Il domani della NATO: l’Alleanza tra cambiamento climatico e tecnologia
Questo e’ il terzo elaborato selezionato come vincitore all’interno del concorso ImmagiNATO, indetto dal CeSI in collaborazione con la NATO Public Diplomacy Division. Il concorso raccoglie contributi di pensiero da parte di giovani studenti italiani sul futuro della NATO.
Il contesto internazionale in cui il progetto NATO si è sviluppato è cambiato radicalmente. Non solo le minacce da cui bisognava proteggersi si sono dissolute nel corso del tempo, ma, addirittura, lo stesso concetto di minaccia è cambiato. Oggi la possibilità di un attacco armato su larga scala sembra sempre meno probabile e si è passati da una tipologia di minaccia visibile a un tipo di minaccia non più visibile, che prescinde dalla dimensione militare. La NATO per continuare a compiere la missione per cui è stata creata deve pertanto adattarsi alle nuove sfide che le si presentano. Ma il cambiamento può risultare difficile quando non vi è una comune percezione delle minacce più impellenti tra gli stessi membri dell’organizzazione. A mio avviso, le minacce a cui la NATO dovrebbe provare a rispondere in maniera compatta e corale sono il cambiamento climatico e le sfide tecnologiche.
Il primo aspetto è forse quello a cui la NATO deve cercare di rispondere più prontamente. Il cambiamento climatico, infatti, come anche sottolineato dal Segretario Generale Jens Stoltenberg, si differenzia dal classico concetto di “minaccia”, in quanto rappresenta un processo ormai in atto, su cui non si può più agire in maniera preventiva. Richiede pertanto uno sforzo maggiore dovuto al costante e irreversibile aggravarsi della situazione. Questo fenomeno produce insicurezza e instabilità nel sistema internazionale, poiché è la principale causa di disastri ambientali, e mette in competizione le nazioni per l’accesso a nuove risorse naturali, sempre più scarse. I cambiamenti climatici inoltre rendono più complessi gli interventi delle forze armate in situazioni di emergenza.
La NATO ha sempre riconosciuto la centralità del cambiamento climatico e gli effetti negativi che il mancato rispetto della salvaguardia ambientale hanno sulla sicurezza delle nazioni. È per questa ragione che, a partire dagli anni ’70, l’Organizzazione ha avviato una serie di accordi sul rispetto di linee guida e standard a cui i paesi membri devono attenersi per il rispetto dell’ambiente. Inoltre, ha instituito due gruppi specializzati per garantire la tutela dell’ecosistema: l’Enviromental Protection working group (EPWG) e lo Specialist Team on Energy Efficiency and Enviromental Protection (STEEP). Altro strumento che da sempre viene usato dalla NATO per migliorare l’impatto ambientale degli interventi militari, e allo stesso tempo migliorarne l’efficienza in condizioni climatiche sempre più avverse, è l’utilizzo degli STANGA, conosciuti anche come Standardization Agreement. In questi documenti sono contenuti gli standard a cui gli stati membri acconsentono ad omologarsi per creare maggior cooperazione e coordinazione nelle pratiche militari.
Sebbene il sistema già implementato dalla NATO risulti essere abbastanza completo, molto altro può essere fatto. Sicuramente, due dei pilastri su cui si fonda il meccanismo di tutela ambientale NATO sono la ricerca scientifica e la collaborazione internazionale. Queste andrebbero intensificate, ad esempio attraverso la creazione di progetti transnazionali, atti a coinvolgere poli di ricerca e industrie di più Paesi membri, permettendo l’invenzione di nuovi materiali o forme di alimentazione alternative da usare in campo militare. Solo attraverso l’innovazione scientifica, infatti, si può arrivare alla scoperta di soluzioni più efficienti, meno costose e, pertanto, oggettivamente vantaggiose agli occhi degli Stati membri e che, allo stesso tempo, siano compatibili con il rispetto e la tutela dell’ambiente e facilitino le forze armate a lavorare in situazioni climatiche più ostiche. La NATO Science and Technology Organization (STO) potrebbe pertanto essere un nuovo centro di raccordo e dare vita a progetti di ricerca transnazionali per creare una green defence.
Inoltre, la ricerca scientifica su forme di alimentazione energetica alternativa e la scoperta di nuovi materiali non solo abbatterebbe l’impatto ambientale dell’industria militare e delle stesse operazioni, ma potrebbe avere effetti positivi su altri due problemi di sicurezza della NATO. In particolare, potrebbe scoraggiare la corsa all’Artico per l’accesso a nuove risorse, nonchè risolvere l’annoso problema della dipendenza da Paesi esteri in materia di forniture energetiche per molti Paesi alleati. L’impossibilità e l’incapacità delle forze armate di intervenire e far fronte alle nuove emergenze ambientali è un altro tema di rilievo all’interno del dossier climate change. Per fronteggiare questo problema, la NATO potrebbe instituire uno specifico Advisory Council che imponga degli standard nelle prestazioni e nelle procedure di intervento. Agli standard, dovrebbero essere accompagnate esercitazioni e addestramenti che aiutino gli stati a renderli operativi e a creare procedure operative compatibili tra loro.
Il secondo tema su cui la NATO dovrebbe concentrare sempre più la propria attenzione riguarda la cybersecurity. Oggigiorno tutto ruota intorno alla tecnologia: transazioni economiche, informazioni strategiche e dati personali viaggiano in rete. È per questo che il cyber spazio rischia di diventare il luogo dei principali attacchi futuri alla sicurezza nazionale e collettiva, ed è allo stesso modo la ragione per cui, a partire dal 2016, la NATO ha riconosciuto l’importanza di istituire un piano di difesa nel cyberspazio, equiparando eventuali attacchi in quest’area ad attacchi aerei o terrestri. Nonostante se ne riconosca l’importanza, a differenza del cambiamento climatico, poco è stato fatto. Il grande problema della cybersecurity non è solo l’astrattezza e l’invisibilità della minaccia, ma anche la differenziazione tra gli stati membri al livello di strutture e avanzamento tecnologico. La mancanza di omogeneità fra gli stati membri dipende anche dal fatto che le uniche aziende in grado al momento di costruire infrastrutture digitali per l’implementazione del 5G, ad esempio, sono spesso aziende esterne all’Alleanza. Questo pone certamente un problema strutturale di sicurezza dei dati.
A mio avviso, il grande passo in avanti che può compiere la NATO per la realizzazione di una difesa collettiva nel cyberspazio è la creazione di organismi interni all’organizzazione che si occupino di stabilire protocolli e standard che ogni paese deve rispettare, creando, ad esempio, un protocollo comune per l’implementazione del 5G, tanto per l’ambito militare quanto per l’ambito civile. Il fatto che questo non sia discusso al livello sovranazionale rischia di causare in futuro alcuni problemi legati alla mancata omogeneità dei sistemi. Alcune nazioni potrebbero arrivare ad avere accesso a nuove tecnologie prima di altre, altri Stati potrebbero far viaggiare le proprie informazioni strategiche su linee non sicure, mettendo così a repentaglio l’intera sicurezza della NATO. L’organizzazione pertanto dovrebbe favorire l’adozione su larga scala dello stesso livello di tecnologia. La NATO potrebbe anche creare una squadra di esperti a completa disposizione degli Stati membri in caso di attacchi o presunte minacce.
Il grande problema legato a queste due sfide, però, rimane il consenso dei Paesi membri. Alcuni di questi, infatti, sono più riluttanti a riconoscere il cambiamento climatico e i cyberattack come prioritari per la sicurezza. Per far fronte a questo problema, la NATO potrebbe mettere in atto una strategia mai presa prima, ovvero parlare direttamente ai cittadini dei suoi Stati membri, facendo leva sulla categoria più preoccupata dal cambiamento climatico: i giovani. Questo sarebbe un progetto a lungo termine i cui frutti potrebbero essere raccolti negli anni. Il dialogo con i giovani potrebbe avvenire tramite un uso più attivo dei social media o anche attraverso simulazioni della NATO aperte a liceali e studenti universitari. In conclusione, per rispondere in maniera efficace a quelle che saranno le principali sfide del futuro, la NATO dovrebbe investire sulla ricerca scientifica, sulla sensibilizzazione dei giovani e sul creare una cooperazione sempre più stretta tra i paesi membri mirando a un progressivo allineamento dei meccanismi di difesa dei singoli stati membri.
FLAVIA TROISI
Flavia Troisi è una studentessa di 22 anni, attualmente frequentante il primo anno del corso di Laurea Magistrale in International Relations presso l’università Luiss Guido Carli di Roma. Durante i suoi studi ha svolto periodi di scambio o di ricerca in Canada, Argentina, Israele e nei Territori Palestinesi. I suoi interessi si concentrano sullo studio dei conflitti e dei loro effetti sulle popolazioni locali.