Il nuovo accordo migratorio dell’UE: quali novità per l’Italia
L’8 giugno, il Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’UE, riunito a Lussemburgo, ha raggiunto un accordo per la parziale modifica del Patto UE su Migrazione e Asilo, al fine di superare tensioni tra gli Stati membri che ne avevano rallentato il suo corretto funzionamento. Per entrare in vigore ufficialmente, il nuovo accordo, dopo aver ottenuto l’approvazione a maggioranza qualificata del Consiglio, dovrà ottenere anche il via libera del Parlamento Europeo.
Il nuovo accordo introduce delle importanti novità riguardo alle procedure per la richiesta di asilo, con l’inserimento di un processo di valutazione delle domande direttamente alle frontiere esterne dell’UE. Dunque, i migranti soggetti alla procedura di asilo non sono autorizzati ad entrare nel territorio dello Stato membro fino a che la loro richiesta non venga valutata. Successivamente, se la domanda d’asilo risulta infondata o inammissibile, gli Stati di primo approdo dovranno gestire il rimpatrio del migrante entro sei mesi. Le procedure si applicano a tutti quei migranti che sono entrati in maniera illegale nell’UE oppure la cui nazionalità ha un tasso di riconoscimento dell’asilo inferiore al 20%. Inoltre, il nuovo accordo comporta la possibilità di completare le procedure di rimpatrio, rese più complicate dai costi e dalla necessità di accordi bilaterali, non solo verso gli Stati d’origine ma anche verso quelli di transito, dopo aver dimostrato una qualsiasi connessione fra il migrante e lo Stato in questione. Questa possibilità concede grande flessibilità agli Stati, come l’Italia, che avranno modo di definire liberamente i Paesi “sicuri” verso cui rimpatriare i migranti.
Parallelamente, uno degli argomenti più discussi dagli Stati membri è stata la questione riguardante i movimenti secondari, ovvero gli spostamenti irregolari effettuati dai richiedenti asilo che, dopo essere entrati in un Paese dell’UE, cercano protezione altrove. Secondo la Francia, gli Stati di primo approdo, come Italia e Grecia, hanno più volte violato il regolamento di Dublino non registrando le domande d’asilo e lasciando spostare i migranti verso altre destinazioni. L’accordo ha ribadito, dunque, la responsabilità dei Paesi di primo approdo riguardo i movimenti secondari, essendo stata garantita l’estensione da 12 ai 24 mesi della responsabilità sui migranti. Tuttavia, l’Italia sembra aver ottenuto l’esenzione dalla responsabilità riguardante i migranti che entrano in Italia illegalmente via mare.
Inoltre, è stato creato un meccanismo di “solidarietà obbligatoria”, al fine di bilanciare l’attuale sistema in cui solo alcuni Stati membri sono responsabili della maggioranza delle domande di asilo. Dunque, è stato proposto una nuova procedura che combina solidarietà obbligatoria e flessibilità per gli Stati membri per quanto riguarda le loro attività in merito alla gestione del fenomeno migratorio. Questa comprende la ricollocazione dei richiedenti asilo, l’elargizione di contributi finanziari, l’impiego di personale o misure incentrate sullo sviluppo di capacità. Gli Stati membri hanno piena discrezionalità in merito al tipo di solidarietà che apportano. Tuttavia, ogni Stato membro avrà l’onere di accogliere un numero minimo di 30.000 migranti l’anno e qualora, non volesse oppure non fosse in grado di accoglierli, dovrà pagare 20.000 euro per ogni migrante non accolto. Successivamente, su richiesta dell’Italia, queste quote saranno destinate ad un Fondo, gestito da Bruxelles, che si occuperà di operazioni alle frontiere esterne, sebbene queste non siano ancora state definite in maniera chiara.
L’intesa sull’accordo non ha ottenuto l’approvazione di tutti gli Stati dell’UE. Difatti, Bulgaria, Malta, Lituania e Slovacchia hanno deciso di astenersi, mentre la Polonia e l’Ungheria, da sempre contrarie al sistema di ricollocazione obbligatoria per cui l’Italia si batte da anni, hanno votato contro la proposta. Nello specifico, Varsavia lamenta di essersi già impegnata sufficientemente nell’accoglienza di quasi un milione di rifugiati ucraini, per cui afferma di ricevere 200 euro dai fondi europei per ogni rifugiato. Per tale motivo, non intende pagare la sanzione di 20.000 euro per ogni migrante non accolto ed ha altresì proposto di sottoporre a referendum popolare l’accordo raggiunto a Lussemburgo. Il viceministro degli interni dell’Ungheria, invece, ha sostenuto che questo nuovo accordo imporrà un “onere sproporzionato” sul suo Paese, criticando Bruxelles per un presunto abuso di potere.
In tale contesto, l’UE pertanto è consapevole delle difficoltà interne tra gli Stati membri per il funzionamento di un accordo comune europeo e dunque ha cercato parallelamente di porre in essere un’esternalizzazione delle frontiere, affidando la responsabilità della gestione dei flussi migratori anche ai Paesi terzi che, in cambio di denaro, dovrebbero dare sostegno per bloccare le partenze e favorire i rimpatri.
Questo è il caso della Tunisia e della Libia. Nel 2022, dei circa 180.000 migranti irregolari sbarcati in Europa, oltre 100.00 persone sono arrivate dal Mediterraneo centrale, partendo principalmente da questi due Paesi. Dunque, prima l’Italia, poi l’UE, hanno avuto la necessità di di rafforzare i legami con essi per mitigare il possibile aggravamento della crisi migratoria. Il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, prima sola e poi con la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen ed il Primo Ministro olandese Mark Rutte, ha incontrato a Tunisi il Presidente Kaïs Saïed. Durante questo incontro dell’11 giugno scorso, l’UE ha confermato la disponibilità a stanziare immediatamente 150 milioni di euro di aiuti alla Tunisia, senza alcun tipo di condizionalità, con un’ulteriore promessa di 900 milioni di euro, legati all’attuazione delle riforme richieste dal FMI.
Questo approccio era già stato adottato in passato con la Turchia che, in seguito alla crisi umanitaria scatenata dalla guerra in Siria, ricevette 6 miliardi di euro per fermare la migrazione irregolare verso l’Europa. Lo stesso piano è stato adottato lo scorso ottobre, quando, in virtù del raddoppio del numero dei migranti provenienti dalla rotta del Mediterraneo orientale (43.906 del 2022 rispetto ai 20.567 del 2021), l’UE ha siglato un accordo con l’Egitto di 80 milioni di euro con l’obiettivo di sostenere le guardie costiere e di frontiera egiziane per contrastare la migrazione irregolare.
Tuttavia, l’Italia e l’UE devono affrontare due ordini di problemi con la Tunisia. Il primo è dato dall’instabilità politica ed economica del Paese, che versa in gravissime condizioni: inflazione oltre il 10%, disoccupazione giovanile al 37%, standard democratici bassissimi. Il secondo problema è dato dall’intransigenza di Kaïs Saïed che, non solo rifiuta le condizioni del FMI che gli permetterebbero di attenuare momentaneamente la crisi economica tunisina, ma, conscio dei problemi interni del Paese, ha già messo in chiaro che non ricoprirà il ruolo di “guardiano” dei flussi migratori.
Allo stesso tempo, il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha incontrato il 7 giugno a Roma il Primo Ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdulhameed Mohamed Dabaiba, per discutere dell’intensificazione degli sforzi in materia di contrasto al traffico di esseri umani e dell’impegno, a supporto delle autorità libiche, nella gestione dei flussi migratori. Tuttavia, rimane difficile stabilire con certezza le concrete possibilità della Libia di contenere il flusso migratorio, soprattutto se si considerano le difficoltà della transizione politica in corso nel Paese e l’estrema volatilità dello scenario securitario, frastagliato e dominato dalle milizie tribali.
Questo attivismo del governo italiano sia verso l’Unione Europea che verso i Paesi del Nord Africa si spiega anche nelle maggiori responsabilità a cui l’Italia dovrà ottemperare, in seguito all’accordo siglato presso il Consiglio dell’UE. Come detto, gli Stati di primo approdo avranno maggiori oneri in quanto è stata aumentata la durata della responsabilità del migrante (da 12 a 24 mesi). Ne deriva che l’aumento del flusso migratorio si potrebbe tradurre in un incremento delle richieste d’asilo ed in una crescente concentrazione dei migranti presso i centri di prima accoglienza, andando a complicare ulteriormente la gestione dei flussi qualora non si riuscisse a realizzare il rimpatrio verso Paesi terzi.