L’Oman tra sviluppo, logistica e interessi geopolitici
Nel febbraio 2022, il Sultanato dell’Oman ha inaugurato il progetto del porto di Duqm, un polo logistico che si candida a rappresentare un crocevia di interessi economici e di attenzioni geopolitiche. Durante la cerimonia di apertura è stato sottolineato come la ZES (Zona Economica Speciale) di Duqm sia funzionale a raggiungere gli obiettivi posti da Oman Vision 2040 – il documento di politica programmatica che delinea i principali obiettivi da perseguire – compresa la diversificazione delle fonti di reddito e uno sviluppo volto a migliorare l’attrattività economica per investitori regionali e internazionali. A tal proposito, le istituzioni omanite hanno dichiarato che «la posizione geografica del porto dovrebbe renderlo un hub logistico al servizio delle linee marittime internazionali che attraversano Asia ed Europa».
Il porto è composto da tre ormeggi principali: quello commerciale, quello statale e quello per i materiali liquidi. La lunghezza totale del frangiflutti è di circa 9 km e la profondità del bacino portuale è di 18 metri. Il canale marittimo di ingresso è ampio 19 metri ed è per questo idoneo per ricevere e movimentare le più grandi navi portacontainer e vettori di greggio di dimensioni rilevanti. Duqm è già collegato a tutti i principali porti marittimi della regione, inclusi Salalah e Sohar in Oman e Jebel Ali e Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti, tramite un servizio di alimentazione multi-uso (Oman Express Service) gestito dalla Oman Shipping Company. Questo servizio settimanale consente alle industrie della più ampia area di Duqm di importare ed esportare container regolarmente. Altri porti regionali coperti dal servizio feeder sono Hamad (Qatar), Kuwait, Bahrain, Umm Qasr (Iraq) e Sharjah. Inoltre, le principali compagnie di navigazione, come Maersk, MSC, CMA CGM, Hapag Llyod, COSCO e HMM hanno iniziato a servire Duqm come destinazione finale, utilizzando il servizio espresso di Oman Shipping a livello regionale e globale. Duqm rappresenta, in questo senso, un tassello intermedio di un percorso di lungo periodo che ha visto le autorità omanite muoversi per tempo per configurare la propria strategia marittima nazionale, anche per evitare di rimanere troppo indietro rispetto altri competitor regionali del calibro degli EAU. I piani per un sistema comunitario portuale nazionale sono stati proposti per la prima volta, nel 2017, all’interno del “Tanfeedh”, il programma nazionale per il miglioramento della diversificazione economica, come parte di oltre cento iniziative quick win, finalizzate a stimolare investimenti non petroliferi nel Sultanato. Basato sul concetto di “finestra singola” – uno standard di facilitazione commerciale che consente di gestire gli utenti attraverso un unico snodo –, il Ports Community Sistem (PCS) ottimizza, gestisce e automatizza i processi portuali e logistici, la creazione di una piattaforma standardizzata che unisce tutte le catene di trasporto. Le parti coinvolte del settore pubblico includono Asyad Group, il fiore all’occhiello dei trasporti e della logistica omanita, nonché i tre principali porti di Salalah, Sohar e Duqm, oltre all’Aviation Group, la Direzione Generale delle Dogane e il Ministero della Pesca e dell’Agricoltura.
Nei progetti infrastrutturali omaniti un ruolo centrale lo ha giocato anche la Cina, desiderosa di ampliare il numero di investimenti e di relazioni con Paesi partner in chiave Belt and Road Initiative (BRI). L’Oman, in quanto membro dell’unione doganale del Gulf Cooperation Council (GCC), offre un mercato di accesso interessante per lo sviluppo di una cooperazione economica, commerciale e infrastrutturale rafforzata tra Oman e Cina. Il Sultanato, infatti, è il quarto fornitore di petrolio di Pechino ed è stato il primo Paese della sub-regione a firmare, nel gennaio 2017, un accordo con l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) per la fornitura di un prestito da 265 milioni di dollari per la costruzione di infrastrutture sul suo territorio. Nel dicembre dello stesso anno è arrivato un nuovo prestito cinese da 239 milioni di dollari per la creazione della rete nazionale a banda larga. Inoltre, il porto di Salalah ha garantito supporto logistico alla flotta cinese, impegnata dal 2008 in missioni anti-pirateria nel Golfo di Aden. In questo scenario, l’Oman e i suoi snodi cruciali rappresentano dei tasselli geopolitici e strategici molto importanti per Pechino. In particolare, per la sua posizione geografica, la quale permette alla Cina di avere una proiezione di influenza su Hormuz e su Bab el-Mandeb, due tra i principali chokepoint internazionali, i quali movimentano rispettivamente (circa) 30,2 e 44 milioni di TEU del commercio globale. Per Hormuz passa il 30% dei prodotti petroliferi mondiali, mentre per Suez – e quindi per Bab el-Mandeb – il 12% dei traffici marittimi globali. La sua funzione è, quindi, molto integrata all’interno del sistema commerciale cinese relativo al BRI, in cui il Dragone sta investendo ingenti cifre per l’implementazione di tutta l’area retrostante il porto di Duqm.
Inoltre, nel maggio 2022, il Ministro della Difesa cinese, il Generale Wei Fenghe, ha effettuato una visita ufficiale in Oman, incontrando i vertici di Mascate. Le parti si sono impegnate a rafforzare la loro collaborazione strategica in materia di rapporti economici, investimenti e mercati energetici. Nello specifico, i due Paesi hanno attuato un joint agreement per la rinuncia reciproca dei visti di ingresso per i rispettivi cittadini, mentre il consorzio cinese Oman Wanfang ha investito circa 11 miliardi di dollari nel China-Oman Industrial Park, al fine di rendere Duqm un competitivo hub regionale. I rapporti provenienti dall’Oman indicano che il Ministro cinese ha visitato diversi siti militari, comprese le basi militari terrestri e navali, nonché strutture ancora in fase di costruzione.
Al contempo, le due parti hanno finalizzato la bozza di un memorandum d’intesa militare (MoU); esso era in preparazione da alcuni mesi, alla luce dei piani del Sultano Haitham bin Tariq di espandere le relazioni di difesa con la Cina. Il memorandum si concentra sulla cooperazione nei sistemi di difesa aerea a corto e medio raggio, sui sistemi di disturbo, sui radar, sullo scambio di competenze e sul trasferimento e localizzazione di alcuni prodotti militari cinesi.
Il peso commerciale e logistico di alcuni poli è infinitamente cresciuto negli ultimi due decenni. Ciò implica, come successo per Gibuti, che Paesi prima considerati meno rilevanti in termini logistici e di operabilità, siano diventati dei veri e propri attrattori di investimenti. In quest’ottica, la Cina cerca di proiettare in Oman la propria presenza, fisica ed economica, al fine di partecipare attivamente ad un macro-processo interno di crescita e sviluppo nel lungo termine. La Cina rappresenta per l’Oman un catalizzatore per la diversificazione economica e per la propria rete infrastrutturale. D’altra parte, il gigante asiatico è ben disposto a stanziare fondi in un Paese che le garantirebbe il monitoraggio di una regione (marittima) non trascurabile per Pechino. Nell’ultimo lustro, quindi con Tanfeedh prima e con Oman Vision 2040 poi, periodo in cui l’Oman si avviava a trasformazioni su larga scala e a nuove partnership (non solo) economiche volte a diversificare gli introiti nazionali, anche gli Stati Uniti compresero l’emergente importanza di assicurare i propri interessi nel Sultanato in particolar modo. Nel marzo 2019, infatti, Washington e Muscat hanno siglato un accordo che garantisce alla US Navy l’accesso a Duqm e Salalah.
Questi due porti, come riportato anche da American Security Project, hanno delle funzionalità ben definite. Duqm è la base più recente, utilizzata per ospitare navi di “friendly nations” per riparo e manutenzione, con una neo-implementata capacità di accogliere anche le portaerei e i sottomarini statunitensi. Salalah è il più grande porto omanita, dove la Defense Logistics Agency gestisce un centro di lavorazione di materiali. Questa struttura fornisce stoccaggio, transhipment, depositi di breve termine e mansioni di consegna per “US customers”. Considerata la data dell’avvio di questa collaborazione logistica tra Oman e USA, è opportuno valutare quanto l’attivismo cinese abbia costretto Washington a destinare parte delle proprie risorse in un’area che, ultimamente, si associa erroneamente al disimpegno americano. Seppur l’influenza politico-militare sia molto meno presente che in passato, gli Stati Uniti rimangono il principale fornitore di armi degli Stati arabi del Golfo, coprendo il 79% delle importazioni dell’Arabia Saudita, il 64% degli EAU, il 47% del Qatar e il 14% dell’Oman.
Come deducibile da questo ultimo dato, il Sultanato non figura tra i principali partner statunitensi in materia di Difesa, né gli Stati Uniti attuano una politica di garanzia securitaria nei confronti del Paese. Alla luce delle recenti dinamiche, però, da parte di Washington è opportuno tentare di ricomprendere il ruolo di Mascate all’interno di un “ombrello” securitario regionale, al fine di inserire un Paese diplomaticamente prezioso come partecipante attivo alla stabilità regionale. Ad oggi, la politica estera statunitense nei confronti del Medio Oriente si delinea verso una strategia di engagement, in cui i Paesi partner ritenuti più affidabili da Washington contribuiscono nettamente a dialoghi diplomatici ed esercitazioni militari nell’area. L’Oman viene ricompreso proprio all’interno di questa strategia, ritenendolo affidabile in virtù della capacità di relationship building e di persuasione, anche in ottica Yemen e Iran.
Tuttavia, la scacchiera geopolitica e marittima che rappresenta l’Oman non si limita al protagonismo di USA e Cina, ma coinvolge anche Inghilterra e India. Come annunciato nel settembre 2020, Londra ha investito circa 24 milioni di sterline per espandere la base logistica di Duqm, potenziando le capacità di rischieramento nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano. In quel periodo, l’infrastruttura venne innovata con l’obiettivo di supportare l’operazione “Saif Sareea 3”, che coinvolse le Forze Armate britanniche e omanite, continuando la tradizione che ebbe inizio nel 1986. Analogamente a Washington, anche Londra ha mirato a potervi dislocare un gruppo navale incentrato su portaerei, con capacità di stoccaggio armi, mezzi e truppe. Come si può notare, tuttavia, l’Inghilterra rispetto agli Stati Uniti, tende a proiettare più hard power. Questo sia per via degli storici legami tra la Royal Air Force e le Forze Armate omanite, sia in virtù del Joint Defence Agreement che sancisce l’impegno britannico per la sicurezza della regione. Londra copre il 47% delle importazioni di armi dell’Oman, una percentuale che conferma quanto citato e che la attesta come principale partner militare.
Anche New Delhi, nel febbraio 2018, ha siglato un accordo per l’accesso al porto di Duqm. Grazie a tale accordo, la Marina indiana può utilizzarlo per la logistica e per il supporto a operazioni di lungo termine. Il patto per i trasporti marittimi, firmato nel 2019 da India e Oman, ha intensificato l’ambizione dell’India di rafforzare il suo peso regionale e di concentrarsi più da vicino sugli aspetti della sicurezza bilaterale e regionale. Negli ultimi due anni, c’è stato un aumento delle attività e del traffico indiano a Duqm. Nel 2019 si sono svolte anche esercitazioni militari e nel porto erano di stanza anche vari sottomarini e navi da guerra. Ci sono stati anche schieramenti navali prolungati per migliorare la sorveglianza e la cooperazione anche nel porto. L’obiettivo principale dell’India è il contenimento della Cina, in un contesto strategico che si concretizza in tutti i principali hub marittimi dell’Oceano Indiano. Il Paese guidato da Narendra Modi, infatti, nell’ultimo decennio ha svoltato verso una politica estera a vocazione oceanica, modificando le gerarchie regionali dell’area.
La coesistenza di più attori importanti all’interno di un’area circoscritta è interessante dal punto di vista geopolitico. Questo è fattibile per la peculiarità dell’Oman nella gestione della propria politica estera. Il Sultanato vanta un buon grado di politica interna, un’alterità rispetto sia allo scontro ideologico tra sciiti e sunniti, sia alle complicate dinamiche regionali. Inoltre, vanta un ruolo di storico mediatore diplomatico, con una posizione internazionale fondata sulla neutralità e sull’equidistanza.
La diplomazia omanita è il principale asset del Paese: l’omanibalancing – come lo ha definito lo studioso O’Really – è stato riadattato nel concetto di “omnibalacing”, ovvero la capacità di bilanciare minacce interne ed esterne. Il quadro fa emergere come l’Oman abbia necessità di coinvolgere investitori stranieri per poter raggiungere gli obiettivi politici ed economici programmati. Allo stesso tempo, tuttavia, è un Paese che sta perseguendo i propri interessi interni diversificando i Paesi finanziatori e celando una consapevolezza di dover equilibrare il tutto.
A tal proposito, l’altro fattore incentivante deriva proprio da linee guida economiche legate a decisioni di politica interna. Il Ministro del Commercio omanita, Qais bin Muhammad al-Yousef, è recentemente intervenuto al Consiglio della Shura per discutere di temi come la visione del Dicastero per il futuro dell’industria nazionale, la valutazione dei risultati delle applicazioni dell’accordo di libero scambio, le politiche, i programmi e la legislazione per proteggere la concorrenza, prevenire il monopolio e la strategia di sviluppo delle esportazioni. In tale occasione egli ha dichiarato: «Sono stati adottati numerosi incentivi volti ad attrarre investimenti esteri e migliorare i livelli operativi, come consentire l’esercizio di attività imprenditoriali e commerciali e di investimento attraverso l’ottenimento della licenza iniziale, trattare le società di investimento estere come società nazionali, concedere la residenza a investitori e altri incentivi».
Tali scelte passano per cambiamenti mirati, come nel caso della fiscalità agevolata. La normativa fiscale sulle società è particolarmente vantaggiosa, in quanto si contribuisce per il 12% sugli utili eccedenti i (circa) 60.000 euro l’anno. Dal 2020 un investitore straniero può possedere il 100% del progetto di investimento e non è obbligato a versare un limite minimo di capitale per il progetto. L’IVA del 5% è stata introdotta il 16 aprile 2021, allineandosi all’Accordo Unificato sull’IVA concluso in ambito GCC. Questo breve spaccato fiscale interno evidenzia come l’Oman voglia inserirsi in mercati regionali più ampi, in cui le regole economiche sono tendenzialmente generali e condivise, al fine di far crescere costantemente il volume degli scambi.
Va aggiunto che, nell’ottobre 2020, il sultanato ha introdotto il Medium-Term Fiscal Balance Plan 2020-2024 – un piano fiscale a scadenza – volto a sostenere la crescita economica ai tempi della diversificazione, portando il deficit sotto il 2% del Pil entro il 2024 (il bilancio 2021 prevede invece un deficit pari all’8% del PIL). Pertanto, il Piano quinquennale 2021-2025 intende riportare il PIL a una crescita del 3,5% annuo, generando 35.000 posti di lavoro in più.
L’Oman si avvia, con una decisa volontà politica, ad un percorso di crescita e di sviluppo che molto probabilmente lo porterà ad acquisire una maggiore rilevanza sotto più aspetti nei prossimi decenni. Non a caso, la programmazione omanita passa per la custodia e la pubblicizzazione del proprio patrimonio, la capacità di ammodernamento e di miglioramento di tutto il suo apparto infrastrutturale, al fine di plasmare una economia nazionale resiliente ai cambiamenti e aperta alla diversificazione degli introiti statali tanto ricercata.
Indubbiamente, parte della riuscita degli obiettivi contenuti in Oman Vision 2040 risponderà alla capacità del Sultanato di inserirsi ed integrarsi in un mercato sempre più internazionalizzato e dinamico, in un contesto in cui la dimensione marittima e logistica rappresenteranno una opportunità unica. L’Oman cerca la partecipazione di più attori esteri tutelando però la crescita occupazionale dei cittadini locali e la conservazione della proprietà governativa di infrastrutture ritenute cruciali. Per tali motivi, è inquadrabile come un Paese che necessita di IDE (investimenti diretti estero) ma che non ambisce a forme di ingerenza che possano interferire con gli obiettivi nazionali. Allo stesso tempo, mantenere equidistanza nel contesto politico internazionale è l’obiettivo primario omanita, il quale garantisce al Paese la credibilità e la sostenibilità politica di cui ha bisogno.