Elezioni in Iraq: la vittoria sadrista e le incognite del post-voto
Middle East & North Africa

Elezioni in Iraq: la vittoria sadrista e le incognite del post-voto

By Lavinia Pretto
10.13.2021

Secondo i risultati elettorali non ancora ufficializzati, il partito del leader sciita Muqtada al-Sadr avrebbe ottenuto la maggioranza dei seggi. Un iniziale conteggio dei voti di diverse province irachene più la capitale Baghdad ha mostrato come il numero di cariche in Parlamento del Movimento Sadrista sia aumentato da 54 nel 2018 a più di 70 nel 2021. Un buon risultato è stato ottenuto anche da Takadom, il partito dello Speaker del Parlamento iracheno, Mohammad al-Halbousi, con 43 seggi. A sorpresa parziale si piazza in terza posizione l’Alleanza per lo Stato (con 37 scranni conquistati) dell’ex Premier sciita Nouri al-Maliki, mentre a seguire vi sono i diversi partiti curdi che raccolgono 31 seggi complessivamente. I risultati mostrano che i primi quattro posti sono stati ottenuti da attori tradizionali con consolidata presenza nelle leve del potere dello Stato iracheno e che anche il prossimo Parlamento sarà soggetto a frazionamento, impedendo così qualsiasi possibile sviluppo in termini di riforma del sistema politico. Sulla base dei voti, inoltre, nessuno dei blocchi politici eletti sembra detenere una maggioranza solida e di conseguenza avere il potere di nomina del nuovo Primo Ministro e del governo, che richiederà un lungo processo di negoziazioni. Tuttavia il partito di al-Sadr, dati i risultati ottenuti, potrebbe assumere un ruolo dominante nel corso delle contrattazioni che si terranno nei prossimi mesi, riuscendo a trovare un candidato di compromesso.

Le elezioni si sono tenute in un clima di latenti tensioni derivanti da oltre due anni di proteste, dove i manifestanti scesi in piazza avevano accusato il precedente governo – e più in generale la classe dirigente – di una cattiva gestione del Paese. Nel tentativo di cooptare la rivolta, il governo uscente aveva adottato una nuova legge elettorale che favoriva la partecipazione dei partiti minori e soprattutto dei candidati indipendenti, consentendo agli elettori di assegnare la propria preferenza diretta ai singoli aspiranti al seggio. Tuttavia il meccanismo di distribuzione su base etno-settaria delle più alte cariche governative potrebbe non essere stato toccato dal voto e quindi favorire una persistenza della pratica a tutto svantaggio dei candidati indipendenti, che sebbene siano riusciti ad entrare in Parlamento, non rappresentano un numero rilevante in grado di imprimere una svolta ai processi riformisti tanto invocati dalle proteste del 2019.

In base ai risultati emersi appare chiaro che la classe politica nazionale sia stata in grado di resistere e di adeguarsi al contesto vigente, e tra questi il movimento sadrista è quello che ha meglio incarnato il malcontento dei cittadini iracheni, utilizzando toni populisti e incanalando una retorica patriottica con un’enfasi sul confessionalismo sciita. Moqtada al-Sadr è stato abile anche nel saper giostrare e convogliare attorno la sua figura di “leader patriottico” lo spirito del momento che ha visto un forte rifiuto popolare per la pervasiva influenza politica esercitata dall’Iran attraverso i suoi partiti ombrello – che spiega anche il forte calo di consensi subito dall’Alleanza Fatah, formazione politica favorita dalla Repubblica islamica e guidata dal leader paramilitare Hadi al-Ameri. Tuttavia Teheran potrebbe continuare a giocare un ruolo cardine nel Paese, detenendo ancora un forte sostegno delle milizie sciite irachene ed esercitando un’influenza significativa in diverse amministrazioni locali.

Pertanto, è molto probabile che le elezioni non porteranno a particolari cambi di scenario e, quindi, che le coalizioni dominanti arrivino a negoziare un candidato di compromesso per la carica di Premier. La nomina del Primo Ministro sarà determinante per comprendere verso quale direzione si muoverà l’Iraq. In questo senso, la riconferma di Mostafa al-Kadhimi alla Premiership potrebbe permettere alle autorità nazionali di mantenere e magari consolidare quel processo di riforma avviato in tema di frontiere e sicurezza, ma non è detto che tutto ciò possa poi produrre un superamento di un sistema politico, economico e sociale ormai logoro.

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