Dalle disillusioni del popolo marocchino alle nuove sfide per la dinastia Alauita
La scomparsa dello Sceicco Abdessalam Yassine, leader religioso del principale movimento islamista di opposizione alla monarchia marocchina Al Adl wal Ihsane (“Giustizia e Benevolenza”), deceduto il 13 dicembre 2012, all’età di ottantaquattro anni, lascia aperto un nuovo interrogativo sulle future evoluzioni politiche e sociali dell’organizzazione e sulle eventuali ripercussioni nei confronti del sistema politico del Regno del Marocco.
Il movimento Giustizia e Benevolenza, nato nel 1987, è stato uno dei pochissimi ad essersi apertamente schierato contro l’allora Re del Marocco Hassan II e l’attuale monarca Mohammed VI, della dinastia Alauita, accusati di condurre una politica corrotta ed eccessivamente occidentalista e di essersi indebitamente appropriati di titoli religiosi come “Commander of the Faithful”, accentrando in questo modo nelle proprie mani sia il potere politico che quello spirituale. Yassine ha compromesso la sua posizione davanti alla monarchia alauita con la pubblicazione di circa venti testi pro-democratici e, in particolare, di “Islam or the Deluge”, una “lettera aperta” al Re Hassan II attraverso la quale il leader di Al Adl wal Ihsane, nel 1974, ha reso note le accuse da lui mosse a carico del monarca. Questa linea critica, severamente vietata dalla legge marocchina, è costata a Yassine 10 anni di arresti domiciliari, sospesi solo dopo la salita al trono dell’attuale Re Mohammed VI, nel 1999. Tra gli Anni ‘80 e ‘90, il Re Hassan II aveva avviato una campagna di repressione contro i dissidenti. Centinaia di dimostranti e oppositori vennero arrestati con l’accusa di cospirazione ai danni della monarchia e della sicurezza dello Stato. Tra questi, centinaia non furono mai ritrovati. Da quando Mohammed VI è salito al trono, comunque, l’atteggiamento delle autorità marocchine nei confronti del movimento si è un po’ modificato. Nel corso degli ultimi anni, infatti, il movimento, seppur considerato fuorilegge, è stato tollerato.
Quest’atteggiamento di moderazione ha avuto conferma con le recenti manifestazioni che hanno coinvolto il Marocco sulla scia della Primavera Araba, quando il Sovrano ha dimostrato una certa flessibilità davanti alle richieste della popolazione. Nel febbraio del 2011, migliaia di persone sono scese nelle piazze delle principali città del Paese, in particolare a Rabat e a Casablanca, per chiedere l’abolizione di alcuni privilegi di cui gode la famiglia reale e, nello specifico, la revisione degli articoli della Costituzione che delineano i poteri del Re. Sono state inoltre messe in evidenza le problematiche socio-economiche che ancora oggi soffocano il Paese, dalla forte crescita demografica al relativo alto tasso di disoccupazione.
Il mese successivo, Mohammed VI ha annunciato l’istituzione di una Commissione composta da rappresentanti di diversi partiti politici con il compito di operare sulla revisione costituzionale. Il referendum per l’approvazione della revisione ha coinvolto oltre il 70% della popolazione nel luglio del 2011 e ha sancito l’entrata in vigore delle modifiche con un consenso pari al 98% dei voti. La nuova Costituzione ha introdotto nuovi diritti civili tra cui la libertà di espressione, il riconoscimento dell’uguaglianza sociale alle donne e l’indipendenza della magistratura. Il Re ha rinunciato al potere di eleggere autonomamente il Primo Ministro, acconsentendo a subordinarne la nomina sulla base dei risultati delle elezioni, nominando un membro del partito che ottiene maggiori seggi in Parlamento. Inoltre, con questa riforma, il Primo Ministro ha sostituito il Re in qualità di Capo del Governo e gli è stata riconosciuta la facoltà di sciogliere le Camere. Nonostante questa iniziativa voglia dimostrare una concessione di maggiore autonomia all’esecutivo marocchino, è bene rammentare che l’agenda politica del Governo è nel concreto allineata con quella della Casa reale.
Per quanto concerne la questione socio-economica, legata principalmente alla disoccupazione, Mohammed VI ha fatto dell’interdipendenza economica che lega il Paese a partner commerciali stranieri, in particolare l’Unione Europea e gli Stati Uniti, un punto di stabilità interna. Tramite le politiche di sussidi all’agricoltura e gli accordi internazionali mirati alla fornitura di energia in cambio delle risorse agricole, ittiche e minerarie, Rabat ha saputo rivalorizzare la propria economia e, contemporaneamente, alleggerire il problema della disoccupazione creando nuovi posti di lavoro. Tuttavia, considerando che le principali attività produttive sono appannaggio di poche centinaia di famiglie legate alla Casa reale, lo sviluppo economico potenziale del Marocco subisce il peso della corruzione e delle volontà della monarchia. Fattore che condiziona in particolar modo il settore dell’edilizia.
Nonostante le iniziative di riforma intraprese da Mohammed VI si siano rivelate efficaci nel contenimento dei moti di protesta popolare, non sono state sufficienti a determinare un reale miglioramento della qualità di vita degli abitanti del Regno. Sebbene meno intensamente e in quantità più ridotte, le proteste sono andate avanti nelle principali città del Marocco, lasciando intendere che le riforme costituzionali e la moderata liberalizzazione del sistema politico abbiano avuto una mera funzione superficiale. Nell’estate del 2012, le manifestazioni più significative si sono svolte a Tangeri, Casablanca e Marrakesh, ancora una volta per denunciare la corruzione e l’inefficienza del Governo.
Ciò che di recente ha subito dei mutamenti è il bersaglio dei manifestanti. Oltre alle proteste contro l’establishment di Governo, attualmente rappresentato dal partito di opposizione, moderato-islamico PJD (“Parti de la Justice et du Developpment” Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e dal suo leader e Primo Ministro Ahmed Benkirane, in carica da novembre 2011, sta crescendo in modo notevole il piccolo bacino degli oppositori diretti della monarchia. Di questo si è avuta dimostrazione in modo particolarmente allarmante il 23 agosto del 2012, in occasione della “Festa della Fedeltà”, durante la quale il sovrano Mohammed VI è stato apertamente contestato.
In qualità di diretto discendente del Profeta Maometto, il Re marocchino era stato messo in discussione dai suoi sudditi in rarissime occasioni durante la “Primavera Araba”, perché considerato una figura sacra. Uno dei protagonisti delle contestazioni pro democratiche è stato sicuramente il movimento di Giustizia e Benevolenza che, nonostante le posizioni di moderazione assunte dalla leadership, ha continuato a rappresentare un’opposizione diretta alla monarchia.
Fino a qualche mese fa risultava evidente come la duplice identità politica e spirituale di Mohammed VI si fosse rivelata uno strumento di successo nella gestione del Paese, in grado di preservarne la stabilità interna e conferire al Re legittimazione politica. Al centro delle contestazioni si sono trovati solitamente i suoi collaboratori più vicini e gli altri rappresentanti politici ma difficilmente il monarca, considerato infallibile agli occhi dell’opinione pubblica del Paese. Determinante a tal proposito, oltre alla distribuzione geografica della popolazione, in larga parte residente lontano dai centri urbani, è stato sicuramente l’alto tasso di analfabetismo, circa il 40% degli uomini e il 67% delle donne. Questo fattore, accompagnato da un parziale e distorto accesso alle fonti di informazione, è stato efficace per il mantenimento del controllo sulla popolazione.
Tuttavia, l’evidente disillusione e il malcontento, soprattutto tra i giovani laureati disoccupati, alimentano l’emergere della nuova tendenza di delegittimazione della famiglia reale. Una larga parte di questi giovani milita nel movimento Giustizia e Benevolenza, molto popolare negli ambienti universitari marocchini. Si tratta degli stessi sostenitori delle idee innovative che di recente attraversano in modo trasversale l’agenda dell’organizzazione e che mirano alla conversione di Giustizia e Benevolenza in un partito politico a tutti gli effetti, in contrasto con la posizione della vecchia leadership. Da questo punto di vista, la morte di Yassine potrebbe rappresentare una fase di transizione interna per il movimento.
Dal canto suo, Mohammed VI, per tenere salde le redini del Paese senza dover sfogare le pressioni interne verso nemici esterni e senza dover ricorrere a pesanti misure coercitive che trascinerebbero il Marocco nel caos, davanti alla recente messa in discussione da parte di una massa sempre più consistente della propria autorità e legittimità e all’evidente malcontento diffuso, continuerà probabilmente a portare avanti la sua politica di concessioni moderate, fino a quando queste si dimostreranno sufficienti.
L’accettazione di un Governo islamista come quello attualmente in carica, è considerata l’“ultima carta” che il Re è stato disposto a concedere pur di non rinunciare ai privilegi preservati anche dopo la riforma costituzionale. Per questo motivo la sua attuale linea si sta focalizzando, nello specifico, sulle misure volte ad alleviare il malcontento di derivazione economica e occupazionale. Alla luce della crisi che incombe sulle economie dei principali partner commerciali del Marocco, Mohammed VI si è impegnato per promuovere nuovi investimenti nel Paese, in particolare quelli provenienti dal Golfo, destinati a raggiungere un punto di svolta nel corso del 2013. Si parla, infatti, di una cooperazione strategica che negli ultimi anni ha portato nel Paese circa cinque miliardi di dollari in supporto ai principali progetti per lo sviluppo del settore turistico e la realizzazione di infrastrutture. I Paesi del Golfo sono diventati una risorsa fondamentale per il Marocco, momentaneamente secondi solo alla Francia, in quanto disposti a rafforzare i propri investimenti nell’area in una cooperazione di tipo politico, economico e di sicurezza.
Date le evoluzioni sociali che stanno interessando i principali centri urbani del Marocco, quest’alleanza strategica è probabilmente l’unica soluzione che il Re Mohammed VI ha a disposizione per preservare lo status quo nel Paese. Che si tratti di produrre ulteriori equilibri di facciata o meno, la stabilità del Marocco dipende ancora una volta dall’abilità della Casa reale di convincere la popolazione in merito alla propria legittimità, forse non tanto più religiosa quanto politica ed economica.