

A compiere l’azione potrebbe essere stato il Battaglione d’Intervento Rapido, una forza d’élite nata per contrastare le incursioni di Boko Haram nel nord del Paese e da circa tre anni impiegata, per scelta del Presidente Paul Biya, nella guerra civile contro i gruppi armati indipendentisti anglofoni del Fronte di Difesa del Camerun Meridionale.

L’attacco di Ntumbo rispecchia la brutalità delle tattiche di guerra adottate da entrambi i fronti nell’ambito dello scontro tra governo centrale e indipendentisti, iniziato oltre tre anni fa a seguito della risposta violenta del governo alle richieste di maggiore autonomia da parte della popolazione di lingua inglese. Tale conflitto si è acuito progressivamente nel 2017, dopo la dichiarazione d’indipendenza delle regioni del Nord – Ovest e del Sud Ovest. Le posizioni intransigenti e l’assenza di dialogo tra Biya, al potere dal 1982, ed i ribelli non sembrano lasciare spazio alla risoluzione di un conflitto il cui bilancio è di 700.000 sfollati e oltre 3.000 morti.

Iraq: eletta la nuova leadership dell’Unione Patriottica del Kurdistan

Il 18 febbraio scorso, Bafel Talabani e Lahur Sheikh Jangi Talabani sono stati eletti nuovi leader dell’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) dal Consiglio direttivo generale del partito. La scelta giunge dopo più di due anni di tensioni e incertezze, emerse dopo il referendum sull’indipendenza del Kurdistan dall’Iraq (settembre 2017) e dalla contemporanea scomparsa del fondatore e capo storico dell’organizzazione, Jalal Talabani. Il vuoto lasciato da Talabani aveva accelerato improvvisamente la partita per la successione, mentre le ambiguità di molti quadri dell’UPK nel gestire la difesa di Kirkuk dalle forze di Baghdad avevano riacceso gli scontri interni.

Da questi eventi erano sorte due fazioni principali, che si sono disputate la guida del partito. La prima è costituita da Kosrat Rasul Ali, reggente dell’UPK dopo la scomparsa del leader, e da Mallah Bakhtiar. La seconda, contraria al referendum e accusata di aver causato la perdita di Kirkuk dopo un patto con Baghdad e Teheran, è rappresentata da Hero Ibrahim, vedova di Jalal, e dal figlio e dal nipote di quest’ultimo, Bafel e Lahur.

Le tensioni interne hanno fatto rimandare per anni l’appuntamento del 4° congresso dell’UPK, iniziato finalmente lo scorso 21 dicembre e chiamato a rinnovare gli organismi dirigenziali deputati ad individuare a loro volta la personalità più adatta per assumere la guida del partito. La kermesse ha quindi fissato i nuovi equilibri interni al partito, segnando una chiara vittoria per la fazione di Hero Ibrahim.

Per quanto netta, la vittoria di Bafel e Lahur non azzera le tensioni nell’UPK. Infatti, la scelta della formula della co-presidenza va letta come un tentativo di depotenziare eventuali frizioni tra i due massimi rappresentanti della nuova generazione del partito. In più, Kosrat Rasul Ali è stato sì sconfitto ma conserva un ruolo di spicco nell’organigramma dell’UPK come capo del Consiglio Politico Supremo, a cui è stato eletto lo scorso dicembre, un segnale che egli dispone ancora di un elevato livello di controllo.

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