Operazione 1027: quali implicazioni per il Myanmar
Il 27 ottobre, la Three Brotherhood Alliance , un gruppo di milizie birmane composto dal Ta’ang National Liberation Army (TNLA), dall’Arakan Army (AA) e dal Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA), ha avviato un’offensiva contro la giunta militare al potere denominata " operazione 1027 ", attaccando le forze governative nello Stato Shan, nel nord del Myanmar. Questa azione rappresenta una svolta importante nella lotta in corso tra le milizie birmane e il Tatmadaw, le Forze Armate guidate dal Generale Min Aung Hlaing, che controllano a fatica il Paese dal colpo di Stato militare del febbraio 2021.
Dall’inizio dell’operazione, l’Alleanza ha ricevuto il sostegno di altre milizie etniche regionali presenti in Myanmar, arrivando a contare su circa 15 mila combattenti. Tra queste, si registra il supporto dell’alleanza dei gruppi Karenni anti-giunta, i quali hanno lanciato un’offensiva parallela, denominata “operazione 1107”, che si sviluppa negli Stati Kayah e Kayin. A questi, si sono uniti poi i combattenti della People’s Defence Force (PDF) e dei gruppi di resistenza che hanno coordinato azioni contro la giunta nel Tanintharyi, negli Stati Mon, Sagaing, Kachin e Chin. Rilevanti sono anche le tensioni tra l’AA e la giunta nello Stato di Rakhine, l’unico dove il Tatmadaw ha concordato in maniera informale, nel novembre dello scorso anno, un cessate il fuoco con le milizie. Apparentemente, quindi, l’ offensiva sembra ottenere discreti successi su gran parte del territorio mentre la giunta militare mostra segni di difficoltà , anche da un punto di vista logistico. Quest’ultima, infatti, si prepara a spostare circa 14.000 soldati a Naypyitaw per difendere la capitale dall’offensiva della resistenza. In questo quadro, si contano circa 200.000 sfollati tra il nord dello Stato Shan, la regione di Sagaing e lo Stato di Kachin, e nel Paese scarseggiano i generi alimentari. Inoltre, il Governo ha introdotto restrizioni alla mobilità tra le regioni e questo non facilita la fuga dai luoghi dello scontro.
Al momento, l’Alleanza afferma di aver occupato più di 150 postazioni militari controllate dal Tatmadaw, oltreché di aver conquistato città strategicamente importanti come Kunlong, Chinshwehaw ed Hseni, situate in prossimità del confine con la Cina, ma anche Reh Khaw Da, posizionata sulla principale rotta commerciale verso l’India. Pechino e Nuova Delhi, di conseguenza, guardano alla situazione in Myanmar con crescente preoccupazione, poiché la costante instabilità presente sul territorio mette a rischio i rispettivi interessi regionali e potrebbe riscrivere anche le relazioni con le parti coinvolte.
I recenti sviluppi e l’incapacità della giunta nel garantire la stabilità del proprio territorio ha spinto la Cina, molto vicina al governo militare, ad aprire un canale di dialogo con alcune milizie del Paese. Tra aprile e maggio di quest’anno, in particolare, Pechino ha discusso le dinamiche di sicurezza al confine con i movimenti ribelli etnonazionalisti , noti come Organizzazioni armate etniche (EAO), al fine di preservare la sua influenza tra i vari gruppi del Paese. Tale scelta rappresenta anche una risposta all’iniziativa statunitense, nota come Burma Act del National Defense Authorization Act 2023, volta a inviare fondi e assistenza tecnica alle forze anti-giunta. Questa azione è stata interpretata dalla Cina come una provocazione diretta nell’ambito della crescente competizione internazionale tra i due Paesi, amplificata ulteriormente dalla decisione americana di stabilire, nel febbraio 2023, un ufficio di rappresentanza a Washington DC del National Unity Government del Myanmar, il governo creato dal fronte democratico per coordinare l’opposizione nazionale.
In questo contesto, si registrano le prime apparenti tensioni tra la giunta militare e la Cina. Il 19 novembre, in particolare, militanti nazionalisti birmani hanno organizzato una protesta contro il governo di Pechino davanti al municipio e all’ambasciata cinese a Yangon. I Membri dell’Unione Patriottica dei Monaci e dell’Organizzazione Nazionalista del Myanmar, presenti alla manifestazione, hanno accusato la Cina di armare le organizzazioni etniche armate situate al confine nel nord del Myanmar e i gruppi delle Forze di Difesa Popolare (PDF). Le proteste sono state accolte con favore dal Tatmadaw e lo stesso capo della giunta, Min Aung Hlaing, ha sottolineato l’utilizzo da parte delle milizie di droni commerciali di produzione cinese. Malgrado le turbolenze, la vicinanza tra Pechino e Naypyidaw non sembra vacillare. Tra il 25 e il 27 novembre, infatti, si registrano esercitazioni cinesi a fuoco vivo al confine con il Myanmar, organizzate per mandare un segnale alle milizie, mentre la Marina cinese dovrebbe condurre operazioni congiunte presso il porto di Thilawa con la Marina birmana.
Altro Paese attivo sul dossier birmano è l’ India , anch’essa in attesa di comprendere gli sviluppi sul terreno per calibrare la propria strategia. Nuova Delhi, in particolare, ha mantenuto relazioni diplomatiche ed economiche con la giunta al potere per due ragioni principali: la valenza strategica del Paese e la volontà di bilanciare l’influenza cinese. A preoccupare Nuova Delhi, in questa fase, tuttavia, è la situazione di sicurezza al confine con l’instabile Stato del Manipur. Le milizie Chin impegnate nell’offensiva in Myanmar, infatti, hanno assunto il controllo di alcune zone di frontiera con l’India e sono accusate di sostenere i Kuki negli scontri etnici con i Meitei nel nord-est del Paese. In questo quadro, un indebolimento eccessivo del Tatmadaw potrebbe creare ulteriore instabilità e spingere l’India a dialogare maggiormente con le milizie al fine di garantire i propri interessi.
In conclusione, in un contesto in cui le milizie indipendentiste e pro-democratiche continuano a guadagnare terreno e sostegno a spese del Tatmadaw, Cina e India appaiono intenzionate a mantenere canali di dialogo aperti con i diversi attori coinvolti al fine di evitare che l’eccessiva instabilità ne mini gli interessi.