La Francia non riduce i propri militari nel Sahel
Lo scorso 16 febbraio a N’Djamena, in Ciad, si è concluso l’ultimo vertice tra i Capi di Stato del G5 Sahel, a cui ha partecipato in videoconferenza anche il Presidente francese, Emmanuel Macron. Tale appuntamento diplomatico cerca di fare periodicamente il punto della situazione sull’evoluzione dell’instabilità nel Sahel, la vasta regione che si estende dalla Mauritana al Ciad, passando per Mali, Burkina Faso e Niger. Nonostante gran parte dei commentatori internazionali attendesse l’annuncio, da parte di Parigi, di una progressiva diminuzione del numero di militari impegnati nella Missione Barkhane, Macron ha ribadito l’impegno del proprio Paese nell’area, affermando che il dispositivo militare non sarà soggetto a riduzioni di personale nel breve periodo. Il Presidente ha poi sottolineato come l’obiettivo primario, da parte francese, rimane quello di “decapitare” i principali gruppi terroristici ed insorgenti che hanno fatto del Sahel la propria roccaforte.
La Francia è presente sul territorio dal 2013, prima con la missione Serval, successivamente ristrutturata e rinominata Missione Barkhane. Quest’ultima è, ad oggi, la più grande operazione militare di un Paese europeo sul suolo africano. Parigi rischiera attualmente circa 5100 uomini, 7 caccia, 20 elicotteri, 8 aerei, 3 droni, 280 mezzi blindati pesanti e 220 blindati leggeri, nonché più 400 veicoli logistici. La missione ha come obiettivo primario quello di stabilizzare l’area, eradicando la minaccia jihadista. A tale fine, le truppe francesi, oltre alle tradizionali operazioni di contro-terrorismo, sono impegnate nel fornire training, mentoring, supporto logistico ed intelligence alle Forze Armate di Mali, Burkina Faso, Ciad, Niger e Mauritania. Questi cinque Paesi, a loro volta, hanno dato vita all’organizzazione G5 Sahel quale strumento di cooperazione intergovernativa per elaborare una politica di sicurezza comune, alla luce della natura intrinsecamente transnazionale della minaccia terroristica.
Nonostante la presenza francese nel Sahel si sia significativamente consolidata e ampliata negli ultimi anni, la dichiarazione di Macron ha destato una certa sorpresa all’interno del dibattito pubblico francese e internazionale. Recentemente, infatti, l’Eliseo aveva annunciato il ritiro di 600 uomini, facenti parte di un’unità di supporto inclusa in Barkhane circa un anno fa, facendo presagire la volontà di operare una lenta ma graduale rimodulazione del contingente. D’altro canto, anche l’opinione pubblica francese ha iniziato ad assumere posizioni piuttosto critiche nei confronti della missione. Nonostante Barkhane abbia riportato negli anni notevoli successi, non ultimo l’uccisione di Abdelmalek Droukdel, leader di AQMI (al-Qaeda nel Maghreb Islamico), la Francia ha pagato un prezzo molto alto, con numerosi incidenti e ben 55 vittime tra i militari. Ad alimentare i dubbi sull’efficacia della missione si sono aggiunti nel tempo anche numerosi esponenti del mondo politico ed intellettuale francese, i quali ritengono che l’approccio di Parigi alla crisi saheliana sia fondamentalmente miope, in quanto limitato alla sola sfera militare.
All’intransigenza francese nei cofronti del radicalismo islamico e dell’insorgenza saheliana, ben ribadita da Macron durante anche quest’ultimo summit, fa da contraltare l’approccio degli Stati del G5 Sahel e delle Nazioni Unite, decisamente più possibilisti e convinti che intevolare una trattativa negoziale con i principali gruppi insorgenti che controllano vaste aree della regione sia l’unica strada perseguibile per dare vita ad un vero processo di state-building, nonché ad una drastica riduzione delle violenze.
Il rafforzamento dell’impegno militare francese nel Sahel, anche in riferimento alla Task Force Takuba, va letto alla luce di due elementi chiave. Da un lato, nonostante l’efficace azione militare francese, una serie di fattori endogeni ed esogeni renderanno il Sahel nei prossimi anni uno dei principali hotspot per le attività illecite, di insorgenza e terrorismo. Dall’altro, gli interessi francesi nella regione sono profondi e devono essere adeguatamente difesi. Ciad, Mali, Niger e Burkina Faso sono territori ricchi di materie prime, non ultimi uranio, cobalto e terre rare. Una presenza militare strutturata, efficace e ben radicata può servire a Parigi per incrementare il proprio peso strategico all’interno delle dinamiche nazionali e regionali nel medio-lungo periodo.