Cause e ricadute del fallito ingresso di Bashaga a Tripoli
Middle East & North Africa

Cause e ricadute del fallito ingresso di Bashaga a Tripoli

By Emanuele Volpini
05.25.2022

Lo scorso 17 maggio, il Primo Ministro del Governo di Salvezza Nazionale (GNS) Fathi Bashaga – attualmente operante dalla città Sirte – ha tentato l’ingresso a Tripoli, forte del sostegno di alcune delle milizie armate più forti e influenti nella capitale. Tuttavia, l’arrivo del Premier è stato respinto dalla popolazione e dalle stesse brigate che lo avevano accompagnato – alcune delle quali opportunisticamente ondeggianti verso un appoggio di comodo ad Abdul Hamid Dbeibah, leader del Governo di Unità Nazionale (GNU) riconosciuto dalle Nazioni Unite. La posizione assunta dalle milizie è stata decisiva: la Brigata al-Nawasi, la 444esima Brigata, le forze di Janzour e le Brigate di Misurata, in particolare la Forza anti-terrorismo di Moktah Jahawi, hanno scelto di sostenere l’esecutivo Dbeibah. Questa scelta ha dimostrato ancora una volta come a decidere del destino libico siano più gli attori non statali, come le milizie per l’appunto, e non la classe politica dirigente che gode di una scarsa legittimità popolare rispetto anche ai primi.

Fathi Bashaga ha basato in parte la sua strategia sul supporto della Brigata al-Nawasi. Tramite il dialogo instaurato tra il suo esecutivo e l’Ottava forza – altro nome della Brigata – il Premier ha ritenuto di poter ottenere il supporto necessario anche delle altre milizie presenti nella capitale preposte al mantenimento dell’ordine pubblico e alla sicurezza dei lavori parlamentari. Nonostante il dichiarato sostegno espresso durante l’arrivo di Bashaga a Tripoli, nel giro di poche ore la Brigata al-Nawasi si è vista circondata dalle forze presenti in città, in particolare dalla 444esima Brigata, che ha scortato il Premier e i suoi alleati fuori dalla zona urbana. L’obiettivo di porre fine all’esecutivo Dbeibah tramite il supporto delle milizie non è stato raggiunto, dimostrando come i sostenitori di Bashaga abbiano perso un’importante occasione per promuovere una svolta nello stallo politico in corso dallo scorso dicembre. Va ricordato che Tripoli è stata teatro degli scontri della guerra civile occorsa tra il 2019 e il 2020, quando il Colonnello Khalifa Haftar – uno dei principali sponsor di Bashagha insieme al Presidente della Camera dei Rappresentanti di Bengasi-Tobruk (HoR) Aguila Saleh – aveva cercato di conquistare la capitale per prendere il controllo del Paese. Le conseguenze interne di questo azzardo sono duplici. La posizione del Premier del GNS risulta indebolita dall’azzardo intrapreso, tanto da rischiare di aver bruciato parte del capitale politico conquistato in questi mesi, anche in vista delle prossime elezioni; dall’altra parte, la figura di Dbeibah ha guadagnato in termini di approvazione e prestigio, nonostante il poco carisma suscitato dal leader del GNU.

Se a Tripoli la tensione rimane comunque alta, al Cairo, invece, si sono registrati dei piccoli passi avanti nel tentativo di sbloccare per via diplomatica l’attuale impasse. Infatti tra il 15 e il 20 maggio si è tenuta nella capitale egiziana la riunione del comitato congiunto tra membri della Camera dei Rappresentanti (HoR) e dell’Alto Consiglio di Stato (HCS), i quali hanno dialogato per stabilire i punti minimi sui cui lavorare per la stesura di una Costituzione unica, passo imprescindibile per indire nuove elezioni nel Paese, e nel definire in un secondo momento le elezioni legislative e presidenziali da tenere in simultanea nel corso del 2023. Nonostante gli avvenimenti che hanno catalizzato l’attenzione su Tripoli e fatto temere il peggio, Stephanie Williams, Inviata Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per la Libia, si è detta soddisfatta dei risultati ottenuti grazie a questo incontro. Secondo quanto riportato, le due rappresentanze sarebbero riuscite a trovare un accordo per 137 articoli e avrebbero ricevuto il plauso della Williams soprattutto per quanto riguarda i capitoli inerenti alle libertà, ai diritti, all’autorità giudiziaria e legislativa.

Tuttavia è importante che il processo di dialogo trovi una sua sintesi entro il prossimo mese, pena l’emergere di un nuovo e non ben definito scenario di tensioni interno ed esterno alla Libia. Infatti, il 22 giugno scadrà la road map del Forum di Dialogo Politico e, di conseguenza, anche il mandato ad interim del Governo di Unità Nazionale guidato da Dbeibah. I timori sono che, se il forum tenutosi al Cairo non riuscirà a terminare i lavori entro la data di giugno, una nuova crisi nazionale potrebbe aprirsi, facendo ripiombare lo spettro di una guerra civile sul Paese. Crisi che potrebbe avere effetti negativi anche sulla stabilità regionale, anche dei vicini più prossimi, come la Tunisia, ad esempio, già alle prese con un difficile processo di rilancio costituzionale intrapreso dal Presidente Kais Saied dopo la decisione della sospensione del Parlamento dello scorso luglio. Non meno preoccupante potrebbero essere gli effetti nei confronti anche dell’Egitto, attore direttamente coinvolto nelle questioni libiche e che da diverso tempo punta ad assumere un ruolo chiave di mediazione nella risoluzione della crisi, in modo da poter sbloccare altri dossier di caratura regionale, più o meno direttamente connessi, con particolare interesse verso tutto quello che coinvolge la Turchia (con la quale ha in corso un processo di distensione dei rapporti bilaterali e diverse situazioni tra Libia e Mediterraneo Orientale) e il Golfo (nello specifico la sicurezza dell’area MENA con focus attento su Siria, Iraq, Yemen e Mar Rosso).

Emanuele Volpini è stagista al Desk Medio Oriente e Nord Africa

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