Guinea: l’instabilità politica e le possibili implicazioni a livello regionale ed internazionale
Il 28 settembre scorso si sono svolte in Guinea le consultazioni elettorali per scegliere i 114 nuovi componenti dell’assemblea parlamentare nazionale. Tali elezioni hanno visto la partecipazione di 33 partiti politici, tra i quali i due maggiori contendenti sono stati l’Assemblea del Popolo Guineano (RPG), partito del Presidente Alpha Condè, e l’Unione delle Forze Democratiche della Guinea (UFDG), guidato da Cellou Dalein Diallo, il principale antagonista del Presidente in carica. I risultati parziali, provenienti da 37 dei 38 distretti elettorali del Paese hanno sancito il vantaggio del RPG con 53 seggi, seguito dal UFDG con 38 e dall’Unione delle Forze Repubblicane (UFR) dell’ex premier Sidya Touré con 9. Il ritardo nella pubblicazione dei risultati definitivi ha suscitato la perplessità delle Nazioni Unite, preoccupate dall’eventualità di brogli. Dunque, nessun partito si aspetta di vincere la maggioranza assoluta in parlamento, costringendo le maggiori forze politiche a formare coalizioni.
Le elezioni parlamentari hanno rappresentato un momento importante per il Paese, in quanto circondate dalle alte aspettative dagli attori e degli osservatori nazionali ed internazionali, fiduciosi nel possibile coronamento della prima fase di consolidamento democratico inaugurata con l’elezione dell’attuale Presidente Condè, avvenuta nel novembre 2010.
Infatti, dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1958, la storia politica della Guinea è stata caratterizzata da una lunga stagione di dittature, con Ahmed Sékou Touré dal 1958 al 1984 e Lansana Conté dal 1984 fino al 2008. Dopo la morte di Conté, il 23 settembre 2008 un colpo di stato portò al potere una giunta militare guidata da Dadis Camarà, Presidente del Consiglio Nazionale della Democrazia e dello Sviluppo. Tale giunta, ufficialmente, avrebbe dovuto guidare il Paese verso l’instaurazione di un Governo civile e democratico. In realtà, dopo pochi mesi, si assistette all’affermazione di una vera e propria dittatura di stampo militare. Gravissimi gli episodi avvenuti l’anno successivo, precisamente il 28 settembre del 2009, quando una protesta pro-democratica in uno stadio della capitale Conakry venne duramente repressa dall’esercito, causando la morte di 157 persone e centinaia di atti di violenza contro le donne. Nel dicembre del 2009, dopo un attentato in cui Camarà rimase gravemente ferito, un governo transitorio, guidato dal generale Sékouba Konaté, guidò il Paese verso le elezioni presidenziali del 27 giugno del 2010. Nessuno dei due principali contendenti, anche in quel caso Alpha Condè e Cellou Dalein Diallo, riuscì ad ottenere la maggioranza assoluta dei voti e solo dopo il ballottaggio del 7 novembre 2010 Alpha Condè venne proclamato Presidente della Guinea. A quel tempo, l’elezione di Condè era stata vista come un segnale positivo verso l’effettiva stabilizzazione politica del Paese. Leader dell’opposizione durante gli anni della dittatura di Lansana Conté, Condé era stato imprigionato ed esiliato per la sua attività propagandistica pro-democratica.
A partire dal 2010, la ferrea opposizione da parte degli altri partiti politici a riconoscere i risultati delle elezioni presidenziali ha determinato l’apertura di una lunga fase d’instabilità politica. Le elezioni parlamentari, che secondo la carta costituzionale avrebbero dovuto tenersi entro sei mesi dall’elezione del Presidente, hanno subito un continuo rinvio a causa delle reciproche accuse tra il partito di Governo e le opposizioni e la difficoltà ad instaurare un dialogo costruttivo tra le parti per definire le effettive modalità di svolgimento delle consultazioni popolari.
La fase di stallo politico iniziata nel 2010 è stata accompagnata da una forte conflittualità sociale e ripetuti e violenti scontri tra i sostenitori del Governo e quelli delle opposizioni. Tra i numerosi casi che dal 2010 al 2013 hanno visto contrapporsi i sostenitori dei diversi partiti politici, particolarmente gravi gli eventi del maggio 2013. La decisione da parte del CENI (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente) di indire le elezioni parlamentari il 30 giugno 2013 ha determinato, infatti, una forte protesta da parte dei sostenitori dei partiti di opposizione, i quali hanno lamentato l’esclusione di una loro rappresentanza all’interno della Commissione. Gli scontri susseguenti causarono la morte di 12 persone e circa 90 feriti, con un nuovo slittamento delle consultazioni elettorali.
Il reale pericolo che la Guinea potesse precipitare in una grave crisi istituzionale, politica e sociale ha determinato, sin dal 2009, l’intervento di diversi attori dello scenario internazionale. In modo particolare, Unione Europea, l’ECOWAS, l’Unione Africana e le Nazioni Unite hanno posto in essere diverse misure aventi l’obiettivo di sostenere un percorso di stabilizzazione politica. Misure sanzionatorie, di natura sia economica che militare, sono state accompagnate dall’invio di osservatori speciali nel Paese con il compito di vigilare sul corretto svolgimento della vita politica nazionale. Il perpetuarsi degli scontri tra le diverse forze politiche e la difficoltà di pervenire ad un accordo sul tema delle elezioni ha reso necessario, tra l’altro, l’intervento del Rappresentante speciale dell’Onu in Africa occidentale, Said Djinnit, nel ruolo di mediatore tra i vari attori politici guineani. L’intensificarsi della pressione di natura politico-diplomatica sulla classe dirigente del Paese ha reso possibile l’indizione delle elezioni parlamentari, previste inizialmente per il 24 settembre 2013. Il verificarsi, a partire dal 22 settembre, di nuovi scontri tra le parti, con la morte di un poliziotto e oltre 70 feriti, ha determinato un ulteriore rinvio al 28 settembre.
Nonostante le premesse, le elezioni sono avvenute in un clima relativamente pacifico, anche se al momento il Presidente ed il suo partito devono rispondere a diverse accuse mosse sia dalle opposizioni che da alcuni osservatori internazionali riguardo irregolarità e brogli elettorali. I risultati, che il CENI doveva rendere noti il 2 ottobre scorso, sono stati divulgati solo parzialmente, prefigurando la vittoria del RPG, partito di Condé. La mancata chiarezza dell’esito elettorale ha contribuito ad acuire le conflittualità. Le opposizioni si dichiarano già contrarie ad accettare la validità delle consultazioni, minacciando nuove manifestazioni altamente suscettibili di degenerare in violenti scontri.
Al di là delle reciproche accuse relative alle elezioni presidenziali (2010) e parlamentari (2013), le tensioni che caratterizzano il panorama politico e sociale della Guinea devono essere considerate in dinamiche più ampie e soprattutto di lungo periodo.
Il primo fattore da tenere in considerazione è quello dell’appartenenza etnica. L’introduzione di un sistema multipartitico che, come si è osservato, costituisce un elemento di assoluta novità nella storia politica del Paese, ha fatto si che l’articolazione del sistema partitico rifletta la composizione etnica del Paese. L’idea di una comunanza sul piano politico basata su fattori di lingua, etnia e religione rappresenta il leitmotiv della scena politica guineana. I due principali partiti, RPG e UFDG, si fanno promotori degli interessi delle etnie dominanti, rispettivamente i Malinké ed i Fulani.
Più in generale il fattore del favoritismo etnico sia sul piano politico che in relazione alla possibilità di accesso allo sfruttamento e godimento delle risorse nazionali ha sempre caratterizzato, come spesso accade in molti Paesi africani, il contesto guineano fin dalla concessione dell’indipendenza. Basti pensare che gli anni della gestione autoritaria del potere da parte di Ahmed Sékou Touré vengono ricordati come il “regno Malinké”. La tendenza ad una forte radicalizzazione dello scontro sul piano politico è quindi in parte frutto di una sedimentazione nel corso del tempo di rancori e rivendicazioni su base etnica a causa di persecuzioni, incarceramenti ed esecuzioni sommarie a scapito delle etnie rivali, unite alle diverse opportunità riconosciute di volta in volta dai vertici politici riguardo accesso alle cariche pubbliche, alla gestione delle risorse nazionali, all’istruzione e al beneficio degli investimenti statali.
Una seconda variabile da considerare è il livello di sviluppo economico e sociale del Paese. La Guinea è un Paese ricco di risorse naturali come diamanti, oro, bauxite e uranio. La montagna di Simandou, che si trova nella regione di Nzérékoré a sud est del Paese, rappresenta il più grande giacimento di ferro al mondo. Il Paese possiede inoltre un enorme potenziale dal punto di vista turistico, soprattutto di tipo balneare, che però risente della quasi totale inesistenza di infrastrutture sia ricettive che nel settore dei trasporti, unita ad un costo eccessivo dei collegamenti internazionali.
Ciò nonostante la Guinea si configura come un Paese estremamente povero. Nella classifica mondiale basata sul cosiddetto Indice di Sviluppo Umano (HDI - Human Development Index) del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP – United Nation Development Program) la Guinea occupa il 178° posto su 187 Paesi. Negli ultimi cinquanta l’alternarsi di regimi politici autoritari ha determinato una cattiva gestione della cosa pubblica ed il dilagare di fenomeni di corruzione, con un progressivo deterioramento delle condizioni di vita della popolazione e l’esplosione del malcontento sociale, soprattutto tra le fasce più giovani, a causa dell’assenza di una prospettiva di miglioramento della propria condizione socio-economica. Così come già accaduto in altri Paesi dell’area, tale contesto è suscettibile di determinare un progressivo coinvolgimento, soprattutto delle masse giovanili, nei traffici illegali che interessano ormai da diversi anni l’Africa Occidentale.
Dalla metà dello scorso decennio, infatti, l’intera regione è diventata crocevia di traffici illeciti di diversa natura. In alcuni casi, tali traffici sono legati agli atti di pirateria nel Golfo di Guinea, fenomeno che ha conosciuto una forte intensificazione a partire dallo scorso anno. Tra gli obiettivi privilegiati dei pirati, sono le petroliere, il cui greggio sottratto viene successivamente immesso sul mercato nero garantendo cospicui proventi. Il fenomeno della pirateria nel Golfo di Guinea rappresenta un ulteriore elemento di destabilizzazione dell’intera Africa Occidentale, generando delle forti criticità sia dal punto di vista della sicurezza lungo le coste della regione sia riguardo il processo di sviluppo economico dei singoli Stati. Non a caso gli attori regionali hanno cercato di rispondere al fenomeno attraverso operazioni di carattere multilaterale nell’ambito del GGC (Gulf of Guinea Commission), del MOWCA (Maritime Organization of West and Central Africa) e dell’ECOWAS (Economic Community Of West African States) attraverso la creazione di forze di sicurezza e piani di azione congiunti.
Ai traffici relativi ai furti di petrolio ed ai traffici di esseri umani (prostituzione, emigrazione clandestina verso le coste europee), la regione dell’Africa occidentale è coinvolta nel traffico di sostanze stupefacenti, provenienti dall’America del Sud e destinate al mercato europeo, attraverso i porti di Costa d’Avorio, Ghana, Guinea, Guinea Bissau e Sierra Leone e lungo le rotte desertiche del Sahel e del Sahara. A conferma della crescita di tale fenomeno, si è registrato negli ultimi anni un forte incremento della quantità di stupefacenti sequestrati in tutta l’Africa Occidentale e l’accertamento della presenza sul territorio di esponenti dei principali cartelli della droga latinoamericani, soprattutto in Guinea Bissau, considerato da alcuni anni uno dei principali snodi per lo stoccaggio ed il traffico di sostanze stupefacenti.
E’ ormai noto, inoltre, come il traffico di armi, droga ed esseri umani rappresenti un’importante voce di bilancio per i gruppi qaedisti che operano nell’intera area del Sahel, ovvero AQMI (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), il MUJAO (Movimento per l’Unità e la Jihad nell’Africa Occidentale) e le reti tribali ad essi alleati. L’elaborazione di politiche di contrasto sia a livello nazionale che regionale attraverso assumono quindi primaria importanza non solo in relazione al ristabilimento della legalità come presupposto allo sviluppo economico e sociale dell’intera regione ma anche alla luce della lotta internazionale al terrorismo di matrice qaedista.
Il quadro fin qui delineato aiuta a comprendere quanto la risoluzione dello stallo politico in Guinea oltre ad essere una priorità a livello nazionale sia legata anche agli sviluppi futuri della situazione regionale ed internazionale.
Obiettivo fondamentale che il Presidente Condè intende realizzare nel breve periodo è la creazione di un governo stabile ed inclusivo, che godendo dell’appoggio delle principali forze politiche possa realizzare le riforme necessarie volte al consolidamento di un regime democratico e allo sviluppo socio-economico, attraverso una modalità di sfruttamento delle risorse naturali i cui ricavi vengano destinati a migliorare le condizioni di vita della popolazione.
Sebbene la situazione di forte contrapposizione tra i diversi attori politici renda attualmente poco probabile tale scenario, instabilità politica e fratture sociale potrebbero rappresentare un “terreno fertile” per l’affermazione della propaganda di stampo qaedista, soprattutto in uno Stato come quello della Guinea, la cui popolazione di religione musulmana rappresenta l’85% della popolazione totale.
La regione dell’Africa occidentale vive al momento una fase di forte destabilizzazione. Il fenomeno della pirateria nel Golfo di Guinea, i traffici illeciti che attraversano l’intera regione e le difficoltà da parte dei singoli Governi nazionali di garantire un effettivo controllo del territorio rendono questa regione altamente vulnerabile alla penetrazione di gruppi appartenenti alla criminalità organizzata ed al terrorismo internazionale. Se la crisi in Mali e le sue forti ripercussioni nell’intera area del Sahel rappresentano, al momento, l’elemento di maggiore criticità nella regione, diversi e numerosi sono i focolai di crisi ed alte le probabilità di un contagio da uno Stato all’altro.
L’ipotesi di un fallimento del percorso politico in Guinea contribuirebbe in maniera determinante ad un’ulteriore destabilizzazione dell’Africa Occidentale. Attualmente il Governo guineano è impegnato su più fronti per contenere le diverse criticità interne che ne ostacolano l’azione politica. Con il degenerare della crisi in Mali, la Guinea ha istituito un centro di monitoraggio lungo le frontiere e dichiarato il suo pieno appoggio ad ogni azione intrapresa nell’ambito dell’ECOWAS, dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite. Inoltre, come affermato precedentemente, le forze di sicurezza guineane collaborano con gli altri attori della regione alla lotta conto i traffici illeciti e alle organizzazioni criminali che da tali traffici traggono parte del loro sostentamento.
La difficoltà nella stabilizzazione della Guinea rappresenta un ulteriore punto dolente nell’agenda della Comunità Internazionale per quanto riguarda il processo di sviluppo armonico dell’Africa Occidentale e del Sahel. Infatti, in contesti porosi ed altamente inter-connessi come quelli africani, le politiche di pacificazione regionale non possono prescindere dalla stabilizzazione dei singoli Paesi.