Nawaz Sharif e le molteplici crisi del Pakistan
A sei mesi dall’elezione di Nawaz Sharif, le molteplici crisi che affliggono il Pakistan cominciano a fiaccare sia l’iniziale impeto propositivo del Primo Ministro, sia l’entusiasmo dei suoi elettori, che continuano a dover affrontare la crisi economica e l’annessa crisi energetica e l’ondata di violenza che dal nordovest coinvolge ormai le principali aree urbane del Paese.
A dodici anni dall’inizio della Guerra al Terrorismo, il Pakistan è pericolosamente vicino al collasso economico e la situazione di sicurezza, in tutto il Paese, da Karachi alle aree tribali del nordovest, dimostra ogni giorno la sua precarietà. Sharif ha ricevuto un mandato chiaro dagli elettori, disillusi dalla corruzione e all’incompetenza del governo uscente e desiderosi di vedere risollevate le sorti dell’economia.
La priorità per Sharif, in altre parole, è resuscitare l’economia e rivitalizzare le casse dello Stato, colpite da una bilancia dei pagamenti in forte passivo, da un’anemica riscossione delle imposte e dal deficit energetico, che costringe il Pakistan a blackout quotidiani di oltre 12 ore al giorno e provoca gravi danni alle industrie e all’occupazione.
Tuttavia, ogni emergenza che il Governo deve affrontare, dalla crisi economica, alla crisi energetica, alle crisi dei settori scolastico e sanitario, ha come prerequisito la stabilizzazione del Paese e la fine dell’insorgenza dei talebani pakistani del Teheriki-Taliban (TTP).
A tale scopo, Sharif ha pubblicamente sposato la via del dialogo, sottolineando l’importanza della ricerca di una strategia di ingaggio politico del TTP. Questa presa di posizione del Primo Ministro rischia di divenire un ambito di scontro con i militari, che, dal canto loro, giudicano l’approccio di Sharif alla stregua di un pericoloso appeasement. In particolare perché, negli ultimi 10 anni, i nove accordi firmati dalle autorità (sia civili che militari) con i militanti hanno legittimato questi ultimi e indebolito lo Stato. L’insorgenza lanciata dal TTP sei anni fa mira a rovesciare l’attuale sistema politico del Paese e a rimpiazzarlo con un emirato islamico governato dalla Sharia. Alla luce di questo e della campagna di violenza che ha provocato decine di migliaia di vittime fra civili e forze di sicurezza, i militari sono allarmati dall’approccio troppo accomodante di Sharif, che finirebbe per esporre la debolezza dello Stato e per capitolare come in passato dinnanzi al TTP.
Scarica l’approfondimento dell’Osservatorio di Politica Internazionale (n. 94 - marzo 2014)