Cina, Stati Uniti ed Unione Europea: gli epicentri della competizione commerciale globale
Geoeconomics

Cina, Stati Uniti ed Unione Europea: gli epicentri della competizione commerciale globale

By Alexandru Fordea
09.17.2024

Negli ultimi mesi, in linea con i processi di de-coupling e de-risking dalla Cina avviati rispettivamente da Stati Uniti e Unione Europea, il commercio internazionale ha registrato un’impennata nel campo delle politiche protezionistiche da parte di tutte le principali economie. In tal senso, le limitazioni all’export o all’import di determinati beni e l’introduzione di nuovi scaglioni tariffari sono stati i principali strumenti utilizzati fino ad ora. Il contesto attuale, infatti, deriva principalmente dalla volontà statunitense di mantenere la propria posizione di forza nei settori fondamentali per la crescita economica e l’egemonia tecnologica, come quelli delle rinnovabili, dell’high-tech (microchip, semiconduttori e intelligenza artificiale) e dell’approvvigionamento di materie prime, in primis terre rare e metalli, limitando al contempo la presenza cinese dei processi produttivi ed estrattivi delle stesse.

Questo scenario di competizione si è ulteriormente complicato con l’emergere della questione della sovrapproduzione cinese nei settori chiave della transizione verde, come i pannelli solari e i veicoli elettrici (EV). La Cina, grazie anche a consistenti sussidi statali, ha infatti raggiunto livelli di produzione di pannelli fotovoltaici che superano ampiamente la domanda interna, nonostante nel primo trimestre del 2024 le installazioni siano cresciute del 33%, e di oltre il 150% nello stesso trimestre del 2023. In questi termini, si è registrato un crollo dei prezzi sui mercati internazionali che ha portato Pechino a ottenere un monopolio di fatto pari all’80% dell’intero mercato globale. Ulteriore elemento che ha provocato il crollo sono gli stessi costi di produzione delle fabbriche cinesi che segnano un -20% rispetto alla controparte americana.

Nel campo delle auto elettriche, la situazione non è dissimile. La Cina ha guidato la rivoluzione dei veicoli elettrici con una crescita impressionante: si prevede, difatti, che nel 2024 le vendite di auto elettriche in Cina raggiungeranno circa 10 dei 17 milioni previsti per l’intero mercato globale, pari al 45% di tutte le vendite di auto nel Paese. Tale contesto, d’altro canto, ha messo sotto pressione i produttori occidentali, che hanno difficoltà a competere con i prezzi asiatici, a tal punto che alcune fabbriche hanno dovuto interrompere la propria produzione, trend verificatosi anche in altri campi come quello dell’estrazione di nichel. Un esempio di ciò si è registrato il 21 maggio, quando la casa automobilistica giapponese Nissan Motor ha sospeso i propri piani per la produzione di veicoli EV negli Stati Uniti.

Vista la situazione, la risposta americana non ha tardato ad arrivare e, utilizzando anche il pretesto della sovrapproduzione cinese, dal 1° agosto è stato introdotto un nuovo regime tariffario. Nello specifico, Washington ha colpito la maggior parte dei settori chiave, quadruplicando i dazi applicati alle auto con motore elettrico, facendoli passare dal preesistente 25 al 100%, e portando al 25% anche quelli sulle batterie agli ioni di litio. Inoltre, per limitare l’influenza di Pechino nelle catene di approvvigionamento, Washington ha almeno triplicato quelli sull’acciaio , sull’alluminio , sulla grafite e sui magneti , arrivando fino al 25%. Discorso non dissimile per quanto riguarda le importazioni di beni inerenti ai semiconduttori , i microchip e della transizione green , le cui aliquote hanno raggiunto il 50%.

Nonostante i tentativi passati dell’UE di posizionarsi in maniera differente rispetto agli USA, il 4 luglio, la Commissione europea ha implementato temporaneamente nuovi dazi sull’importazione di veicoli elettrici a batteria provenienti dalla Cina, adottando anch’essa una linea “dura” verso Pechino. I produttori interessati, difatti, includono BYD con un dazio del 17.4%, Geely al 20%, e SAIC al 38.1%. In tal senso, un dazio medio del 21% sarà applicato alle aziende che hanno collaborato all’indagine ma non sono specificamente menzionate, mentre per quelle che non hanno collaborato il dazio sarà del 38.1%. Nondimeno, proprio nell’ottica di colpire prettamente la Cina, Tesla è stata esclusa dalla lista, riconfermando la tariffa del 9% che tutti i veicoli provenienti dall’estero subiscono. Le misure definitive dovrebbero però essere stabilite entro quattro mesi dall’introduzione dei dazi temporanei. Inoltre, è significativo evidenziare come ci sia stato un allineamento sul tema anche da parte del Canada che, il 26 agosto, ha annunciato l’introduzione di una tariffa del 100% sui veicoli elettrici di produzione cinese e una tariffa del 25% su alcuni prodotti in acciaio e alluminio.

D’altro canto, la natura transitoria dei dazi europei ha offerto a Pechino la possibilità di esercitare pressioni mirate all’interno dell’UE, tentando di influenzare il voto definitivo che verrà effettuato nelle prossime settimane. In questo contesto, la Spagna è emersa come il principale bersaglio con le autorità cinesi che hanno avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne suina e prodotti derivati, settore in cui Madrid detiene il primato europeo proprio nelle esportazioni verso la Cina, con un valore complessivo degli scambi pari a 1,2 miliardi di euro. Il tentativo di influenzare i singoli Stati sembra aver sortito i risultati sperati, con il Premier Sanchez che si è unito al fronte dei contrari guidato dalla Germania (uno tra i Paesi maggiormente penalizzati), aumentando, pertanto, il numero delle voci che richiedono una ristrutturazione degli attuali dazi europei.

Oltre alla strategia di pressione politico-economica adottata, anche la Cina ha introdotto misure ritorsive. A tal proposito, la decisione di limitare l’export dell’antimonio, materiale usato per la fabbricazione di celle fotovoltaiche e vetro fotovoltaico, non si distanzia molto da quella presa durante l’estate del 2023, quando vennero limitate le esportazioni del germanio e del gallio, due metalli critici necessari proprio per la costruzione di chip, semiconduttori, celle fotovoltaiche e nelle apparecchiature di comunicazione. Restrizioni che, favorite dal quasi monopolio di Pechino, che controlla il 60% della produzione del germanio e l’80% del gallio a livello globale, dopo circa un anno hanno provocato dei rialzi preoccupanti dei prezzi. Nello specifico, il prezzo del germanio rispetto all’inizio dell’anno ha subito una variazione del 30% e, a confronto con gennaio dello scorso anno, l’aumento è stato del 57%. Discorso non dissimile anche per il gallio che ha registrato una variazione del 20% dal 1° gennaio 2024 e del 42% dall’inizio del 2023. Alla luce di quanto detto, anche nel caso dell’antimonio si dovrebbero verificare conseguenze simili visto il controllo del 50% del mercato della produzione da parte della Cina. Di conseguenza, il prezzo potrebbe a breve superare i 30.000 dollari a tonnellata, triplicando il suo valore rispetto all’inizio dell’anno.

Alla luce di quanto detto, con l’intensificarsi in futuro della competizione economica, è lecito aspettarsi da Pechino colpi sempre più duri alle catene di approvvigionamento globali, forte soprattutto della posizione di quasi monopolista in almeno 15 di esse, tra cui il nichel, dove controlla il 68% del processo di raffinazione, il rame (40%), il litio (59%) e il cobalto (73%). In questo quadro, appare realistico prevedere un inasprirsi dello scontro commerciale tra le principali economie nel breve-medio periodo. Nei prossimi mesi, dunque, Stati Uniti e UE potrebbero soffrire la carenza di materie prime con conseguente aumento dell’importanza di fornitori alternativi, tra cui Canada, Cile e Australia, i quali tuttavia potrebbero non riuscire a rispondere alla crescente domanda globale.

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