Il ricatto sui rifugiati di Erdogan è già costato oltre 2 miliardi all’Ue: “Bruxelles sta pagando caro, ma così non risolve la crisi”
Recep Tayyip Erdogan agita di nuovo il bastone contro l’Unione europea. Ancora una volta, ricorre alla minaccia di mandare milioni di rifugiati siriani nel vecchio continente. Questa volta per impedire che i paesi europei considerino l’incursione militare turca in Siria come un’invasione. Un’arma utilizzata ciclicamente dal presidente della Turchia per fare valere le proprie ragioni e che è già costata oltre 2.3 miliardi a Bruxelles e agli stati membri. “Ed è stata solo una toppa per coprire un buco che continua ad allargarsi. Se si ragiona sul medio e lungo periodo, gli aiuti europei ad Ankara sono stati inefficaci, perché la crisi siriana è più aperta che mai”, spiega a Business Insider Italia Lorenzo Marinone, analista dell’area mediorientale per il Centro Studi Internazionali Ce.S.I.
Una toppa pagata cara, che ha lasciato nelle mani dell’esecutivo turco il potere di ricattare l’Ue e gli stati membri quando lo impongono le necessità del momento. “Erdogan ha la facoltà di aprire e chiudere il ‘rubinetto’ a seconda della convenienza politica. Ora vuole silenziare le critiche internazionali alla sua offensiva nel nord est della Siria. Ma in passato ha ventilato ciclicamente la minaccia di espellere i rifugiati siriani. Lo ha fatto quando serviva ridurre a più miti consigli l’Ue, ma anche i singoli paesi, come la Germania”, continua Marinone.
Una dinamica che potrebbe instaurarsi anche con altri stati europei: “Un esempio è il rapporto tra Marocco e Spagna: grazie ad accordi bilaterali, Madrid ha ottenuto il rafforzamento dei controlli alla frontiera marittima e nelle enclavi di Ceuta e Melilla. Ma quando Rabat deve sedersi al tavolo per discutere di nuove intese con le autorità spagnole, può ricorrere a minacce simili a quelle turche per accrescere il suo potere negoziale”, sottolinea l’analista del Ce.S.I. Che fa notare come questa dinamica sia figlia della tendenza dell’Ue a esternalizzare il controllo delle proprie frontiere, “affidando i compiti che prima erano propri, con Frontex ad esempio, a paesi esterni ai confini comunitari”.
In un discorso agli esponenti del suo partito (Akp), il leader turco ha dichiarato di essere pronto “ad aprire i cancelli e inviare 3,6 milioni di rifugiati in direzione dell’Europa”. Lo ha fatto dopo aver avviato le operazioni militari nel nord est della Siria, giustificando l’attacco alle milizie curde nella regione con la necessità di restaurare la struttura demografica regionale e rimandare i siriani a casa. Nel corso degli ultimi anni, più volte la Turchia ha fatto ricorso a questa minaccia. Anche per questo, nel 2016 Bruxelles aveva raggiunto un accordo con Ankara per affrontare insieme la crisi migratoria. In sostanza, le autorità turche accettavano di accogliere i migranti irregolari che arrivavano in Grecia e la cui domanda d’asilo veniva rifiutata. In cambio, avrebbero ricevuto aiuti finanziari pari a tre miliardi, con altri tre miliardi aggiuntivi. Il budget totale è stato così ripartito: i primi tre miliardi per il periodo 2016-2017; gli altri per il periodo 2018-2019. Per la prima tranche, l’Ue dovrebbe contribuire con un miliardo e i singoli stati membri per due miliardi. La seconda è invece suddivisa così: due miliardi dal bilancio Ue e un miliardo dagli stati comunitari. Finora sono stati spesi oltre 2,35 miliardi di euro, con oltre 80 progetti già realizzati, e 5,6 sono stati allocati.
“Se si guarda in modo miope al breve periodo, la strategia ha funzionato per ridurre il flusso di migranti che percorrevano la rotta balcanica”, fa notare l’analista, che aggiunge: “Ma se si adotta una prospettiva temporale più lunga, questa strada non ha risolto il problema umanitario causato dalla guerra civile siriana. Anzi, gli stati dell’Ue hanno adottato una politica che li espone a una serie di ricatti o alle conseguenze di fattori geopolitici non controllabili“. L’esternalizzazione delle proprie prerogative in materia di sicurezza e immigrazione infatti non riguardano solo la Turchia: “L’anno scorso ad esempio c’è stata anche la proposta di creare delle piattaforme di sbarco in accordo con i paesi del Nord Africa in cambio di aiuti finanziari per bloccare gli arrivi dal Mediterraneo”.
Le ragioni dell’incursione turca in Siria
L’offensiva militare turca si può spiegare con due diverse motivazioni. La prima di politica interna, considerando l’enorme afflusso di migranti siriani in Turchia dal 2011: “I rifugiati dovrebbero essere molto più di 3,5 milioni. Il paese si è dimostrato accogliente in una fase iniziale, ma poi la situazione è degenerata, perché mancano le strutture e il sistema di accoglienza non è ben funzionante. Ampie fasce della popolazione hanno un atteggiamento sempre più ostile nei confronti dei rifugiati. E quasi tutti i partiti, che non vogliono rischiare di perdere consenso, sono favorevoli al loro ricollocamento”, spiega Lorenzo Marinone. Che aggiunge: “C’è poi una ragione di politica estera. Più che ricostruire il nord della Siria, le autorità di Ankara sono interessate a inviare i rifugiati siriani in quei territori per fare un’operazione di ingegneria demografica: l’obiettivo è modificare la composizione demografica in quelle aree al confine tra Siria e Turchia, diluendo la presenza curda e indebolendo le loro formazioni militari, come l’Ypg. In modo da creare una zona cuscinetto utile anche per contrastare il Pkk“.
Il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker ha esortato Ankara a interrompere l’offensiva in Siria, aggiungendo che in caso contrario potrebbero essere a rischio i finanziamenti europei destinati alla Turchia. Inoltre, l’organo comunitario ha fatto sapere che la strada presa da Erdogan non favorisce l’ammissione del paese nell’Unione: “Uno stato che aspira a entrar a far parte dell’Ue (la Turchia ha inoltrato domanda diversi anni fa) deve allinearsi alla politica estera comunitaria”, ha spiegato un portavoce. “Sono oltre 20 anni che discute di ingresso della Turchia nell’Ue, ma i presupposti per l’adesione sono venuti meno, a man mano che lo stato adottava quei cambiamenti che l’allontanavano dagli standard europei”, ricorda Lorenzo Marinone, sottolineando che “Erdogan non è interessato a entrare nell’Ue, non sta facendo passi in quella direzione. Basta guardare le riforme fatte finora”. In effetti, come si legge nel rapporto sull’allargamento dell’Ue, le negoziazioni per l’eventuale ingresso hanno raggiunto un punto morto e Ankara non ha fatto nulle per affrontare i problemi che preoccupano l’Ue in tema di “diritti fondamentali, sistema giudiziario e stato di diritto“.
Fonte: Business Insider