L’Uganda e la ridefinizione dei rapporti di forza in Africa Orientale
Nel maggio scorso, truppe ugandesi hanno catturato nella Repubblica Centrafricana il generale Caesar Acellam, uno dei principali esponenti del Lord’s Resistance Army (LRA), gruppo di guerriglia composto principalmente da militanti di etnia Acholi che attraverso lo strumento dell’ideologia cattolica lottano per rivendicazioni di carattere etnico.
L’azione rappresenta il risultato dell’intensificazione della ricerca del leader del movimento, Joseph Kony, verso cui dal 2005 la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di arresto per gravi violazioni dei diritti umani.
Le operazioni per stanare Kony vedono impegnati 100 consiglieri militari delle Forze Speciali americane, inviati nell’ottobre del 2011, unitamente ad una forza d’intervento dell’Unione Africana; quest’ultima, istituita il 24 marzo scorso, vede la collaborazione di Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan e Repubblica Centro-africana.
Nell’ultimo anno la questione della cattura di Kony ha acquisito nuova centralità, nonostante, come affermato precedentemente, sia ricercato dal 2005 e l’LRA attraversi una fase di crisi. Ridotto a poche centinaia di militanti dislocati nei territori di Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centroafricana e Sud Sudan, l’LRA sembra aver diminuito la sua capacità di operare a livello organizzativo e non pare vi sia possibilità di una intensificazione della sua attività.
La rinnovata attenzione nei confronti della piaga dell’LRA deve quindi essere inquadrata all’interno di una visione più ampia del contesto locale.
In primis, l’intervento americano deve essere inserito in una logica di ampio raggio, quale la ricerca di maggiore presenza nel continente africano, percepito dall’amministrazione americana come uno dei fronti emergenti della lotta al terrorismo di matrice qaedista. Infatti dopo gli attentati di al–Qaeda alle ambasciate americane in Tanzania e in Kenya nel 1998, le questioni africane hanno assunto rinnovata importanza per gli interessi statunitensi. Va visto in tal senso lo sviluppo dell’Africom (Africa Command) del Dipartimento americano di difesa, formalmente attivo dall’ottobre del 2008.
In particolare l’Uganda costituisce una pedina fondamentale nell’ottica del contenimento della minaccia terroristica del gruppo al-Shabaab, essendo tra l’altro uno degli attori principali dell’AMISOM, missione dell’Unione Africana in Somalia approvata dalle Nazioni Unite. L’Uganda rappresenta il principale paese per numero di militari (5.700 unità) impegnati sin dall’inizio della missione nel 2007.
Il “fattore-Kony” costituisce inoltre un elemento funzionale al Presidente ugandese Museveni. L’intensificazione della lotta al LRA e l’obiettivo della cattura del suo leader sono aspetti che contribuiscono a giustificare all’opinione pubblica ugandese le spese militari sostenute nell’ultimo anno dal governo.
L’acquisizione di equipaggiamento militare viene presentata come necessaria per la lotta al terrorismo ed al movimento integralista cristiano. In realtà il consolidamento del potenziale militare ugandese costituisce una fonte di preoccupazione per i movimenti di opposizione politica, in relazione all’uso della forza per la repressione di manifestazioni di dissenso. A partire dal 2006 si è assistito ad una graduale discesa nell’instabilità politica e crescente tensione sociale, in concomitanza alla terza elezione di Museveni grazie ad una revisione costituzionale per aggirare il limite massimo di due mandati presidenziali. Dal 2011, anno della quarta ri-elezione di Museveni, si sono moltiplicate le manifestazioni spesso represse con l’uso della forza.
Accanto alle esigenze di mantenimento dell’ordine interno, la lotta al movimento LRA è legata anche a questioni di carattere economico. A partire dal 2006 l’Uganda, da paese con un’economia a carattere prevalentemente agricolo, ha iniziato la sua transizione a paese esportatore di petrolio. Ciò in seguito alla scoperta di giacimenti nella regione del Lago Albert ad opera della compagnia anglo-irlandese Tullow Oil. Questo elemento ha determinato una serie di dinamiche che aiutano a comprendere la reale portata dell’intervento di diversi attori nell’area.
La scoperta delle risorse nella regione ha acuito gli scontri tribali tra diversi gruppi etnici che popolano l’area, giustificando un maggiore dispiegamento del personale militare anche contro possibili infiltrazioni da parte del LRA. E’ importante sottolineare come obiettivo del governo centrale, oltre a sedare gli scontri, sia garantire sicurezza per le compagnie operanti nella regione incoraggiando maggiori investimenti stranieri per proseguire nelle attività di esplorazione.
Ultimo fattore da considerare è la presenza della Cina. Nel febbraio scorso la Tullow Oil ha completato la vendita del 66% delle sue licenze alla società francese Total e alla cinese CNOOC. Attraverso una penetrazione di tipo marcatamente economico la Cina apre un “nuovo varco” per l’ampliamento della sua sfera d’influenza nello scacchiere africano. Il rafforzamento della presenza americana nell’area non può che non essere analizzata anche alla luce di questo ulteriore elemento.
Alla luce di tutti gli aspetti emersi, l’aumento degli sforzi contro l’LRA deve essere contestualizzato nell’ampio scenario di ri-definizione dei “rapporti di forza ed influenza” all’interno del continente africano e in particolar modo dell’Africa Orientale.