Cina: quale politica estera nel 2023
Il 2023 si apre con la necessità per la Repubblica Popolare Cinese di rilanciare l’economia nazionale dopo che lo scorso anno la crescita del PIL si è fermata al 3%, facendo segnare la seconda performance peggiore degli ultimi 50 anni. Tuttavia, le ambizioni di Pechino devono fare i conti con un contesto internazionale estremamente instabile e conflittuale, segnato dal perdurare della guerra in Ucraina, dal rallentamento dell’economia globale e dai rischi relativi alla possibile comparsa di nuove varianti del Covid-19.
In questo quadro, Pechino sembrerebbe intenzionata ad apportare una serie di cambiamenti di natura essenzialmente tattica alla propria politica estera, al fine di adattarla alle sfide correnti e alla realizzazione degli obiettivi strategici di lungo periodo che restano invariati. In particolare, la diplomazia cinese potrebbe adottare un approccio maggiormente conciliante, mettendo da parte la retorica conflittuale e combattiva caratteristica della cosiddetta wolf warriors diplomacy. Segnali di un cambiamento in questa direzione sono emersi con la rimozione del “falco” Zhao Lijian dal ruolo di portavoce del Ministero degli Esteri, con le prime distensive dichiarazioni del nuovo Ministro Qin Gang e, soprattutto, con il discorso del Vicepremier Liu He al Forum di Davos nel quale si è ricominciato a parlare con forza di un’apertura del mercato cinese a investitori e capitali esteri.
L’obiettivo del mutato approccio diplomatico in corso è mettere fine al progressivo deterioramento delle relazioni tra Cina e blocco euro-atlantico iniziato con lo scoppio della pandemia nel 2020 e acuitosi a seguito della mancata condanna da parte di Pechino dell’invasione russa dell’Ucraina. In particolare, la leadership cinese vuole provare a invertire la tendenza che vede gli Stati dell’UE sempre più impegnati nel rafforzamento dell’autonomia strategica, attraverso piani di diversificazione per l’approvvigionamento di materie prime utili allo sviluppo di tecnologie critiche, l’utilizzo sistematico del golden power e l’implementazione di legislazioni innovative volte a rendere più complesso l’ingresso di imprese cinesi nel mercato europeo.
Al netto di tali mutamenti tattici, tuttavia, le priorità dell’azione esterna cinese non dovrebbero mutare nel corso del 2023. In particolare, al centro della politica estera di Pechino resteranno il tema della ri-unificazione con Taiwan, il rilancio della Belt and Road Initiative (BRI), soprattutto nei suoi segmenti asiatici, lo sviluppo di partenariati strategici con gli attori dell’Asia centrale e dell’Africa e, più in generale, il sostegno ai fora internazionali, come la Shanghai Cooperation Organization, che mirano a sviluppare un sistema internazionale multipolare. In questo contesto, dovrebbe proseguire senza sosta anche il piano di ammodernamento dell’Esercito Popolare di Liberazione, funzionale a consolidare la posizione della Cina come attore globale e a sviluppare le sue capacità di proiezione e deterrenza.
Il dossier Taiwan, in particolare, occuperà un posto di primo piano nella politica estera cinese. In quest’ottica, alta dovrebbe restare la pressione militare cinese nello Stretto nel corso del 2023 così come immutata dovrebbe rimanere la strategia di risposta “colpo su colpo” della Repubblica Popolare alle mosse degli USA e dei loro partner nella regione. Tuttavia, appare improbabile, nel breve-medio termine, assistere a un’escalation poiché un’azione di forza cinese, al momento, complicherebbe i piani di rilancio dell’economia domestica in corso che restano assolutamente prioritari.
Sulla BRI, è lecito attendersi un progressivo rilancio dei piani di sviluppo infrastrutturali legati alla connettività e ai commerci, dopo un biennio in cui il focus è stato principalmente sul supporto agli Stati partner nel far fronte all’emergenza sanitaria legata al COVID-19. Tuttavia, i progetti di Pechino dovranno fare i conti con il complicato quadro economico interno e con la serie di crisi economiche in corso, soprattutto in Asia meridionale, dove uno Stato chiave della BRI come il Pakistan rischia addirittura il default se non sostenuto prontamente dalla comunità internazionale.
In Asia dovrebbe restare alta la competizione con l’India che si potrebbe manifestarsi, con sempre maggiore forza, in territori considerati “contesi” come Bangladesh, Nepal e lo Sri Lanka. Al momento, appare improbabile vi siano mutamenti sostanziali della situazione nel Ladakh, al confine sino-indiano. In quest’area, infatti, la Cina sembrerebbe avere interesse, almeno nel breve, a lasciare immutato l’attuale equilibrio di forze che le consente di mantenere il terreno guadagnato e consolidarne il controllo attraverso la realizzazione di infrastrutture utili alla mobilità delle truppe. Intanto, recentemente Pechino ha rilanciato il suo impegno nell’Emirato Islamico d’Afghanistan, con un accordo sull’estrazione di petrolio, possibile preludio a una presenza maggiore finalizzata anche al contrasto della minaccia terroristica crescente. Dossier complessi restano quelli di Corea del Nord e Myanmar. I due Paesi, infatti, seppur utili alla Cina nel contrastare la strategia della “deterrenza integrata” statunitense nell’Indo-Pacifico, attraversano fasi critiche che potrebbero creare problemi a Pechino anche nel breve-medio termine.
In Africa, il 2023 vedrà un consolidamento della posizione cinese mentre il rilancio di eventuali piani di investimento resta legato all’andamento dell’economia domestica cinese. La strategia complessiva per la regione comunque non dovrebbe mutare e la Cina resta pronta a sfruttare, come fatto in anni recenti, eventuali spazi lasciati aperti dagli altri attori internazionali presenti nel continente.
Nel complesso, l’efficacia dell’azione esterna della Cina di Xi Jinping nel corso del nuovo anno dovrebbe comunque rimanere legata all’andamento dell’economia domestica e agli sviluppi del conflitto in Ucraina. Il proseguimento della guerra, in particolare, potrebbe allontanare ulteriormente Pechino dai suoi partner europei, degradare ancor di più le relazioni con gli USA e ampliare la polarizzazione del contesto internazionale. Questo scenario potrebbe rendere vani gli sforzi profusi dalla diplomazia cinese e complicare i piani di rilancio dell’economia, vera sfida per la Repubblica Popolare nel 2023.